Tra il 20 e il 27 aprile 2009 Spalato/Split ha ospitato il secondo evento di carattere annuale di Extendend Performance. Ospite d’onore, il grande artista e performer Jusuf Hadžifejzović.

L’evento del 2009 tematizza un termine: DOPUST, che si può tradurre in inglese con break, leave, sabbatical, e in italiano: pausa, partire, sabbatico.

Dopust= vacanza=holiday; leave. Partire come uscire dal quotidiano ed entrare nell’immaginario o in un’altra dimensione: ma, come scrivono gli artisti curatori, anche con l’occhio aperto sulla dissoluzione economico-politica (chiusura delle fabbriche ed esportazione di capitali), culturale ed etica (grande diffusione per le strade di Spalato di manifesti contro la pratica della corruzione) di questo paese in transizione.

Certa è una volontà: riunire senza alcun residuo di contrapposizione etnica ciò che era unito prima della guerra civile che ha animato i paesi della ex-Jugoslavia.

Ospite d’onore l’artista della Bosnia Erzegovina Jusuf Hadžifejzović; Simonetta Lux invitata per un colloquio all’Accademia di Belle Arti (UMAS), dove insegna Sandra Sterle, una nota performer ed una degli artisti invitati. Curatori sono anche gli artisti e dj sperimentali elettronici o vj Marko Markovic, Bozidar Katic e Gildo Bavcevic. Ed inoltre Alen Celic, Ana Hofner, Boris Greiner, Bozidar Jurjevic, Dan Oki, Enver Hadziomerspahic-Enjo, Flaka Haliti, Hana Letica, Hrvoje Cokaric, Kristina Leko, Laura Garbstiene, Lina Rica, Milan Brkic, Il Gruppo: Porodica Bistrih Potoka, Bozidar Mandic I Sasa Stojanovic, Suzana Marjanic, Toni Mestrovic-Foto Niksa Rusic, Vanja Pagar, Zlatan Dumanic, Zoran Pavelic.

Il fatto che ne parli e lo supporti il Portale turistico di Spalato, ci appare indicare la strada diretta tra evento culturale e promozione turistica (http://www.macaknara.hr/pages/aquarium_01.html). Ma non è solo una questione di economia dell’arte: si tratta di una generazione che è competente tecnicamente sia nella musica elettronica sia nell’informatica, che ama la musica che amano tutti i giovani di oggi, ma la convertono in sperimentazione e ricerca. Una leggerezza proclamata che tuttavia nasconde una volontà di azione critica, attirandovi le generazioni del disperato e cinico puro consumismo (vedi il loro manifesto e concept: Dopust).

Gli eventi sono presentati in diverse locations: le performances, gli happenings multimediali e mostre interattive sono state per la maggior parte ospitate nell’edificio progettato per la città futura, un “Aquarium” abbandonato, in degrado, spettacolare tuttavia; nella sua nudità strutturale in cemento armato con strutture a vista, buio, dispiegato su più livelli, lungo oltre 100 metri largo 30. Un luogo “oscuro”, perso, da illuminare. Performances musicali con DJ e VJ sperimentali e gruppi musicali al vivo si tengono anch’essi nell’Aquarium.

Proiezioni e pubblici dibattiti si tengono nel Kocka klub (“The Cube club”), nella biblioteca Film library “Zlatna vrata” (“Golden gate”) e alla UMAS (Art Academy).

Gli artisti sono invitati, oltre che dalla Croazia, da Olanda, Austria, Finlandia, Ungheria, Polonia, Serbia, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Slovenia, Macedonia, Lituania: un pacchetto transnazionale, interessante anche per questo tratto che sembra voler essere un congedo (senza dimenticare le scissioni post Tito della Jugoslavia, le inutili guerre civili finalizzate a poteri extra-culturali e ad interessi non civili). La questione del superamento della memoria delle violenze etniche – che nessuno di questi giovani artisti ha condiviso – è un dato di fatto. Che ha certo un carattere diverso, ma concomitante, con la attuale ripresa di scambi economici e commerciali, indifferenti alle nazionalità e alle pseudo questioni identitarie.

Non è casuale che allo scopo dichiarato (con un occhio agli sponsors) del programma – rafforzare la vita culturale della città di Spalato – si unisce quello (rivolto a noi che navighiamo nella storia e nel “sistema dell’arte” smemorato) di tratteggiare e far apparire quella grande e già esistente (ma oscurata) vitale scena di autori, teorici, studenti operanti nella pubblica scena della vita, o delle arti e della cultura. Scopo dei giovani organizzatori e curatori, anch’essi artisti e musicisti o critici docenti dell’Accademia di Belle Arti di Split, è mobilitare la “massa critica” delle tante persone che hanno la capacità di realizzare e ispirare progetti di questa portata.

L’idea del contesto culturale e soggettivo critico in cui si va a collocare “Dopust” lo danno due azioni della precedente edizione lanciate su You tube. Uno è il video censurato di Tamira Kalajzic Transformation , design by “Visual Communications” (Split, 2007/2008). Quale lo scandalo? Il travestimento, la incertezza dell’identità sessuale e il dichiararlo. Nel video Tamia si veste e si trucca da uomo e dice: mi sento veramente in gran forma dentro queste vesti.

E d’altronde le scrive Dizajnerica, uno studente dell’Accademia di Belle Arti di Split di 23 anni nel blog (23737 accessi!): “I’m faking what? And what does the term “real female” mean? What is the definition of the real woman? Please explain it to me because you obviously know the explanation of that term” (vedi http://www.youtube.com/watch?v=UV7Jh-h4dM0).

L’altra interessante artista e docente di performance nell’Accademia di Belle Arti di Split è Sandra Sterle. Anche lei acida contro gli stereotipi e la costruzione degli stereotipi e delle finzioni emotive indotte: è nauseata. Infatti nel video del 2008 su You tube, dal titolo Dalmatinac, Sandra Sterle vomita per 40 minuti mentre va in replay la popolarissima canzone di Miso Kovac Dalmatinac (http://www.youtube.com/watch?v=IFzLt2ohado).

La dominanza della azione performativa, che si richiama alla matrice di “cinema espanso” o “altro cinema”, è ibridata con la sperimentazione musicale, con la installazione, e – altro elemento interessante – con la combinazione della azione performativa al vivo e la sua ripresa e proiezione simultanea sulla parete o schermo di fondo.

Factum, racconto e artefactum video si sfasano dunque a una doppia percezione, nel pubblico, che deve oscillare tra reale e visuale, tra azione e oggetti e le loro immagini.

Nella performance/azione di Jusuf Hadžifejzović Charlama Split Depot la cosa è stata particolarmente eclatante, data la complessità della sua azione.

Il Depot di Jusuf è sin dal 1984 l’aggettivo/soggetto che indica come l’artista trasporti con sé la sua storia individuale (e lo fa realmente nelle sue azioni, portandosi dietro una valigia piena di oggetti ma anche di opere già realizzate: che apre all’inizio della performance dando luogo a una installazione nella quale annida il suo gesto) quanto quella propria del luogo e della occasione in cui è invitato (città, luogo museo che sia, dove va a cercare resti, tracce, segni locali o transnazionali, condivise da tutti ma invisibili a tutti). Jusuf invita ad agire con l’arte, a compiere una azione critica attuale e nello stesso tempo carica di memoria.

Charlama è parola analoga ad “acutezza” o a “battuta veloce e spiritosa o ironica”. “I’m trying to equate thinking with seeing, in collusion with my own deposited experience, with the intention that, with my breath, I melt the frozen shadows from bristling reality.” (Except of the author’s explanation of the work, 1997).

È il suo un lavoro che fin dal 1984 chiama “depotgraphie” (scritture di deposito).

I suoi “depots” dal 1984 sono all’inizio prelievi dalle “forbidden zones” del museo, visto come sistema museale certo, ma anche luogo analogo ad ogni altro “sistema” troppo chiuso, cristallizzato, autoreferenziale, ed estraneo alla percezione della alterità, come da noi raccontato in Arte ipercontemporanea. Un certo loro sguardo (Gangemi, Roma, 2006).

In quel più antico depot, Jusuf espone in casse, piene di opere di artisti jugoslavi quando rappresentavano il paese all’estero: sulle casse i nomi degli artisti, delle loro opere ed i nomi degli ambasciatori jugoslavi nei paesi non allineati: come di un’arte usata e come di un museo “centro di distribuzione (non dell’arte ma della politica)”.

Nell’ex acquario di Split, enorme spazio mai usato che si allunga per 100 metri su più piani, Jusuf realizza una azione di memoria e “dimostrazione politica” attraverso una serie di gesti che includono la sua storia d’artista e le reminescenze psicologiche e politiche della storia recente o più lontana.

A Jusuf sta a cuore far emergere dalle profondità dei depositi o dall’oscurità del rimosso psicologico tutto quanto sembra prigioniero di automatismi del pensiero.

Le performance di Jusuf Hadžifejzović seguono la stessa filosofia creativa dei “depots”: associare ed evocare residui della memoria culturale e politica contemporanea, ma anche della attualità usando gesti, tracce, suoni, musiche, alte o basse che siano, in questo caso Lili Marlene (nella versione originale di Marlene Dietrich), Nusrat Fatih Alì Can (un pezzo pop-techno pseudo islamico) e Der Ring des Nibelungen di Wagner. In ogni performance inoltre Jusuf marchia il proprio corpo trasformandolo in conduttore di segni e di significati.

Nello spazio acquario di Split (1), Jusuf attraversa la platea con una specie di croce in spalla: è un cavalletto d’artista (2). Jusuf colloca sul cavalletto una grande stampa a colori con una foto di gruppo: scopriamo poi che sono i suoi parenti che durante la guerra civile nella ex Jugoslavia chiamò dalla Serbia alla Bosnia e fece sedere senza mai parlar loro nell’ambito di una sua azione performativa. Allora il titolo era Drinking is dangerous poiché passare in quel momento da un territorio all’altro con l’odio pervadente era tanto pericoloso e molto diverso dal pacifico bere acqua insieme ad un amico (3). L’inizio della performance consiste come sempre nel collocarsi sopra la testa una vecchia sedia in legno rovesciata (4). Inizia poi a stendere su dei fili attraverso lo spazio i panni, gli abiti e la biancheria tratta dalla sua valigia di viaggio: come dire, sto raccontando la mia storia che porto con me come un peso (5). Iscrive i nomi dei suoi familiari nella foto: lancerà poi su di essi delle freccette da tirassegno (6). L’artista si sposta su un altro luogo dell’azione, dove su una tavolata una giovane compie un gesto tradizionale e quotidiano: impasta la pasta, sulla cui stesa Jusuf ritaglia e poi cuoce su una piastra bollente delle svastiche nelle quali sono iscritte le monete correnti di basso valore (7). Poi con una testa bronzea raffigurante Marx schiaccia delle noci sul tavolo (8). Jusuf si siede poi al centro della scena mentre va in onda Lili Marlin e viene sbarbato finché gli rimangono sul viso solo dei baffi alla Hitler. Nel contempo l’artista taglia i lunghi capelli biondi di una Barbie che alla fine si mette tra i denti e, salito sulla sedia, fa il saluto nazista (9). Infine scende e, di nuovo al centro della scena, si colloca sul capo una morbida stesa di pasta come un velo, che scende a ricoprirgli mezza faccia. Da sotto il velo di pasta cadono delle biglie di vetro da gioco di bambino che, rotolando tutt’intorno, risuonano nel finale della performance (10).


Jusuf Hadžifejzovic, Charlama Split Depot, performance in occasione di Extendend Performance, Spalato/Split, 2008 (riferimenti nel testo). Foto Simonetta Lux