1, Rosalind Krauss,
Teoria e storia della fotografia
, a cura di Elio Grazlioli, Bruno Mondadori Editore, Milano 1996,

cap. II: L’impressionismo:
il narcisismo della luce
.

2, Fonte: http://www.universes-in-universe.de/car/venezia/
bien49/plat1/e-bruguera-int.htm
.

3, 9° Biennale de La Habana ,
27 marzo-27 aprile 2006.
4, Fonte: http://www.universes-in-universe.de/english.htm .

ART IN THEORY                                                                                                                         Nuovi protocolli dell’arte

Nel novembre 2000 incontro per la prima volta il lavoro di Tania Bruguera. Nell’antica fortezza de La Cabaña, in un pomeriggio caldo e silenzioso, per l’apertura alla stampa della 7° Biennale de La Habana dal tema Uno más cerca del otro (Uno più vicino all’altro), subisco l’impatto con un luogo, ancora militare, le cui porte di ex galere ed ex dormitori, ora aperte e pulite, appaiono cariche di un passato (quello antico cinquecentesco dell’occupazione spagnola) in qualche modo ancora inquietante. Certo è eccitante l’atmosfera interculturale, l’idea dell’avvicinamento e dell’incontro tra le culture dei paesi sudamericani, caraibici, asiatici, senza la mediazione estraniante dei network audiovisivi globali. Al di fuori delle antiche architetture militari, sotto un albero, accanto a una specie di collina, si intravede una fila di critici e giornalisti. C’è una discesa di quattro gradoni malmessi ed un cancellone che immette in un luogo sotterraneo ed oscuro. Si può entrare in non più di poche persone per volta. Aspetto. Nel caldo, un odore quasi marcescente, insopportabile, dolciastro ci raggiunge da dentro. Un cartellino recita: Tania Bruguera, Ingegnere dell’anima (il giorno dell’inaugurazione diverrà: Senza titolo ). Si entra infine e passando attraverso uno stretto corridoio affiancato da celle chiuse da sbarre, nel buio si arriva ad una crociera di quattro larghi ambienti a volta. Tutto il pavimento è coperto da canne da zucchero fresche, marcescenti – da cui l’odore forte – nella cui immersione perdiamo il senso prima provato di insopportabilità: diviene parte del nostro respiro, si accetta. Una luce azzurrastra soltanto proviene dal centro della crociera, in alto vi è installato un video, che in loop riproduce l’immagine di Fidel Castro che parla e per 4 volte si apre la camicia sul petto nudo battendosi il petto indicando il suo cuore. Nel buio tre o quattro ombre di uomini e donne nude si intravedono: fanno il gesto di lavarsi continuamente, ossessivamente. Intanto, nel buio, mi sento bene nel maleodorante puzzo di marcio: quanto l’uomo si abitua e, se l’automatismo cerebrale non sente il pericolo di morte, accetta. Che cosa fa Fidel? A chi e quando si rivolge? Che dice? (Non si riesce a sentire: il suo gesto diventa un segno nell’opera. E gli spetta, o – come direbbe Sartre: “ben gli sta” – se, come sappiamo, oggi sostiene l’arte e ne tollera l’intima sostanza critica. Manca solo l’ultimo passo all’estensione totale di tale tolleranza democratica). E il lavacro del senso di colpa, che si dà ai suoi piedi, che moto è dell’anima? Tania Bruguera, ogni volta, pone al centro della sua opera due o tre questioni che oggi volgarmente si direbbero “glocal” (globali/locali), eppure nazionali e internazionali, universali. Pone inoltre in tensione la questione del “soggetto”, dell’individualità, articolandola seppur non espressamente alla politicità. Si tratta di temi e questioni che sono non solo al centro del percorso artistico contemporaneo, “tentativo incessante di riflettere l’organizzazione della coscienza”, come scrive Rosalind Krauss nel suo Teoria e storia della fotografia (1), ma sono propri dell’esplorazione e della condizione dell’uomo moderno nel suo articolarsi con i sistemi socioproduttivi dominanti nel mondo occidentale ed oscillanti – nel bene e nel male – tra capitalismo e socialismo. Un’esplorazione che l’artista – più o meno programmaticamente e più o meno consciamente – ha condiviso con i teorici ed osservatori della politica e dell’economia, con i filosofi, con gli scrittori, con i poeti. Lo sfondo dell’opera della Bruguera è indubbiamente il suo paese, in cui è orgogliosa di dichiarare la residenza (pur essendo un’artista cosmopolita che viaggia e opera in tutti i maggiori centro del mondo occidentale). Cuba è il solo paese che ha raggiunto gli obiettivi della rivoluzione e del progetto socialista dell’equa distribuzione dei beni e della condivisione dei servizi fondamentali della comunità: casa, scuola, sanità. Che cosa non viene dato all’uomo? Dove e come si tollera il soggetto? A quale prezzo e con quali mezzi viene costruito il senso di appartenenza, di partecipazione allo scopo sociale e politico della sopravvivenza e dello sviluppo? E il desiderio? E la costruzione dell’immaginario e del simbolico? E la sensorialità (il corpo) in relazione alla razionalità (la mente e i suoi processi critici)? Che fine ha fatto la dialettica di natura interpolata dalla cultura, dalla costruzione del consenso, dalla induzione al consumo, dalla omnidiffusione dei simulacri, dalla defunzionalizzazione od estraniazione o delocazione dell’unità segno/significato? La messa in scena della Bruguera non può soggiacere a nessuna etichetta definitoria (installazione?): tutti i mezzi, astratti e concreti, sono magistralmente usati nella finalità etica dell’opera (la “condotta” dell’autore, il ruolo “testimoniale”) e convergono implicando cultura di mezzi già esplorati dall’arte della seconda metà del Novecento delle Neoavanguardie e innovazione nel metodo. Il vuoto e il pieno, il buio e la luce, l’odore e l’impraticabilità, il movimento, il quotidiano e il reale. Proprio l’immissione di elementi concreti/astratti come la canna da zucchero o la registrazione di una delle tante apparizioni del líder maximo , del padre della patria Fidel, connotando l’individuazione nell’universalizzazione dei segni (i dati della sensorialità: sentire, vedere, ascoltare) e del messaggio, fanno dell’opera di Tania Bruguera il protocollo dell’arte che risoggettivizza ma ancora una volta e di nuovo (come avvenne nell’apertura Situazionisti alla metà degli anni Cinquanta) ritesse la possibilità di cogliere il quotidiano, il politico, il reale. In più interviste ed in altre opere precedenti e successive Tania tocca temi ricorrenti: la condizione e l’autosservazione dell’uomo a Cuba, la relazione internazionale, la questione e il senso della colpa, l’indifendibilità del tempo interiore dell’uomo che vive la postmodernità e la multimedialità dall’invadente ossessione di suoni e immagini attraverso i media. L’opera che Tania Bruguera realizza per la 49° Biennale Internazionale d’Arte di Venezia (giugno-novembre 2001) la videoinstallazione La Isla en Peso , ispirata all’omonimo poema prerivoluzionario del poeta e intellettuale cubano Virgilio Piñera del 1943, è connessa a temi specifici: l’insularità di Cuba, la relazione con la realtà internazionale e come erano e sono gli uomini. Nella successiva intervista a Tania Bruguera (2) sul suo lavoro presentato alla Biennale, Pat Binder e Gerhard Haupt tendono a ritrovarvi qualche racconto sulle difficoltà sociali, su ciò che è sempre stato proprio della sua gente: la prostituzione, la dipendenza dagli stranieri, la lentezza ed il peculiare ritmo di vita cubano. Nell’opera, Tania Bruguera affianca immagini/autoritratti quasi fissi con diverse espressioni al suono dell’installazione composto di ritmi e voci della strada, rielaborati al computer. Questo suono – che alcuni dicono sembrare il suono di una fattoria o di un recinto di pecore – e che è volutamente in contrasto con le immagini più poetiche dell’installazione audio-video, “insinua – dice Tania – l’idea che siamo a Cuba, ed un pò come la pecora… abbiamo interiorizzato la soggezione, la sottomissione… e lasciamo andare le cose come vanno”. E prosegue: “ È perciò che questa poesia ( La Isla en Peso , n.d.r.) non ha perso nulla della sua validità… perché è così che siamo e non siamo cambiati”. L’artista opera uno speciale détournement del testo poetico, che viene indotto ed integrato all’installazione nella sua autenticità pur nel suo ricollocamento spaesato e “fatto funzionare” in relazione alla “invisibile” situazione attuale, condizione dell’uomo e della vita. La questione del rapporto con la politica si pone lucidamente come un’individuata questione – ma universale – del rapporto tra arte e potere: straordinaria la messa a fuoco di una procedura che nell’intervista pubblicata di seguito al saggio, Tania definisce “meccanismi di trascendenza politica della metafora”. Come appare da tante sue opere, è metodologicamente fondamentale incentrarsi sulla “pratica della metafora” e sul suo rapporto con la censura, “ gesti compiuti proprio perché siamo perfettamente padroni dei meccanismi di trascendenza politica della metafora. Noi artisti siamo coscienti ed abituati a questo meccanismo, sin dagli anni Ottanta”. Nel lavoro dell’artista, come in quello di molti altri della sua generazione, la sottile e sofisticata azione di transcomunicazione del senso delle opere avviene spesso con una trasposizione in modello esemplare di un intervento reale, come ad esempio la trasformazione di vecchie prigioni in scuole, senza che si apra la questione della galera e dell’imprigionamento, magari per reati di opinione. Ma questo non implica una cieca reazione critica circoscritta: di grande interesse per il protocollo dell’arte dell’ultimo quindicennio, è la consapevolezza di quest’artista (e di altri artisti di cui parleremo) di trovarsi ad istituire un’arte che non vuole fare parte del mondo e del sistema occidentale. Un’arte che rifiuta il modello culturale dato, in primo luogo dagli Stati Uniti (che proprio per questo temono) che tentano di esportare “democrazia” e “modelli”. La conseguente resistenza a tale imposizione è la condizione dell’emergere autentico dei cosiddetti Orienti e Sud del mondo . Qui si gioca la tensione dialettica di tutta la cultura e di tutte le acquisizioni metodologiche, processuali e mediali dell’arte, e della cultura dalle avanguardie alle neo e post-avanguardie: un sapere cosmopolita che le ultime generazioni emergenti “post-est”, postcoloniali e sud americane padroneggiano. È l’affermazione di nuovi modelli e protocolli dell’arte che di tutta la tradizione moderna trattengono un elemento determinante, motore dell’innovazione ed originalità allo stato nascente: il ruolo dell’arte come azione critica – con mezzi e linguaggio peculiari – contro il potere comunque organizzato. “ Quello che temo è il mio rapporto con l’esterno. Ora che sono entrata nel giro internazionale dell’arte e che ho superato quella che molti potrebbero definire una tappa importante, ho il terrore di essere osservata dall’esterno come un fenomeno esotico. Il pericolo di essere considerata parte di una realtà locale e per questo diversa ed interessante solo in virtù della mia esoticità è sempre presente […] Credo che per sfuggire a questo meccanismo l’artista dovrebbe cercare di fare la sua ricerca focalizzandosi sul punto di vista umano. In questo modo è più difficile diventare un fenomeno esotico”. Nell’ultima Biennale de La Habana (3) Tania, come aveva fatto nel 1997, presenta una specie di lavoro nella sua casa. Nel 1997, il 4 maggio, ha tenuto una performance nella sua casa all’Avana Vecchia dal titolo Il peso della colpa . L’artista, di fronte ad una bandiera cubana che lei stessa aveva tessuto con capelli umani e con un agnello sgozzato appeso al collo, ha mescolato e poi mangiato per circa 45 minuti terra cubana e acqua. Come spiegò più tardi, la performance era un’allusione al suicidio rituale praticato dai nativi dell’isola. Mangiando grandi quantità di terra, molti di loro si tolsero la vita di fronte alla minaccia dei conquistatori spagnoli. La casa dell’artista era aperta sulla strada e perciò il pubblico includeva insieme i visitatori della Biennale provenienti da tutto il mondo e la gente del suo quartiere, del bar al di là della strada (4). Oggi che il suo impegno creativo si è tradotto in formativo (e perciò intrinsecamente politico) ed ha disseminato l’idea del ruolo critico dell’arte, Tania apre la sua casa-studio ad ogni giovane artista nato nei suoi corsi di Arte de Conducta all’ISA (Istituto Superior de Arte) o a giovani indipendenti, e ad ognuno fa presentare la propria opera e teoria. È questa la vera opera di Tania Bruguera alla La 9° Biennale de L’Avana a Cuba.

 

 

Dall’alto:
Tania Bruguera, Studio per l’Installazione Autobiografia , giornale, colla e carboncino su carta, Museo Nacional de Bellas Artes, L’Avana, VIII Biennale dell’Avana, novembre 2003. Foto di Lucrezia Cippitelli.
Tania Bruguera, particolare da Autobiografia , 2003, Palacio de Bellas Artes. Ristampa su giornale di due manifesti rivoluzionari degli anni Sessanta.
Tania Bruguera, Autobiografia , installazione al Museo Nacional de Bellas Artes, L’Avana, VIII Biennale dell’Avana, novembre 2003. Still dal video documentario Con todos y para el bien de todos prodotto dal MLAC in occasione della Biennale.