Note:

(1)http://www.irational.org/cybercafe /backspace/netart.txt

(2)http://it.wikipedia.org/wiki/Netstrike

(3)http://www.x-8×8-x.net/ netstrike/archivio/index.html

(4)http://www.wikiartpedia.org/ index.php?title=Home_Stewart

(5)http://isole.ecn.org/hackerart/ visionatotale.php?ID=6162& argomento=Plagiarismo&autore= Bartolucci%20Gabriele 

(6)Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), ed. it. Einaudi, Torino 1996, p. 20. 

(7)Ibidem, p. 23. 

(8)Lev Manovich, Il Linguaggio dei Nuovi Media, Edizioni Olivares, Milano, 2002, p. 76.

(9)http://www.noemalab.org/sections/ ideas/ideas_articles/netart.html

(10)http://www.mediamente.rai.it/home/ bibliote/intervis/c/costa.htm 

(11)Tatiana Bazzichelli, Networking, La rete come arte, Costa&Nolan, Milano, 2006, p. 50.

(12)http://www.dvara.net/HK/ Defacement-siino.pps#256,1

(13)Ibidem.

(14)http://www.dvara.net/HK/ Defacement-siino.pps#256,1

(15)http://www.lutherblissett.net/ archive/478_it.html

(16)http://www.domenicoquaranta.net/ dispense/Leggenda_netart.
pdfgenda_netart.pdf

Bibliografia:
Andrea Balzola, Annamaria Monteverdi, Le arti multimediali digitali,storia, tecniche, linguaggi, etiche ed estetiche delle arti del nuovo millennio, Garzanti, Milano, 2004.

Giuseppe Marano, Marco Deseriis,Net Art, l’arte della connessione, Shake edizioni, Milano, 2003.

George P. Landow, L’ipertesto. Tecnologie digitali e critica letteraria, a cura di P. Ferri, Bruno Mondadori, Milano, 1998.

Lev Manovich, Il Linguaggio dei Nuovi Media, Edizioni Olivares, Milano, 2002.

Lorenzo Taiuti, Multimedia, l’incrocio dei linguaggi comunicativi, Meltemi, Roma, 2004.

Mario Costa, L’estetica dei media. Tecnologie e produzioni artistiche, Capone, Cavallino di Lecce, 1990.

Tatiana Bazzichelli, Networking, La rete come arte, Costa&Nolan, Milano, 2006.

Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1936), ed. it. Einaudi, Torino, 1996.

Web:
sTRANOnETWORK
http://strano.net/

0100101110101101.org
http://www.01001011
10101101.org/

The Yes Men
http://theyesmen.org/

Etoy
http://www.etoy.com/

Luther Blisset Project
http://www.lutherblissett.
net/index_it.html

“The main tool of Net.Art is the hyperlink through which one WWW document can be linked to another, no matter where on the Internet that second document is located. This means that (if we disregard the documents that allow only restricted access) all the millions of documents on the WWW are potentially linkable, they belong to the same horizontal surface of material, a felt of singularised objects, on which artists and designers can draw”. (1) 

Oltre alla ovvia potenza del link, dell’ipertesto e, quindi, della rete, la net.art sfrutta, per il raggiungimento dei propri scopi, moltissime strategie, vecchie e nuove, derivate dalle avanguardie e da movimenti artistici precedenti o direttamente scaturite dalle nuove tecnologie e dalla telematica.

Il netstrike è un chiaro esempio di come le tradizionali forme di espressione e di protesta siano state recuperate all’interno di un diverso contesto, arricchite e riformate, fino al raggiungimento di un significato differente. La tradizionale manifestazione pacifica che si tiene nelle strade è diventata un sit-in virtuale, una cyberprotesta, “un attacco informatico non invasivo che consiste nel moltiplicare le connessioni contemporanee al sito-target al fine di rallentarne o impedirne le attività”. (2) 
Il corteo telematico è nato in Italia all’interno dell’associazione sTRANOnETWORK nel 1995, quando Tommaso Tozzi lo propose per la prima volta per protestare contro gli esperimenti nucleari francesi di Mururoa. Da allora, specialmente in Italia, ne sono stati organizzati molti, tra cui uno nel 1996 contro il sistema della giustizia americana e a favore di Mumia Abu Jamal e Silvia Baraldini, (grazie al quale venne bloccato per dodici ore il sito della Casa Bianca), uno nel 1998 promosso dalla Anonymous Digital Coalition contro il governo messicano per protestare contro le politiche messe in atto nel Chiapas che bloccò diversi siti finanziari, e nel 2000 un altro contro l’OCSE, il cui server risultò irraggiungibile per mezza giornata. “Il Netstrike è una manifestazione di massa di dissenso civile pienamente legittima e legale! Collegarsi in (almeno) migliaia di persone contemporaneamente a un determinato indirizzo web in Rete offre la possibilità, ricorrendo alle nuove tecnologie, per manifestare una protesta pubblica”. (3) Ebbene, il netstrike, o virtual strike, è una pratica ricavata dalla tradizione e trasformata in attacco informatico ed atto artistico al medesimo tempo.

Il plagiarismo è, invece, una delle pratiche più usate dai net.artisti che proviene senza mezzi termini dalla precedente esperienza neoista. Il primo ad utilizzare il termine plagiarismo è stato, infatti, Stewart Home, il quale fu anche il promotore dei Festival del Plagiarismo (il primo si è tenuto a Londra nel 1988), la cui genesi si trova nei Festival Neoisti d’Appartamento. Opponendosi al dilagante culto del genio di derivazione romantica (a sua volta interpretazione della teoria del genio della Critica del Giudizio di Immanuel Kant), i neoisti affermarono che l’artista non è un individuo particolare che, ispirato, crea dal nulla qualcosa di originale; per sabotare tale credenza ed affievolire l’aura legata alla figura dell’artista utilizzarono, appunto, metodi come il plagiarismo e l’uso dei nomi collettivi. L’obiettivo era quello di fornire delle alternative valide alla consuetudine. “Il plagiarista è colui che dichiara esplicitamente l’appropriazione e l’uso dei materiali altrui. Le condizioni del suo intervento sono trasparenti, e si intende invitare il destinatario a proseguire il lavoro intrapreso. Proprio in virtù di questo orientamento aperto alla reinterpretazione, il plagiarista manipola spesso materiali chiusi, immodificabili, protetti da copyright”. (4) 
Il concetto neoista di plagiarismo è stato recuperato ed ampiamente adoperato dai net.artisti perché, data la capacità delle nuove tecnologie di rendere identiche la copia e l’originale e a causa della natura rizomatica e condivisa della rete, il concetto di unicità e di irriproducibilità dell’opera e quello di artista unico perdono già chiaramente di senso. Navigare in Internet significa di per sé archiviare migliaia di pagine visitate, appropriarsi di dati e creazioni di altri, spesso sviluppandole, modificandole e ridistribuendole in rete. Oggi, “essere plagiaristi significa in primis avvalersi di una tecnica artistica specifica del medium internet, […] mettere in atto una performance, che rivela la natura del mezzo in questione”. (5)
Il plagio in rete può essere una pura clonazione artistica, quando cioè la copia di un sito già esistente viene pubblicata, identica, su di un’altra url, come nel caso del primo plagio artistico della rete,Ducumenta Done di Vuk Cosic. Oppure può avvenire modificando leggermente grafica o contenuti del sito originario, come nel caso del sito del Vaticano, www.vatican.va, la cui contraffazione, www.vaticano.org, era stata realizzata accogliendo notevoli variazioni di senso pur mantenendo inalterato l’impianto grafico. Gli autori, gli italiani 0100101110101101.org, come molti altri net.artisti hanno fatto del plagio in rete un vero e proprio credo, realizzando siti clone ad alto impatto simbolico come nel caso dei siti clone di www.kell.com e di Art.Teleportacia. In quest’ultimo ad esempio, il duo bolognese ha reso manifeste le contraddizioni cui necessariamente va incontro una galleria che voglia vendere delle opere riproducibili all’infinito e identiche all’originale, per ribadire che con le nuove tecnologie l’idea di originale è ormai venuta meno e che in rete il concetto di plagio è persino paradossale. 
Gli Yes Men, invece, hanno creato Reamweaver, un software parodia di Adobe Dreamweaver, che serve esclusivamente a clonare i siti web e a tenerne sempre aggiornate le copie.

La replicazione in epoca digitale ha da sempre scatenato interessanti dibattiti. Se è vero che “in linea di principio l’arte è sempre stata riproducibile. Una cosa fatta dagli uomini ha sempre potuto essere rifatta dagli uomini” (6), è altresì vero che soltanto con le tecnologie digitali l’originale e la copia possono risultare identiche, senza perdite di informazioni e qualità nel passaggio dall’una all’altra. “Le circostanze in mezzo alle quali il prodotto della riproduzione tecnica può venirsi a trovare possono lasciare intatta la consistenza intrinseca dell’opera d’arte – ma in ogni modo determinano la svalutazione del suo hic et nunc. […] cioè: la sua autenticità […] ciò che vien meno nell’epoca della riproducibilità tecnica è “l’aura” dell’opera d’arte” (7). Questo percorso, come dice Walter Benjamin, è stato aperto dalla fotografia, che ha cambiato il concetto di opera creando opere già predisposte alla riproduzione. A proposito della fotografia, Lev Manovich ha messo in discussione, per smentirlo, il mito del digitale. Ha sottolineato come le immagini digitali siano normalmente più predisposte, rispetto a quelle analogiche, a subire una significativa perdita di qualità durante la copia. In effetti, pensando a quanto avviene quotidianamente in rete, si tende generalmente a comprimere le immagini digitali, utilizzando estensioni come .jpg o .gif, riducendo considerevolmente la quantità di dati (per esempio il numero dei colori) presenti nell’originale. “La digitalizzazione comporta inevitabilmente una perdita d’informazioni. Diversamente dalla rappresentazione analogica, la rappresentazione a codifica digitale contiene un quantitativo fisso d’informazioni”(8). Questo, però, è vero per quanto riguarda le immagini e soprattutto riguarda la prassi comune di trattare il materiale da copiare, ma a un più ampio livello teorico, da un punto di vista logico e concettuale, la tecnologia digitale è la via per replicare all’infinito ed eliminare le differenze tra prodotto autentico e duplicato. Pertanto, come è chiaro che per comodità si tenda a comprimere un’immagine, è ugualmente chiaro che questo non debba avvenire necessariamente. Il limite dell’analogico, il fatto che durante la riproduzione la copia perda oggettivamente degli elementi rispetto all’originale e che non possa mai essere esattamente uguale, è stato realmente superato soltanto dalle tecnologie digitali. Nel caso della tecnica analogica, l’originale mantiene delle sue peculiarità che, seppur minime, sono sufficienti per decretarne il valore e l’autenticità, mentre nel caso delle tecnologie digitali queste caratteristiche scompaiono: con esse muore l’aura dell’opera. “Per la prima volta con la net.art si è realizzata la profezia (perché non di altro si trattava) di Walter Benjamin “l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”: il “copy-paste” può divenire atto creativo, il download e l’upload possono divenire atti creativi. Sarebbe sbagliato ignorare queste potenzialità di rinnovamento dell’arte […] Se non esiste l’originale non esiste nemmeno l’imitazione. Se non esiste più l’autore non esiste nemmeno l’allievo. Sogniamo centinaia di 0100101110101101.ORG che replicano siti all’infinito, vorremmo vedere centinaia di JODI e di HELL, tutti diversi, tutti originali”. (9) La replicazione, che è ormai clonazione, il plagio, sono contemporaneamente atti artistici, operazioni concettuali volte ad annullare l’aura dell’opera, e strumenti pratici, funzionali ed efficienti, nella lotta sociale attivista. Mario Costa ha anche detto che “parlare di un’aura dell’opera d’arte non ha più assolutamente senso. Non sono invece d’accordo quando crediamo di poterci, oggi, muovere ancora nell’ambito della nozione di riproducibilità tecnica, così come Benjamin la tratta e la esperisce. Questo saggio di Benjamin è servito da matrice ad una infinità di libri e di ricerche, viene citato in molte sedi di studio, ma oggi, a mio avviso, siamo molto più in là. Oggi la questione non è più quella della riproducibilità, ma quella della producibilità; è quella della producibilità elettronica in tempo reale, è quella del tempo che annulla se stesso. Invece che riprodursi, il tempo si annulla, si autoannulla, si reitera, vive in atto come tempo reale e come tempo tecnologico […] non più la copia originale è poi riproducibile, ma la nozione stessa di riproducibilità con l’elettronica e con le reti non ha più senso”. (10) 
Un concetto strettamente connesso ai fenomeni della clonazione e del plagiarismo, oltre a quello del gioco identitario, è quello situazionista del détournement, di cui gruppi come Etoy fanno grande uso, accanto all’impiego di altre differenti tattiche di vandalismo creativo. “Per détournement si intende l’atto di sovvertire forme comunicative quotidiane – dai cartelloni pubblicitari alle immagini filmate – appropriandosi del segno linguistico per realizzare una “sovrascrittura semiotica”, isolandolo e inserendolo in un contesto altro, svelando la finzione del comunicare per guardare alla realtà con occhi diversi”. (11) 
I Situazionisti avevano a loro volta preso il termine détournement dal Movimento Lettrista, un movimento poetico d’avanguardia fondato a Parigi nel 1952 da Isidore Isou. Il Lettrismo si occupò di studiare il tempo libero, in quanto potenziale domicilio di azioni rivoluzionarie all’interno della società capitalistica e, pur centrandosi nella scrittura e nell’architettura, sperimentò tecniche ed elaborò teorie di critica della società, considerata, come lo è anche da molti net.artisti, madre di svariate forme di coercizione psicologica sugli individui. Altre pratiche molto diffuse nella net.art, complementari a quelle descritte sinora, sono l’omografia ed il defacement.

Con il termine omografia “si intende l’apparente identicità di due indirizzi Internet che si realizza registrando un dominio simile a uno esistente, ma che in realtà si compone di numeri e/o caratteri tratti da alfabeti nazionali (cirillico, etc.), seppur simili alle lettere dell’alfabeto dell’Europa occidentale di cui si compone il dominio esistente […] Il numero 0 e la lettera O sono graficamente identici. I caratteri ?, c, ?, o, ?, ? sono omografi dei cirillici ?, ?, ?, ?, ?, ?, anche se la pronuncia differisce”. (12) È in virtù di questo che, ad esempio, è stato registrato il sito microsoft.com, in cui invece della o è stato usato il carattere cirillico ?. Quindi l’omografia è utilizzata spesso al fine di registrare domini simili ai domini target dei siti delle organizzazioni che si intendono colpire, facendo in modo che gli utenti, dopo l’uso del motore di ricerca o dopo aver digitato erroneamente la url nell’apposito campo del browser, o tramite link, siano dirottati sul sito prescelto dagli attivisti. “La registrazione di un dominio omografo a quello di una multinazionale permetterebbe di mettere on line dei materiali che possono interferire con la comunicazione ufficiale della stessa, provocando anche dei danni economici”. (13)

Il dirottamento digitale è una strategia diffusissima, ottenibile anche sfruttando metodi diversi dall’omografia, soprattutto per la diffusione di messaggi che, altrimenti, faticherebbero a raggiungere un numero adeguato di utenti. XXX di Alexei Shulgin sfrutta l’immaginario pornografico per attrarre un grande flusso di navigatori e dirottarlo su contenuti legati al mondo artistico, in modo tale da raggiungere l’attenzione di una moltitudine di persone che, probabilmente, non si sarebbe mai interessata d’arte (chiaramente ironizzando sull’uso quotidiano che per lo più si fa di Internet). Un altro esempio divenuto famoso è il Digital hijack del gruppo Etoy, un rapimento digitale messo in atto per contestare il sistema con cui è gestita la rete ed il luogo comune secondo cui Internet è terreno democratico non rigidamente regolamentato da ristrette oligarchie.

Anche il defacement è una tattica comunemente impiegata per attaccare direttamente i target stabiliti e “consiste nella modifica della homepage (e a volte anche delle pagine interne) di un sito web, effettuata ottenendo un accesso al server che lo ospita. I contenuti originari vengono sostituiti con testi e/o immagini irridenti e critici, a volte nonsense […] un defacement mina la credibilità del sito colpito, che dimostra di essere vulnerabile”. (14) Mentre l’omografia è una pratica legale, il defacement non lo è, nonostante il fatto che, paradossalmente, arrechi usualmente danni di minore durata (chiaramente il web master del sito-target può ristabilire rapidamente i contenuti e l’assetto originari).

Un’altra tattica interessante, che a volte può portare anch’essa ad avere problemi con la giustizia, è quella del parassitismo, utilizzata in larga misura da gruppi come The Yes Men. Per realizzare progetti di sabotaggio e boicottaggio ai danni delle grandi Register Trade Mark, il modo migliore di agire è spesso quello di simularle. The Yes Men sono soliti comportarsi in modo parassitario, creando, dapprima, un sito copia di quello della società target e in seguito fingendosi rappresentanti della corporation stessa in modo tale, per esempio, da poter accedere alle convention e inscenare performances che servano a screditare pubblicamente il bersaglio. Le azioni degli americani Mike Bonanno e Andy Bilchlbaum non sono però, fini a se stesse, sono piuttosto dei test di soggezione all’autorità, che funzionano in modo non troppo dissimile da progetti come Darko Maver degli 0100101110101101.org. In entrambi i casi ci sono un attento studio preliminare dei meccanismi della comunicazione, un’applicazione minuziosa degli stessi ed una meticolosa strutturazione dei progetti.

Nel caso dell’artista inesistente, però, si è assistito ad un fenomeno molto particolare, quello della mitopoiesi, cioè la costruzione di un mito, che consiste nell’“usare le leggende urbane, le tecniche di intelligence, le strategie pubblicitarie, ma dirottando tutto ciò verso la creazione di una reputazione, di un personaggio – dapprima “virtuale” e poi, escrescendo, sempre più reale. […] saccheggiare e riadattare un patrimonio antichissimo di miti e archetipi comuni a tutte le società umane, poi rielaborato nell’arte e nella cultura di massa. Trovare alcune figure topiche, risalendovi dal cinema, dal fumetto e dalla letteratura seriale (“di genere”), per poi produrne una sintesi, basata su un massimo comune denominatore: una “reputazione” intesa come opera aperta, costantemente rimanipolabile, basata sul maggior numero possibile di “ritocchi” e interventi soggettivi” (15). Comprensibilmente, l’uso consapevole e ben articolato della mitopoiesi è comune anche al Luther Blisset Project e la ragione del suo utilizzo è la medesima: “Lungo il Novecento, la mitopoiesi è diventata la strategia di tutti quei movimenti che si opponevano all’altro grande meccanismo di legittimazione dell’arte privata dell’aura: quello offerto dal Mercato e dal Museo”. (16). Come si evince, oltre all’uso di mezzi nuovi e peculiari dell’arte della rete, la net.art è stata in grado di appropriarsi di tutta una serie di strumenti forniti dalle esperienze dei progenitori, dalle avanguardie al Neoismo, a Luther Blisset, modificandoli e sviluppandoli per destinarli ai propri fini.

Dall’alto:

Fig. 1 Darko Maver degli 0100101110101101.org, un esempio di mitopoiesi – 
http://www.wikiartpedia.org/
index.php?title=Darko_Maver

Fig.2 Il caso Dow Chemical degli Yes Men, un eclatante caso di travestitismo e parassitismo –http://www.wikiartpedia.org/index.php?

title=Il_caso_Dow_Chemical&printable=yes

Fig. 3 Museum Plagiarius di Solingen, in Germania, un museo dedicato al plagio artistico –http://www.plagiarius.com/e_museum.html

Fig. 4 Il Digital Hijack di Etoy, dirottamento digitale di massa –http://www.wikiartpedia.org/index.
php?title=Digital_Hijack

Fig.5 Netstrike del 1995 di StranoNetwork, il primo netstrike mondiale – http://www.thing.net/~rdom/
ecd/netstrikeitaly/netstrikeitaly.html

Fig.6 Ducumenta Done di Vuk Cosic, il primo plagio artistico in rete –http://www.wikiartpedia.org/
index.php?title=Documenta_Done