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Francesca Bonazzoli, Finalmente Famose. Ma sempre “maledette”- Cattive ragazze. Da Artemisia Gentileschi a Marina Abramovic: perché la “quota rosa” comprende personalità considerate borderline, in “Corriere della Sera”, 31 gennaio 2011.

Manuela De Leonardis, L’ amore tra donne? Un rischio dell’arte, in “Il Manifesto”, 12 gennaio 2012. Racconto di una vita a Sukran Moral nella sua casa di Istanbul e intervista. (ripubblicato in questa rivista)

Assistiamo, con Sukran Moral, a una sorta di Ri-vestimento dei segni o icone o comportamenti della storia, della storia dell’arte e della politica. Sukran Moral vive tra Roma e Istanbul: due patrie, la Turchia e l’Italia. Né l’una nell’altra la accettano pienamente, mentre Londra, Berlino, Amsterdam, Madrid le riconoscono lo statuto di artista più significativa della Turchia contemporanea.

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A Roma, la Roma multietnica e piena di memorie antiche attualizzate, dove oggi vive Sukran Moral, oggi più che nel recente passato, tutta una serie di elementi evocati dalla analisi storica dell’arte si presentano come condizione della vita e del linguaggio di questa artista, che abita nomadisticamente questa e diverse altre parti del mondo.

Questa attuale condizione, come quella antica, è caratterizzata da centralizzazione autoritaria del potere, concentrazione in ristretti ceti della ricchezza e della economia, migrazioni epocali di trance di popoli e culture, ibridazioni e difficoltà di integrazione e di attribuzione di cittadinanza, servilismo e nuovo schiavismo. Come nell’antico, il modo espressivo è caratterizzato da una ibridazione linguistica e creativa di nuova specie. Con le diverse comunità che l’artista esplora c’è condivisione di linguaggio e storia, ma anche attenzione critica allo stato della storia recente o antica, politica o dell’arte: tale attitudine, in molti artisti che la vivono proprio per una scelta originaria di allontanamento e riavvicinamento continuo dal primo luogo di origine, si fa linguaggio e messaggio dell’arte stessa.

Nel paesaggio socioculturale (voglio dire sia sociale sia culturale) della Roma contemporanea (paesaggio che è comune a metropoli di tutto il mondo, da Brasilia ad Istanbul, da Parigi a Londra) questo è particolarmente evidente, quasi un ritorno a una fenomenologia come quella antica, tanto che nell’arte tutto ciò è molto spesso e bene iscritto.

Il lavoro di Sukran Moral si pone sia come costruzione della propria identità transtorica e transgeografica, sia come apertura di sé e atto critico, tanto nella comunità culturale polietnica e iperstratificata come quella di Roma quanto in quella sua amata originaria della Turchia e di Istanbul: Sukran convoca senza pietas nel suo atto creativo le persone che abitano i suoi mondi (dell’arte, della politica, della storia), e spesso fa e si fa male.

Sukran Moral per la sua condizione individuale di nomade nella patria unica “mondo” mette in forma attraverso pittura, fotografia, installazioni e performances tensioni, senso di esclusione, percezioni abnormi. Tutti elementi che fanno della sua opera una opera condivisa: e talvolta anche una opera che anticipa e forse “forma” anche, anticipandoli, dei gesti politici.

Una delle sue opere più sconvolgenti Peace… Fucking Fairytale! (Pace… A’ffanculo La Vostra Favoletta!”, 2007) riguarda il tema cruciale e globale della pace, guerra e religione e del suo riflesso sulla scena romana e vaticana. Con una installazione, una performance e una scultura, Sukran (come ha fatto in tante opere del passato), attiva in noi una vera e propria coscienza fisica dell’impatto dei radicalismi religiosi attuali e della violenza oppressiva, una risposta paranoica determinata da eserciti e divise e recinti di campi profughi. Nella scultura realizzata in proporzioni reali, che si può guardare da un foro praticato in po’ in basso in una parete dell’ambiente espositivo milanese (la galleria Renoldi Bracco) fa abbracciare e baciare tra loro Gesù e Maometto. La gente per vederli attraverso il foro si deve inginocchiare. Così l’artista, mentre contraddice e quasi punisce il voyeurismo tipico dell’uomo moderno, fa compartecipi di un desiderio di conciliazione tra le religioni, sottratte alla strumentalizzazione radicale dei signori della guerra: a ribadire il conflitto irresolubile di bene e male, ad indicare l’urgenza della convivenza pacifica, fondata sulla distinzione necessaria di politica, economia, religione.

Negli ipercontemporanei, cioè sia in Sukran Moral, sia – come vedremo poi – in altri artisti, attraverso l’uso colto, innovativo e sperimentale di media diversi (cinema, fotografia, docufilm, installazioni, composizioni in flash di fotofilm) o di procedure teatrali/performative, ricorre quella tensione di attualità e memoria, una specie di continuamente praticata unità di presente e passato, vicinanza-lontananza, in un modo per cui il luogo dell’arte non è più il luogo di alterità o di estraneità (condizione dell’arte e dell’immaginario che abbiamo vissuto per oltre 200 anni cioè per tutto il tempo di quella che chiamiamo arte contemporanea e per ragioni che qui sarebbe lungo esplorare).

È invece il luogo dell’attraversamento continuo di se stesso (nomade, plurilingue, transitorio tra culture e geografie di origine) in un flash continuo con lo stato delle cose e delle altre persone, attuali.

Feedback all’arte: la minaccia di morte.

Come avviene in Sukran Moral il tentativo di trasformazione dell’altro, di una mentalità, di una soggezione infinita? Quale il feedback di tale processo innescato consapevolmente o inconsapevolmente e nel luogo “giusto”?

Il feedback italiano è di indifferenza che noi sappiamo “tipica”, a livello delle grandi istituzioni museali, dato che il ruolo di legittimazione fino a un ventennio fa proprio di queste istituzioni è andato perso, data la loro soggezione al Sistema dell’arte e di pura conferma della politiche collezionistiche private e delle fondazioni per l’arte contemporanea.

Solo in luoghi indipendenti e a “open eyes shut” come il MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, luogo di formazione/creazione in cui chi scrive ha voluto che i processi di studio e ricerca dell’arte si combinino con una ravvicinata conoscenza dell’artista e della sua storia, tale soggezione non passa. Secondo i dettami teorici di Lionello Venturi e di Giulio Carlo Argan, la storia dell’arte è la sola storia che si fa in presenza dell’evento, e la storia è pensata come atto critico esercitato contro il potere.

Pensiamo alla mostra del 1997 Museo obitorio, che Calvesi volle e nella quale Sukran andava a dichiarare la sua originaria identificazione di artista come soggetto/artista, come persona, che rifiutava il processo di sublimazione con cui per lo più la storia dell’arte è stata scritta: qui veniva proiettato un video girato dall’artista appunto nell’obitorio della Facoltà di Medicina della Università la Sapienza, nel quale Sukran, truccava e carezzava i cadaveri e parlava con loro, in un seguito di surreali interrogativi senza risposta.

Sukran parla con le anime morte e, rianimandole, non avrà paura della loro reazione, come di recente avvenuto a Istanbul con la mostra Amemus (dicembre 2010). Mentre questo video andava in onda nella sala superiore del Museo Laboratorio (proiettato sui corpi di 4 ragazze vestite di sacchi di plastica trasparenti), si vedeva, tra le gambe aperte di una donna sdraiata su lettino ginecologico, il video Bordello girato (per la Biennale di Istanbul dell’anno prima, di cui faceva parte con un trittico: Hamam, Manicomio e appunto Bordello o Speculum): era l’opera Speculum, riproposta qui col titolo Storia dell’occhio.

Principio di realtà (carne e diagnosi) e principio di linguaggio (lei, vestita da puttana, nel quartiere bordello istituzionale di Istanbul, in una delle case chiuse aperte prestatole da una puttana, con la scritta esterna “Museo di arte contemporanea”, che – pur sempre anche artista – veniva guardata dagli uomini in cerca di quell’amore da comprare). Attrazione e voyeurismo, “consentiti” in una struttura chiusa e protetta, come il quartiere dei bordelli di Istanbul.

La apertura del soggetto/artista in quanto tale, a sé e agli altri, l’”opera infinita”, è la nuova forma dell’idea – ormai di 50 anni fa – di Umberto Eco di “opera aperta”.

La apertura del soggetto artista, della persona artista, contro e rispetto alla tradizionale centralità unica dell’Opera/Oggetto, era in corso per Sukran dal 1995, in Diffidate della storia dell’arte, un light box nel quale Sukran Moral riscrive la Pietà di Michelangelo in San Pietro, nelle belle carni nude sue e del giovane che la tiene sulle ginocchia. Lei, come Cristo: alza però la testa e a occhi aperti, e con sguardo acuto ci fissa.

È L’Artista, opera del 1994 (fotografia, cm 180×200), nella quale lei artista/donna si rappresenta crocifissa come Gesù, per la prima volta nella storia.

Londra (nell’Asta Sotheby del 4 marzo 2009: Contemporary Art Turkish) la sceglie, la riconosce: altre sue opere sono ormai inserite nella collezione del British Museum. Altre sono al Victoria and Albert.

Dicevamo di Londra: ma diciamo che l’Europa – laica e forse più liberata, rispetto a un’Italia culturalmente indifferente e ingabbiata nel sistema dello status quo, ormai quasi ceduta alle regole della globalizzazione (un’Italia dalla libertà “formale” e non sostanziale, in cui – occorre dire – cultura, arte e cinema e nodi di iniziativa politica minoritaria eccellente come ad esempio quella Radicale, dal secondo dopoguerra criticamente creano e “parlano al vento”), dicevo questa Europa ha iscritto Sukran Moral tra i grandi dell’arte contemporanea.

Gli argomenti dell’iscrizione europea ad Arte/Artista di Sukran Moral sono in verità, pirandellianamente ambigui, tali da lasciare molti interrogativi.

Luigi Pirandello scrive per il teatro Tutto per bene nel 1920, «rappresentazione d’un dramma, quand’esso è già da gran tempo finito». Assistiamo anche noi, come Pirandello, a una scena nella quale uomini veri oppure “maschere vuote” mettono in scena un dramma o un evento quando la sua verità e fragranza è già compiuta, così come nella scena dell’arte l’azione/il processo creativo e le risposte si frantumano o si estendono in infiniti ambiti e contraddizioni.

Se consideriamo il crinale che separa l’estensione globalizzata e sistemica di una produzione di arte che si può definire “cosmetica” (si fa secondo pattern i formalmente corretti e ripetuti secondo quanto legittimato dal sistema finanziario e globalizzato dell’arte, il bell’oggetto riconoscibile, seppure in seconda battuta, magari con qualche pruderie di scandalosità) dall’altra diversa scelta, dall’altro diverso “sguardo” che caratterizza l’arte che si muove secondo una processualità relazionale (Bourriaud), di resistenza (Agamben, De Cecco, Pinto, Lux) o ipercontemporanea-mente (Lux), secondo l’idea di un mode d’emploi intenzionato (e non stilistico) degli infiniti mezzi e tecniche ormai “a disposizione” dell’artista, e se consideriamo il purtuttavia ancora permanente carattere di “zona franca” del potente e globalizzato Sistema dell’arte, abbiamo una risposta. Il potente Sistema “non ha paura”.

I feedback – accettazione, o rifiuto – (rifiuto in forme diverse, dall’indifferenza, all’imprigionamento (Ai Wei Wei), all’esilio (Pamuk), all’assassinio (i giornalisti) o alla minaccia di morte, di fronte ai mode d’emploi del linguaggio e della comunicazione “non cosmetici”), dipendono come sempre dal livello di forza ed autoconsapevolezza del Sistema.

A Sukran, ed esempio, sono toccati vari tipi di feedback: il più recente è stato, nel dicembre 2010, la minaccia di morte e la non scritta proibizione di “mostrare” e “pubblicare” le immagini della performance Amemus (Istanbul, galleria Casa dell’Arte, 2 dicembre 1910).

È proprio questo “non poter avere le immagini” che mi ha trattenuto dallo scrivere su questo grave evento dell’artista tra quelli a me più vicini. Ho cambiato idea.

Ma quel gennaio del 2011, quando dall’aeroporto Sukran piombò da me intristita e angosciata – ma come sempre senza paura, il racconto fu scandaloso e la riflessione subito critica. Che ha fatto la mia opera, una performance in una galleria privata di Istanbul, per provocare tante violente reazioni sulla stampa, su facebook, attraverso continue telefonate anonime persecutorie? La questione, il feedback si è ammantato quasi subito della veste di una analisi linguistica: l’opera non è “cosmetica”, non è arte, è pura pornografia iperrealistica, o è troppo “radicale”: in verità, non solo lo “stile” irrita, ma irrita il risveglio e le messa in verità di un doppio tabù: quello della omosessualità, e quello sadicamente universalmente introiettato del dolore necessario che la donna/artista deve esibire, e non fare vedere il piacere e l’amare, se vuole essere accettata.

La Galleria dove si svolge Amemus è il tipico luogo deputato dell’arte. Sukran la riveste concettualmente ma anche carnalmente: le pareti sono tutte rivestite di stoffa rosso sangue. Al centro un cilindro bianco fatto di tendaggio trasparente da soffitto a terra. All’interno del cilindro una pedana cilindrica, con al centro un letto coperto da un taffettà rosso. L’abito delle due donne è una gonna trasparente di tulle nero, indossata sopra un bustier nero e mutande, calze e reggicalze neri, tipici di ogni erotismo cercato e provocato. Il pubblico invitato, collezionisti – molti i suoi, fino ad allora –, critici e giornalisti è tutto intorno. Dal corridoio di ingresso alla sala, Sukran entra tirandosi attorno un lungo telo di tulle nero che era teso dal cilindro alcova e raggiunge la amica amante. La scena di vero e proprio amore lesbico si svolge lentamente e realisticamente: baci nella bocca, sui seni e sul corpo, penetrazione vaginale con le mani. Lentamente tutto il pubblico abbandona la galleria: fugge scandalizzato, accecato, erotizzato, nel giro di venti minuti tutti sono scomparsi.

Qui, da questo momento, dice Sukran, so che inizia la mia opera. In verità, Sukran ha già trasformato il luogo deputato della galleria: con un allestimento alla Malevic (fondo rosso, cilindro bianco, linea nera, movimento tra le forme), che ha contraddetto immediatamente portando quell’arte a una intimità fortissima. Il mattino dopo, il giornalista presente descrive l’evento come una “relazione porno”. Ai membri di una società esibizionista e voyeurista, non piace specchiarsi e vedere il proprio esibizionismo. Il feedback violento e arrogante è inoltre una minaccia di “profanazione” della persona/artista, poiché non si può penetrare nell’arte. Così, dal di fuori del mondo della comunicazione culturale, viene fatto lo scandalo “politico-religioso”, lo scandalo sul luogo comune: lo scandalo sulla stampa avviene attraverso una descrizione porno e volgare, con un linguaggio fuori dall’arte. Gente e amici che non c’erano, la attaccano per sentito dire. Chi c’era le fa sapere che l’opera doveva essere più morbida, più sublimata: lei non doveva rischiare. Ma chi la ha appoggiata fino ad allora non ha paura. La grande fondatrice dell’arte contemporanea in Turchia Beral Madra la difende. Viene paragonata a Francis Bacon: e detto chiaro e tondo a un governo che vuole “una società pulita, senza corpo in azione, né sangue, né sperma”.

La gente ovunque è in maggioranza abituata alla “cosmetica” dell’arte e non alla “verità”. Sukran si è rivolta, ad Istanbul, come ad un pubblico del MOMA di New York, ha operato con rispetto del pubblico turco, come se fosse pronto a capire.

”Strano – dice Sukran Moral – che non abbia capito, o che non abbia voluto sentire/riconoscere quello che fa normalmente (voyeurismo) ma soprattutto quello che sentiva”.

Per i suoi studenti dell’Università di Istanbul – che tuttavia la adorano – Sukran Moral si conferma un mito: infiniti i contro-messaggi di appoggio su Facebook. Ma quanti giornalisti sono stati uccisi nel 2010? Quanti scrittori costretti all’esilio? Di Sukran si addita in quello stesso momento la sua opera L’Artista, esposta in quegli stessi giorni nell’ambito della mostra della collezione Unicredit (Yapi Kredi) Past and Present!

Lo scandalo e la difesa di Sukran si estende in Europa: su “El Pais” del 6 gennaio 2011, Blanca Lopez Araguena scrive l’articolo-intervista La artista turca Sukran Moral huye a Italia tras ser amenazada de muerte: “non credo – dice Sukran – che sarà permesso all’artista di essere esiliato per sempre. Spero per il bene del mio paese, che non diventi mai un luogo da cui le persone debbano fuggire”.

La Yapi Credi le aveva dedicato proprio un anno prima (27 marzo – 3 maggio 2009), nella sua sede espositiva Yapi Kredi Kazim Taskent Art Gallery, una grande mostra Love and Violence ed un libro che ripercorre tutta la storia di Sukran, ed in particolare la performance in due scene realizzata in quella occasione, che dà il titolo alla mostra Love and violence. E la installazione scultura Family Night.

Allora, la scena della madre che educa amorosamente, escinde e poi uccide la bambina per il suo rifiuto di essere venduta a 30 dollari ad un anziano marito, recitata al vero da Sukran ma operando su un manichino di bambina, è ob torto collo accettata. Così come è accettata la danza delle 13 bambine danzatrici vergini, intorno al tavolo di Family Night, dove siede una donna scheletro capelluta, con gli strumenti dell’escissione e dell’assassinio – un coltello ed un martello -, accanto alle posate della tavola apparecchiata.

Anima morta o anima scheletro senza corpo, come anche in Zina-L’adultera (2008, acrilico su carta, 75×56): attributo di svuotamento che Sukran attribuisce sia alle vittime sia ai colpevoli.

Come nella più recente opera Pero (2010) esposta alla Saatchi Gallery di Londra (16-30 aprile 2011, a cura di Artnesia), mostra Confessions of Dangerous Minds. Contemporary Art from Turkey.

Nell’ambito delle mostre monografiche della Biennale di Istanbul del 2011, Fiachra Gibbons sul “The Guardian” (21 settembre 2011) la colloca tra le 10 migliori mostre.

Nella mostra di donne artiste Gream and Reality, nel Museo di arte contemporanea Istanbul Modern, nell’ottobre 2011, è esposta la installazione video del 1996 dalla Biennale di Istanbul Bordello (ora nella collezione del Museo). Alla contemporanea Fiera “Istanbul Contemporary Art”, invitata, espone due opere, entrambe quasi una risposta all’attacco minaccioso subito un anno prima. La prima è la scultura dal titolo Ethic, un animale viscido e schifoso, una iena che tra le fauci tiene il corpo sbranato di una donna, il cui tatuaggio la identifica. L’altra opera è un nuovo video/animazione, dal titolo Mirror. Di Sukran, su un giornale turco, nei giorni dello scandalo di Amemus era stato scritto “noi sputiamo sulla tua faccia”, accomunandola così – nell’insulto – al grande amato poeta Nazim Hikmet, costretto a fuggire alla fine degli anni ‘30 per la sua attività anti-nazista e anti-franchista. Nel video/animazione Mirror il personaggio unico è un topo, che si muove nel fantasmatico notturno di un sotterraneo di gallerie di fogna. Alle fine del suo vagare, sul quale si espande un deciso dripping di sputo.

Post scriptum.

Il 10 dicembre 2010 la Galleria Casa d’Arte di Istanbul dove si era aperta il 2 dicembre la mostra Amemus pubblica on line (www.casadellartegaleri.com) il seguente comunicato:

AMEMUS, 10/12/2010 – 31/12/2010. Sukran Moral

The opening cocktail that was planned to take place on December 9th and the representation that was supposed to take place between December 10th-31th which included photographs and videos of the exhibition called Amemus performed by Sukran Moral was cancelled upon the request of the artist due to security reasons.

THE PRESS STATEMENT OF SUKRAN MORAL ON THE PERFORMANCE NAMED AMEMUS

Sukran Moral evaluated her performance Amemus as seen below:

The process from the second half of the 20th century to the present is full of examples of art performances and its derivations about politics of human body. It is a process that includes names such as Marina Abramovic and Tracey Emin and on its basis lie the revolts of hippie movement of the 1960s, sexual liberation struggles and feminist movements. Even this alone is a political indication itself and this indication is a proof of the existence of hegemony that governments have imposed on people. To control the body and give it the desired shape. I have always had trouble with “taboos” of my performances so far. I believe that instead of pure reason, the body in action can free the thoughts. At this point one of the significant taboos is “ sexuality”. Sexuality is one of the fields that governments “forbid”. Another significant point I like to draw attention to is the coding of ignored “gay/lesbian” relationships as abnormal in contrast to the existence of “heterosexual” relationships which are swept as veil under the table.

The lovemaking in this performance is an artistic activity. The audience (viewers) are the passive readers of this artistic event; and in this context this activity is not a “sexual demonstration” but it is the handling of a “moral” issue. Otherwise, sex in fact is a vital reality. Perhaps the thing that can be questioned in this performance is whether there is a violation of the thin line between “the descending of gallery’s art” onto the earth or the ascending of sexuality as a daily fact to “art’s ivory tower”.

The owners of the gallery told that they always give priority to artist’s freedom of expression, they also added they show respect to some of the certain sensitivities of the society we live in.

Dall’alto:

Sukran Moral, Gesù e Maometto, 2007, scultura a dimensioni al vero, tecnica mista, ed. 1 di tre (particolare della installazione/performance Peace… Fucking your fairy tale, galleria Tomaso Renoldi Bracco, Milano, coll. Privata.

Sukran Moral, Sukran e soldati, 2007, particolare – esterno – della installazione/performance Peace… Fucking your fairy tale.

Sukran Moral, Sguardo, 2007, particolare della installazione/performance Peace… Fucking your fairy tale.

Sukran Moral, Recinto di filo spinato, 2007, particolare della installazione/performance Peace… Fucking your fairy tale.

Sukran Moral, proiezione sul soffitto di film originari e di fiction della II guerra mondiale, 2007, dimensioni variabili, particolare della installazione/performance Peace… Fucking your fairy tale.

Sukran Moral, Azione dell’artista sul vetro Pace, 2007, particolare della installazione/performance Peace… Fucking your fairy tale.

Sukran Moral, Il vetro baciato e distrutto , 2007, particolare della installazione/performance Peace… Fucking your fairy tale. (opera distrutta)

Sukran Moral, Amemus, 2010, installazione/ performance, dimensioni variabili, Istanbul, Galleria Casa dell’Arte.

Sukran Moral, disegno di abito di Amemus, 2011, pennarello su cartoncino A4, coll privata.

Sukran Moral, Pace, 2007, vetro e rossetto, cm 70×100, particolare della installazione/performance Peace… Fucking your fairy tale. (opera distrutta)

Sukran Moral, Ethic, 2011, cm 80x130x80, resina e tecniche miste, esp. Fiera “Istanbul Contemporary Art”, 2011.

Sukran Moral, Ethic (particolare), 2011, cm 80x130x80, resina e tecniche miste, esp. Fiera “Istanbul Contemporary Art”, 2011.

Sukran Moral, Love and violence, 2009, particolare della installazione/performance alla Yapi Kredi Kazim Taskent Art Gallery, Istanbul, 2009.

Sukran Moral, Love and violence: Family Night 1, 2009, particolare della installazione/performance alla Yapi Kredi Kazim Taskent Art Gallery, Istanbul, 2009.

Sukran Moral, Love and violence: Family Night 2, 2009, particolare della installazione/performance alla Yapi Kredi Kazim Taskent Art Gallery, Istanbul, 2009.

Sukran Moral, Pero, 2010, C-print, cm 150×100, ed. di 5, esp. Confessions of Dangerous Minds, Saatchi Gallery, Londra, aprile 2011.

Sukran Moral, Zina (Adultera), 2008, acrilico su carta, cm 75×56.

Sukran Moral, Zina (Adultera), 2009, still dal video/documento della performance, Venezia, Biennale, 2007.

Sukran Moral, Mirror (particolare), 2011, still dal video, video/animazione, 90”, esp. Fiera “Istanbul Contemporary Art”, 2011.

Sukran Moral, Bordello-Museo di Arte Contemporanea, 1997, still dal video Bordello (della trilogia Bordello, Hamam, Manicomio Femminile), Biennale di Istanbul, 1997.

Sukran Moral, Artist, 1994, stampa digitale su tela, ed.5/10, cm 200×180 (firmata, intitolata, datata e numerata 5/10 sul retro), esp. Asta Sotheby, Londra, 4 marzo 2009.