*Riproduciamo il testo critico di Simonetta Lux Il doppio registro arte/realtà dal catalogo CÉSAR MENEGHETTI_ I/O, 55th International Art Exhibition- la Biennale di Venezia, Maretti editore, 2013. Courtesy The Publisher.

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Note:

(1) César Meneghetti,_ this_ placement, Rome, 2011 with comments by Antonio Arevalo, Cristina Cannelli, Mike Watson, Simonetta Lux, Francesca Gallo, Bruno of Marino, Elisa Byington, Lucrezia Cippitelli, Solange Farkas, Elisabetta Pandimiglio.

(2) Simonetta Lux, Arte ipercontemporanea. a certo loro sguardoUlteriori protocolli dellarte contemporanea, Rome, 2006, p. 217.

(3) Interview by Giorgia Calò Montage, in Simonetta Lux, op. cit., p. 224

(4) Cfr. Simonetta Lux, op. cit, p. 219

(5) In SLAZAK, Con larte. Da disabile a persona (With art. From being disabled to being a person), Rome, Gangemi, 2007, on page 335 there is a chapter on the laws in favour of school integration, with non-separate teaching (contrary to provisions existing in other European countries). By Simonetta Lux, Antonella Antezza, Cristina Cannelli, Alessandro Zuccari.

(6) SLAZAK, Con larte. Da disabile a persona, op. cit. , a cura of Simonetta Lux, Antonella Antezza, Cristina Cannelli, Alessandro Zuccari.

(7) César Meneghetti, www.ioeunaltro.org

Bibliografia

Simonetta Lux, in ”luxflux proto-type arte contemporanea”, n. 43, 2011, in “Speciali”. Ipercontemporanea I: Apertura del soggetto,

http://luxflux.net/ipercontemporanea-i-apertura-del-soggetto-ipercontemporaneo-memorie-tracce-depositi/

Theodor Wiesegrund Adorno, Philosophie der neuen Musik (Tübingen 1949; Torino 1960). http://www.culturalstudies.it/dizionario/lemmi/teoria_critica_b.html). Come uscire dalla negazione di quella ragione stessa da cui muovono tuttavia le istanze emancipatrici della società, dalla messa in discussione del “pensiero, nel cui meccanismo coattivo la natura si riflette e si perpetua, e riflette, proprio in virtù della sua coerenza irresistibile, anche se stesso, come natura immemore di sé, come meccanismo coattivo”? (Adorno-Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo,1947).

Jean-François Lyotard, La Condition postmoderne: Rapport sur le savoir (1979); Les Immateriaux (1985, Centre Georges Pompidou).

Fredric Jameson, Postmodernism, or, The Cultural Logic of Late Capitalism (inizialmente sulla New Left Review nel 1984), traduzione italiana Il postmodernismo ovvero La logica culturale del tardo capitalismo (Garzanti 1989).

Zygmunt Bauman, Modernity and The Holocaust, Ithaca, N.Y., Cornell University Press 1989; Le sfide dell’etica, 1993.

Gilles Lipovetsky, Le crépuscule du devoir (Gallimard, 1992; Il buio del postmoderno, 2011).

Maurizio Ferraris, La fidanzata automatica (Bompiani, 2007).

Slavoj Žižek, Vivere alla fine dei tempi, 2011, Milano, Ponte alle Grazie (I° ed 2010, Verso ed.)

Simonetta Lux, Arte ipercontemporanea. Un certo loro sguardo… Ulteriori protocolli dell’arte contemporanea, Roma, 2006.

 

César Meneghetti, Montage 4 (1, 2,, 3, 4, 8, 9, 10, 11),Caput Mundi, 1999

César Meneghetti, Montage 2, Quelli di sotto,1999-2000

Cesar Meneghetti, K_lab_interacting on the realiyt interface, videocabina n. 2, still da video, 2008, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza di Roma (see: www.luxflux.net, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea- Archivio mostre-2008)

CÉSAR MENEGHETTI: I/O_IO E’ UN ALTRO. JE EST UN AUTRE. UN SOGGETTO IPERCONTEMPORANEO*

È nel soggetto e nel contesto che ho definito ipercontemporaneo che finalmente l’atto del ricordare e l’atto testimoniale sfuggono al chiuso carattere metaforico dell’opera o della creazione artistica, aprendo l’opera e la creazione dell’arte all’altro attraverso un processo che non si chiude nell’oggetto realizzato ma che si proietta con azione trasformatrice psicologica e culturale negli altri soggetti e ambienti della recezione, con azione di inclusione e partecipazione in un feedback che potremmo quasi dire infinito di azione trasformatrice.

Tale soggetto artista imputa in prima istanza a se stesso, autobiograficamente, le ragioni e il fatto della scelta (dei modi, mezzi, tecniche, procedure e delle tematizzazioni), con ciò rispondendo a quanto Adorno aveva prefigurato come modo di uscire dall’impasse culturale determinata dal non avere noi più potere sulla realtà e sulle strutture di dominio che ci sovrastano: possiamo lavorare solo su noi stessi, egli affermava, considerando ciò il primo punto cardinale della sua pedagogia della resistenza.

In secondo luogo; di fronte al pessimismo dei filosofi della Scuola di Francoforte verso la razionalità occidentale, l’artista ha allargato alla realtà e ad altri soggetti ed ad altre forme di razionalità e di pensiero la continuità dello svolgersi e dell’operare dell’opera stessa, presumendone l’inclusione fin dall’istituzione dell’opera. Dalla più ampia realtà, come anche dal riconoscimento di quella più reietta e del contesto culturale più trash, sanno che provengono comunque le forze emancipatrici della società.

Quando ho parlato di arte ipercontemporanea e di un certo loro sguardo non mi sono riferita a quell’”oggetto che crede di essere un soggetto”, l’opera d’arte (Maurizio Ferraris, La fidanzata automatica) ma mi sono spostata dall’oggetto al soggetto, mi sono riferita piuttosto a quel soggetto, uomo/donna/artista, che nel mondo globalizzato della fase postmoderna del capitalismo (la III fase, secondo Jameson in Postmodernismo ovvero La logica culturale del tardo capitalismo, 1984/1992) iscrive la propria visione critica su tale mondo, compie un atto etico, nella propria opera: lo fa attraverso un mode d’emploi peculiare di tutti i mezzi possibili di espressione (resi disponibili proprio dalla deregulation di ogni paradigma dell’arte esplosa in ciò che chiamiamo con Lyotard condizione postmoderna): da quelli codificati nelle epoche precedenti, a quelli nuovi da sempre estranei ai paradigmi moderni dell’arte. E lo fa soprattutto misurandosi con situazioni estreme ed opposte (creare ponti tra nazioni e culture lontane; cavalcare normalità/anormalità; intrecciare alto e basso, strati linguistici conformi e strati non conformi), includendo nell’opera e nel processo creativo dell’opera quelle persone della cui condizione l’artista si fa carico di interesse in una condivisione di responsabilità e di eventuale gioia critica della vita e della realtà.

Lo statuto o condizione di tale soggetto e uomo/donna/artista ipercontemporaneo, è statuto di alterità o estraneità al mondo: ma l’artista è, secondo i punti di vista, condannato a (Boris Groys), operare con la e sulla materia di quel mondo oppure responsabile nella scelta di farlo: così César Meneghetti.

Oltre il carattere metaforico dell’opera d’arte e oltre la funzione simbolica del linguaggio artistico (che permangono), oggi l’arte ha esteso (continua ad estendere) la sua azione fino ad attuare un processo trasformativo vero e proprio nella cultura e nella realtà contemporanea, mutandone a fondo sia gli automatismi pregiudiziali culturali sia la condizione emotiva/affettiva dei soggetti coinvolti dall’artista e dell’artista stesso.

Con l’esperienza di César Meneghetti e la realizzazione delle diverse tappe del work in progress I/O_IO E’ UN ALTRO. JE EST UN AUTRE il paradigma dell’arte come azione trasformatrice del reale si mostra possibile e non solo utopistico, non solo antagonistico, non solo auspicabile.

Nel momento in cui riconosciamo questo paradigma dell’arte, resta da accettare lo statuto dell’arte e dell’azione artistica che così si configura. Resta cioè da accettare il fatto che non tutto è nell’opera realizzata, ma occorre vedere oltre la materialità ed i media della sua apparizione, entrare nel fluido di quei processi interrelati e scambiati che inclusi, o condivisi o intrecciati (backstage e poststage) .

L’azione trasformativa dell’arte è dunque azione nel contesto di una più larga azione critica e emancipatrice che riconosciamo a soggetti diversi del mondo: azione tuttavia peculiare nell’arte, per il carattere immaginifico, sorprendente (e non fatuamente bizzarro), per il carattere quindi visionario attivo del linguaggio che l’artista mette in campo.

DOPPIO REGISTRO DI CÉSAR MENEGHETTI ARTE/REALTÀ

Il doppio registro arte/realtà è peculiare della opera di César Meneghetti può/deve essere declinato in altri antagonismi: identità /nomadismo, cristallizzazione / flusso, alterità/pregiudizio, memoria/oblio, normalità/diversità, confine/sconfinamento. Perché è lì, sul quel confine, che l’opera di Meneghetti si svolge e la sua arte si compie. Lo split-screen che, tra gli infiniti dispositivi linguistici da lui sapientemente usati, finora poteva costituire il tropo di una creazione nel doppio registro addensata sui confini tra le cose e le condizioni, non è un caso che nell’opera inedita più recente sia stato abbandonato, come se il confine che separa  condizioni e contraddizioni culturali fosse stato fatto cadere. É così? Prima dell’attuale opera I/O IO È UN ALTRO, cristallizzazione di un lungo e difficile progetto/processo passato attraverso verifiche, César Meneghetti ha attribuito la dignità di linguaggio a lacerti, tracce, frammenti, narrazioni, fulminei parallelismi di mondi lontani e contrapposti: Italia/Brasile, EuropaAmerica, Africa e scienza europea e con tutti i dispositivi oramai disponibili dell’arte – fotografia, montaggio, installazione, scultura, regia eo sceneggiatura – ha fissato una contrapposizione nella lontananza, ha fatto emergere questioni particolari, universalizzandole e narrandole, intercettandole grazie alla sua condizione nomadica od emigrante che egli condivide con artisti e uomini di questo mondo globalizzato. Mi riferisco tra i film a Senza Terra/Sem Terra (12’30’, 2001) realizzato con Elisabetta Pandimiglio, o ai Montages astratti che ha continuato a realizzare a partire dal 2000, o, per arrivare più vicini a noi, a K_lab- interacting on the reality interface (2009-2011). In Senza Terra/Sem Terra c’è il racconto ficticious/realistico dell’esistenza di un uomo che non parla, segnata da un evento straordinario: la sua nascita in mezzo al mare. Partorito in una nave carica di emigranti convinti di andare a far fortuna nella  “Merica” con i suoi vasti spazi da coltivare, quest’uomo si ritrova a crescere in un Brasile governato da un’aristocrazia rurale che aveva sostituito la manodopera schiava con quella – più conveniente – dei salariati europei. Lo scandalo del film è il suo incipit narrativo: quando quell’uomo ha smesso di parlare, un uomo destinato fin dal primo giorno di vita a cercare la sua terra senza mai raggiungerla.  L’inspiegabilità di quello scatto interiore e la narrativa attraverso altre voci, le voci delle donne che lo hanno amato in due diversi angoli del mondo, i dispositivi filmici messi in opera in una modalità compositiva anticinematografica classica (manca continuità di trama e sceneggiatura) creano attesa e sospensione.  Quest’opera narrativamente aperta e questo oggetto filmico non rigidamente pianificato- col suo soggetto tratto da un fatto reale di tempo lontano- si fa apertura sulle condizioni di vita nel Brasile e su condizioni condivise oggi nel mondo da molti. In K_lab- interacting on the reality interface, è irrisolta , di nuovo, l’identificazione e separazione di due mondi, apparentemente comunicanti ma rigidamente chiusi nei loro confini: mondo della scienza occidentale vincitrice e fruttuosa, mondo dell’Africa, il Niger, improvvisamente  abbandonato alla regressione dello sviluppo e all’avanzamento della desertificazione. Meneghetti ê chiamato a raccontare la relazione tra i due mondi, in base all’enorme documentazione scientifica del successo ottenuto dal progetto  governativo italiano di bloccare la desertificazione, con la piantagione di 25 milioni di alberi e con complesse opere di irrigazione attraverso  tecniche culturalmente e operativamente realizzate dalla popolazione locale. Nell’opera dell’artista niente documenti, faldoni, statistiche del successo pur ottenuto dagli scienziati ed interrotto dai politici. Con la sua capacità trans-generi (trans-gender) e trans- mediale (trans-mediality), Meneghetti struttura l’opera in un’unità semantica inscindibile: vi è un’unità artistica complessa che si articola in parti che sono esse stesse opere individuali:  proiezioni, sculture, installazioni audio/video, video-cabine, che la compongono. Queste ultime una invenzione di Meneghetti e la procedura originale: i soggetti, in questo caso i nigerini, sono chiamati a parlarci, della loro visione di Dio, dell’Amore, della vita, del futuro, del denaro restituendoci ed universalizzando la vita e le concezioni di quel luogo lontano, che la scienza ha aiutato e la politica ha abbandonato (1). Sia le opere che i Montage  sono il compiere su di sé, cioè sulla propria storia personale di filmaker artista, un montaggio guidato dal montaggio stesso (la composizione astratta di frammenti filmici suoi),  la costruzione guidata dal suo inconscio politico e culturale. Emerge come fatto dominate la padronanza tecnica, quando egli dava ad alcuni dei suoi montage titoli come jump, fade in, piano sequenza: ma è evidente che César Meneghetti si fa fare dal suo stesso farsi, apprendendo dalle sue stesse opere. Come egli stesso scrive  “in fondo la tecnica, il Montage, è solo uno spunto per parlare d’altro, indagare sul linguaggio e la diversità nelle culture e nei mondi che ho vissuto personalmente in sud America, Gran Bretagna, Italia, così ricercando una propria identità personale, transnazionale, orizzontale”. É evidente nell’artista sin dagli anni della sua formazione il rapporto critico con le tecniche. In modo inconscio ma consapevole, César Meneghetti ha usato ad esempio (in Montage 6 e in  Montage 7) lo split-screen, volendo attribuire una contemporaneità di tempo e di luogo, l’idea della fusione ed indistinguibilità delle strade di due città così diverse  come San Paolo del Brasile e Roma o come Londra e Roma. Come egli stesso scrive nell’intervista del 2006 (2). Un iper-non- luogo, una realtà evocata dal modo d’uso della tecnica e dell’immagine. Il modo d’uso dei media tutti disponibili all’artista contemporaneo e l’eccellenza formale tesa ai limiti dell’astrattismo, non escludono il soggetto, anzi assistiamo a un ritrovamento del centro, un centro che si sposta continuamente, un centro nomadico, in un intreccio infinito di individui, luoghi o contesti, dunque la componente etico critica diventa il nuovo protocollo dell’arte. Una nuova soggettività senza espressione ma con sapienza (3). Quando ho invitato César Meneghetti a lavorare su e con persone disabili, l’artista si sapeva chiamato a una nuova scena della verità attraverso l’arte, ma non sapeva che avrebbe infranto il confine ambiguo tra realtà e rappresentazione, portando con un processo creativo condiviso un rivoluzionamento vero e proprio  in quella realtà di condizione e nella propria stessa realtà. Il rivoluzionamento grazie al processo relazionale messo in moto da Meneghetti con un processo condiviso con persone disabili – e con l’educazione alla libertà nel modo d’uso dei media, quindi  al concetto attuale di arte- è azione che egli compie al culmine di un processo di svelamento e di liberazione da una condizione reclusiva e discriminata da anni avviato attraverso atti istituzionali  concreti dalla Comunità di Sant’Egidio con le leggi sulla creazione di percorsi non differenziali nella scuola (legge n.517 del 1977 e legge 270 del 1982) con la creazione di impresa e di lavoro e con la creazione dei Laboratori d’arte: ne abbiamo parlato nel libro a più mani Con l’arte Da disabile a persona (5). Se era già dimostrata la intelligenza e la capacità comunicativa delle persone con diverse disabilità fisiche e neurologiche anche attraverso gli strumenti della comunicazione aumentativa (W.O.C.E. Written Output Communication Enhancement), che cosa poteva fare di più l’arte e l’artista, e come? Non si può dire che César Meneghetti non fosse un artista adatto. 

In I/O_IO È UN ALTRO il tema centrale del confine, del doppio registro persiste, ma la rappresentazione o metafora della insolubile contrapposizione di visioni culturali opposte (presente in opere precedenti e persistente in tanti artisti contemporanei), diventa passaggio vero e proprio da una condizione ad un’altra, cambiamento della condizione :è un grande passo, è una rivoluzione, poiché ora io so la mia diversità, uso la mia disabilità e la mia intelligenza, creo, ironizzo , comunico. Morirà il pregiudizio, un giorno, se ho sofferto posso ricordare perché e al muro del disprezzo posso opporre la consapevolezza raggiunta dell’ infondatezza di esso. Si può dire che il cambiamento sia nel linguaggio dell’arte? Si e no. “Si, come scrive César Meneghetti,  siamo tutti parte di un corpo unico. I/O, uno/zero, (OPERA=05  BIOGRAFIE MINIME) come se gli uno e gli zero si riunissero e formassero un linguaggio, come accade con la new media art concettualmente indagatrice, tecnologicamente innovativa e socialmente/ culturalmente critica. I mezzi utilizzati, il parallelismo di I/O (uno/zero) mettono in primo piano le relazioni critiche tra cultura digitale e cultura in generale(…) In questo lavoro come nei nuovi media bisogna rimanere in puro flusso d’immagine in modo di essere veri (…) Il nostro impegno non è più solo quello di rappresentare, ma trovare un modo di de-codificare. De-codificando possiamo anche cambiare” (6). E no: dopo la crisi del moderno l’artista ha conquistato la possibilità infinita d’uso, nell’arte, di tutti i media e di tutti i dispositivi: il nuovo è solo quell’altro moderno(alter modern) in atto nell’infinità dei mezzi che si possono usare e dei processi che si possono scegliere. Il cambiamento è solo nelle persone, in un processo infinito della vita e della creazione stessa dell’arte. L’opera e la verifica si passano il testimone, in un processo infinito dell’artista con l’altro che nell’opera cristallizzano il presente sempre passato, iscrivendo il tempo con segni. La doppia rivoluzione o liberazione interiore di cui a più riprese parla César Meneghetti per sé e per gli altri relazionati, non è che la cancellazione del confine che separa visioni e condizioni di diversità da condizioni di conformità coatta, soluzione dello scontro  tra soggetto e realtà vissuta e subito persa. L’opera d’arte-oggetto, la cristallizzazione o segno temporaneo di processi vitali, relazionali, percettivi, è  inadeguata nella sua essenza a rappresentare a testimoniare il processo di cui pur tuttavia è momento integrante.

Ma l’arte è tale articolato, sconfinato, processo.


 César Meneghetti, .I/O_ WORK #14, SISTERS C, 2011, still from videoin progress, mono channel hd video color

César Meneghetti, Montage2, Quelli di sotto, 2000

César Meneghetti, Montage2,Quelli di sotto, 2000

César Meneghetti, Montage, still dal video, 2002-2003, 4’54”

César Meneghetti,  K_lab_interacting on the realiyt interface, fotogramma, 8 channel videoinstallation, 2008, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza di Roma (see: www.luxflux.net, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea- Archivio mostre-2008)

César Meneghetti,  K_lab_interacting on the realiyt interface, 8 channel videoinstallation, 2008, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza di Roma (see: www.luxflux.net, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea- Archivio mostre-2008)

César Meneghetti,  K_lab_interacting on the realiyt interface, video object sculpture, videoinstallation’s detail, 2008, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza di Roma (see: www.luxflux.net, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea- Archivio mostre-2008)

César Meneghetti,  K_lab_interacting on the realiyt interface, video object sculpture, videoinstallation’s detail, 2008, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, Sapienza di Roma (see: www.luxflux.net, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea- Archivio mostre-2008)

César Meneghetti, .I/O_ WORK #14, SISTERS C, 2011, still from videoin progress, mono channel hd video color.

Il Museo Laboratorio di Tor Bellamonaca (ex-lavanderia di quartiere) della associazione Gli Amici della Comunità di Sant’Egidio, nel quale si sono realizzati alcuni degli incontri  e lavori dell’artista insieme a persone disabili. Foto Simonetta Lux

César Meneghetti,  I/O_ WORK #01 VIDEOCABINA #03, 2013, still from video hd, color, 38’45”

César Meneghetti, foto di Aniello Bosco.