Manuela Feliziani: Ho notato che nel tuo giardino ci sono molti elementi, come la voliera, la cappella e la serra, che riprendono le stesse tipologie architettoniche dei giardini storici.
Daniel Spoerri: Certamente, non si può parlare solo di Bomarzo come giardino a cui guardo ma sono importanti tutti i giardini da cui ho preso elementi come il labirinto e la piramide come quella nuova che c’è ora. Tu l’hai vista?

M.F.: L’ho vista scendendo giù dalla collina dei Giurati. È ripresa dal Hypnerotomachia Polifili vero? Nel testo il tempio della Fortuna è descritto come una struttura che sostiene un obelisco che regge la figura di una dea.
D.S.: Quello sarebbe il secondo sogno di Polifilo che si addormenta, nel sonno. Ci sono venticinque stazioni e cinque tappe, e dopo ogni tappa lui si trova in un locus amoenus.

M.F.: Polifilo arriva dopo aver attraversato una selva che somiglia alla selva dantesca. D’altronde anche questo è un viaggio dell’anima verso la purificazione. Anche durante il Rinascimento si consideravano pericolosi i boschi e la natura. Come quando affermi che l’uomo teme la natura e tenta di controllarla.
D.S.: La foresta era pericolosa perché ti potevi perdere o subire un agguato. La Germania era quasi completamente coperta da foreste. Era pericoloso passarci perché c’erano i briganti.

M.F.: Come accadeva in Maremma fino all’inizio del secolo, anche lì c’erano i briganti, come Tiburzi. È una zona non molto lontana da qui. La selva del Lamone fra Manciano e Farnese è l’unica parte rimasta di quella grande estensione di boschi.
D.S.: Quella zona era anche pericolosa per la malaria. Ma adesso i briganti stanno su Internet.

M.F.: Ritornando alla tua esperienza, mi incuriosiva sapere se avevi già intenzione di creare un giardino quando sei arrivato in Toscana o se ti sei affidato al caso.
D.S.: Conoscevo già tutte le cose che altri artisti come Niki de Saint Phalle, Christo avevano fatto, opere come il Ciclope, vicino Parigi o il Golem a Gerusalemme. Appena ho avuto il terreno ho collocato una prima scultura. Così ho cominciato. Un momento importante è stato quando ho chiesto ad Eva Aeppli le sue sculture, sui sette vizi capitali. Allora, credo, ho avuto l’idea di fare un mio giardino con degli amici. Catharina, la mia ex moglie, lo chiama album di poesie.

M.F.: Come sapevi del Giardino di Bomarzo?
D.S.: Avevo letto un articolo da qualche parte, poi c’erano stati i surrealisti.
Salvador Dalì l’ha visitato nel 1949.
Io ci sono stato quindici anni dopo. Quando sono stato a Bomarzo ho visitato tutti i parchi intorno a Roma e in questi ultimi anni ho girato molto per diversi giardini europei, ad esempio quelli nella Germania dell’Est. In Francia invece conosco quasi tutto.

M.F.: I giardini storici sono in effetti una fonte di ispirazione nella tua ricerca estetica.
D.S.: Certamente questo è uno degli aspetti più importanti. Ma la natura non mi dice niente, come anche il passeggiare. La natura non mi interessa, così come la campagna, ma quando la natura è addomesticata dall’uomo ha un significato. Ed è il significato che gli dà l’uomo.

M.F.: Ad esempio nella zona del viterbese ci sono dei giardini molto importanti, dove però la natura ordinata dall’uomo è circondata dalla quella caotica. Come Villa Lante ed il Palazzo Farnese di Caprarola.
D.S.: Anche a Villa Maser c’è la pianura che va fino a Venezia e dietro la villa il terreno sale fino alle Alpi. E c’è la donna che butta acqua. La natura comincia dietro questa donna simbolica. Io conoscevo tutto questo ma qui ho fatto tutto senza pensare. Ad esempio, la voliera l’ho fatta perché avevo quegli uccelli di bronzo.

M.F.: Accetti gli stimoli che il caso ti propone.
D.S.: Per esempio io non ho mai pensato di fare una piramide. Quando ho visto questa piccola donna sul “nodo” che in francese vuol dire “pene” ho pensato di farla. È come la Venere di Milo che non ha braccia, adesso le hanno trovate, forse. La donna senza braccia è un po’ come la Femme sans tete. Sembra che le fantasie erotiche degli uomini non abbiano viso.

M.F.: È una fantasia che penso abbiano anche le donne, quella dell’uomo senza volto.
D.S.: Io ho pensato che messa su una piramide diventa inaccessibile, diviene come un sogno masturbatorio. Io ho avuto questa idea e siccome la scultura che ho qui è sistemata sopra un treppiede allora la piramide l’ho fatta triangolare. E dopo mi sono reso conto che non esiste una piramide triangolare perché il simbolo della terra è il quattro, come i quattro punti cardinali e con i tre lati abbiamo il sette, così ho costruito sette scalini. Io non penso prima, seguo una intuizione. Mi sento una specie di medium.

M.F.: Come mai volendo far dialogare le opere con l’ambiente non hai scelto lo spazio urbano come hanno fatto tanti altri artisti, ed hai invece preferito quello naturale.
D.S.: Io non sono mai stato in grado di fare cose grandi. Per esempio i galleristi spesso mi hanno detto di produrre opere più grandi. I miei oggetti sono oggetti che hanno una dimensione umana. Adesso capita che diventino più grandi quando è necessario. Per esempio il labirinto è divenuto grande perché non potevo fare un labirinto di dimensione umana. Il petroglifo misurava in realtà un metro e mezzo. Era una pietra scolpita sopra un fiume. Tutti pensano a quelle enormi sculture peruviane, quelle di Nazca, ma non è cosi. Questo è diverso perché con questo puoi fare un labirinto. Invece le sculture peruviane non sono labirinti.

M.F.: – Guardando una foto del petroglifo originale – Vedi, questo sembra un essere bisessuato, con il sesso maschile e femminile.
D.S.: Sì, è un essere maschile e femminile, ma feconda la Madre cosmica che è questa forma triangolare che sta in alto.

M.F.: Graffiti con questo significato si trovano anche nell’area Orientale, ad esempio in Turchia. Ripercorrendo la tua carriera artistica ci sono dei momenti in cui ti avvicini più alla natura: questi sono i due interventi di Symi ed del Moulin Boyard. Symi è un momento importante perché è qui che si portano a compimento una serie di concetti che erano già in fieri negli anni precedenti.
D.S.: Cambia l’approccio perché io abbandono l’idea della situazione, trovata che è stata alla base del “quadro-trappola”. Io non sono più l’artista d’avanguardia, io divengo un artista come tutti gli altri, faccio arte personale.

M.F.: Certo, c’è sicuramente un momento di espansione, di massima creatività…
D.S.: Per esempio Juan Gris era importante nel periodo cubista, ma dopo fu solo un pittore e basta. Ci sono galleristi per i quali tutto l’interesse per l’arte è rivolto unicamente verso quegli artisti in cui c’è un’idea di modernità. Prendono sempre nuovi artisti tre anni prima di tutti gli altri. Per esempio, il mio gallerista di allora, Bischofberger, mi ha abbandonato. Quello che facevo non lo interessava più. Quindi si può vedere Symi anche sotto questo punto di vista.

M.F.: Nelle tue opere ci sono dei temi ricorrenti. Ad esempio, nei “quadri-trappola” è già implicita la tematica dell’alimentazione. Lo stesso vale per la Fontana Tritacarne, collocata nel Giardino, che diviene metafora della violenza della natura.
Anche la Pisciona rappresenta questo ciclo ed anche la nuova scultura, l’hai vista? C’è un tubo, tu metti un po’ di grano ed esce da sotto, ed hai visto la Tazza?
D.S.
: Nei banchetti funebri delle antiche civiltà, il cibo aveva lo scopo di mantenere in vita, ma anche di esorcizzare la paura della morte introducendo la sua idea nel corpo.
Per questa ragione in Messico quando è la festa dei morti a novembre hanno l’abitudine di mangiare dei grani di zucchero, poiché è una sostanza che dà molta energia. Dunque loro li realizzano anche con il tuo nome sopra e tu li puoi mangiare.

M.F.: Ha un ruolo scaramantico. Ingoiare la morte significa avere il controllo. Anche attraverso la costruzione del giardino esprimi un controllo sulla natura.
Molto importante mi è sembrato anche il periodo del Moulin Boyard. Ricordi l’intervista con Irmelin Leeber? Avevi deciso di riordinare ciò che la natura aveva trasformato in caos. Mi hai detto che finiva spesso tutto sott’acqua.
D.S.: Mi è piaciuta l’idea dell’incertezza legata al luogo. Tante volte ho detto agli amici: “spostate la macchina più in alto, altrimenti domani non possiamo partire”. Non mi davano retta e la mattina dovevamo uscire di casa con gli stivali.

M.F.: In che modo affluiva l’acqua al giardino?
D.S.: Era una vallata molto stretta dove c’era un piccolo fiume di quindici chilometri e se c’era un temporale improvviso, come succede d’estate, per sei ore di seguito avevo l’acqua in casa.
E’ stato un contatto molto forte, addirittura fisico. Mi sembra veramente importante il lavoro di risistemazione di tutto quel complesso.
Per quindici anni ho lavorato e ho rifatto tutto.

M.F.: Mi pare che ci fosse un precedente molto vicino al lavoro di sistemazione della tenuta in cui ora vivi.
D.S.: Il Giardino verrà gestito da Patrizia e Massimo, così io potrò essere più libero. Potrò anche non esserci, come fa Niki, lei non c’è mai nel suo giardino. Potrò assentarmi, se per esempio sto male.

M.F.: Il giardino presuppone una presenza stabile, diversa dall’erranza che ha contraddistinto la tua vita.
D.S.: Si, fino adesso, ma ora la presenza e la responsabilità è loro. Nella fase di creazione era necessario che io fossi qui. Io metterò altre sculture ma non dovrò per forza stare qui.

M.F.: Hai quindi deciso di andartene come hai fatto tante volte nella tua vita?
D.S.: No, ma devo trovare una cosa che mi attragga. Come quando qualcuno mi aveva parlato di una casa che scivolava vicino Pitigliano, un paese che un tempo era un possedimento degli Orsini, come Vicino. Fu allora che pensai di venire in Italia.

M.F.: Ritieni concluso il Giardino o pensi di collocare altre sculture?
D.S.: Sì, qualcuna in ogni caso, ma non più tante.

M.F.: Se io dico Daniel, Vicino, Polifilo, tu cosa rispondi?
D.S.: È probabile ma non è certo che Vicino Orsini abbia conosciuto Il sogno di Polifilo, forse lo ha visto dal suo amico Madruzzo. Ne hanno sicuramente parlato, i libri erano molto costosi allora.

M.F.: Vorrei chiederti qualcosa in merito alla conservazione delle tue opere.
D.S.: Ci sono stati alcuni studenti che hanno fatto delle tesi sulla conservazione, non solo sulle mie opere, ma su un gruppo di artisti che hanno avuto questi stessi problemi. Per esempio i quadri blu di Yves Klein debbono restare di un blu polveroso, se metti il dito sopra è finita; non si può più ripararli, bisogna rifare tutto, ma dopo non è più un Yves Klein.
Le mie opere sono meno difficili. Per me se c’è polvere o meno non fa niente, se c’è un bicchiere spaccato puoi sostituirlo con un altro. A me non importa se il vetro non è esattamente lo stesso.
Per esempio per la Pisciona ho dei problemi con l’acqua, perché il tubo messo al suo interno perde; forse si è bucato e sta rovinando il muro. Che diviene marcio. Non abbiamo più usato la Pisciona.

M.F.: In genere per i problemi conservativi si chiede il parere all’artista. Sapere come la pensa aiuta ad intervenire in futuro. Tu cosa vorresti che si facesse per le tue opere qualora si deteriorassero?
D.S.: Gli antichi dipingevano le sculture con dei colori che noi troveremmo orribili.

M.F.: Anche a Bomarzo le sculture erano dipinte, per loro l’arte era mimesis, tanto più era vicina alla realtà tanto meglio realizzata ed esteticamente accettabile.
D.S.: Anche a Pratolino c’erano mille automatismi, Appennino sputava acqua, c’erano zampilli che oggi non funzionano più. Ma nessuno si preoccupa più di questo.

Seggiano (GR), settembre 2000

Dall’alto:

D. Spoerri, Ingresso vietato senza pantofole, Giardino Spoerri, 1986

Arman, Monumento sedentario La fine dell’Agro, Giardino Spoerri, 1999-2001.

D. Spoerri, Forno Trullo teste fumanti, Giardino Spoerri, 1995-2000