NOTE:
(1) Cfr. Alessandro Mazza, Il potere dell’apparenza. Quattro giardini di Tomaso Buzzi, in Vincenzo Cazzato (a cura di), La memoria, il tempo, la storia nel giardino italiano tra ’800 e ’900, Istituto Poligrafico della Zecca dello Stato, Roma, 1999, p. 114.
(2) Quello che un tempo era l’antico pergolato francescano, viene trasformato dal Buzzi in un percorso iniziatico verso la scoperta del mito di Polifilo, dando prova di sapere interpretare le istanze e il concetto di giardino rinascimentale, argomento per il quale nel 1931, durante l’anno del Giardino Italiano, Buzzi presentò i progetti per il Giardino Lombardo e per il Giardino Veneto.

BIBLIOGRAFIA:
A. Mazza, Il potere dell’apparenza. Quattro giardini di Tomaso Buzzi, in V. Cazzato (a cura di), La memoria, il tempo, la storia nel giardino italiano tra ‘800 e ‘900, Istituto Poligrafico della Zecca dello Stato, Roma 1999
T. Buzzi, Lettere, pensieri, appunti 1937-1979, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2000
AA. VV., Buzzinda, l’arca delle idee pietrificate. Storia, fantasia, paradosso della architettura nella Scarzuola di Tomaso Buzzi, Collana “Conoscere e Sapere”, Provincia di Terni 2003

NOTIZIE UTILI:
La Scarzuola. Montegabbione, Montegiove (Terni). Per raggiungere la Scarzuola venendo dall’autostrada A1 si esce a Fabro. Da qui qui bisogna seguire le indicazioni per Montegabbione, poi quelle per Montegiove. Un’indicazione permette di prendere una strada sterrata che conduce all’entrata del convento.Visita su appuntamento.
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«Perché ho scelto l’architettura teatrale, moltiplicando i teatri (esterni e interni)?…perché era il vero modo, l’unico legittimo in architettura, per ispirarsi (riprendere, riecheggiare) forme del passato, modi di espressione, uso dei materiali, manierismi ecc. senza cadere nel pericolo delle ricostruzioni, per dar libertà alla fantasia (anche surrealistica, ma non quella nella pittura e nella scultura), ma solidificandola, pietrificandola, “un volo di fantasia pietrificata” si potrebbe definire parte della Scarzuola» (1). Con queste parole Tomaso Buzzi, visionario architetto lombardo (Sondrio 1900 – Rapallo 1981) artefice del Giardino della Scarzuola, siglava un appunto datato 12 febbraio 1969, parlando della sua opera più grande. A distanza di anni in queste stesse parole ritroviamo il senso e il valore di una delle opere ambientali più ambiziose dell’architettura italiana dei giardini del Novecento. A Buzzi si deve infatti la costruzione di quella che egli stesso chiamò la città Buzziana, costruita a lato del duecentesco Convento della Scarzuola, situato in una zona collinare vicino Orvieto, nel cuore più selvaggio e meno urbanizzato dell’Umbria.
La storia del Convento è legata all’arrivo di San Francesco. La leggenda racconta infatti che il Santo di Assisi in questo luogo avesse dato vita a una sorgente d’acqua e avesse costruito un rifugio di fango e di scarza, la pianta selvatica da cui prende il nome la località. La fondazione del complesso conventuale risale invece al 1218 e comprende la chiesetta, il chiostro, l’hortus conclusus, il pergolato e il prato attorno. Quando Tomaso Buzzi, nel 1956, decise di acquistare l’intero convento, era al culmine di una carriera svolta tra commissioni per le più importanti famiglie dell’imprenditoria lombarda, nonché per illustri casate nobiliari. Tomaso Buzzi si dedicò non solo alla progettazione e al restauro di numerose abitazioni di quella committenza speciale, ma seppe fondere insieme una passione per l’artigianato, facendo dell’arredamento d’interni e in generale delle arti applicate, un raffinato compendio alla fantasia erudita dell’architetto.
Alla Scarzuola Buzzi si è dedicato riorganizzando e riprogettando l’area attorno al Convento secondo quella che sarebbe stata la realizzazione del sogno di una vita. La “città profana” costruita alla spalle della “città sacra” (il convento francescano), per tipologia architettonica e stile, costituisce una sorta di composizione metafisica, dove la passione reliquaria per l’antico è impreziosita da un linguaggio architettonico raffinato e suggestivo, fatto di continui rimandi alla storia, alla letteratura, all’arte e alla filosofia.
La visita alla città Buzziana è anticipata da un primo “esercizio di stile” dedicato al giardino rinascimentale, che comprende l’omaggio letterario alla Hypnerotomachia Poliphili, composta da Francesco Colonna e stampata nel 1492 da Aldo Manuzio, di cui si ricorda un altro esempio nel tardo-cinquecentesco Parco dei Mostri a Bomarzo, nel viterbese. Luogo che Buzzi dovette certamente visitare. Oltrepassato il giardino antistante la chiesetta del convento, e percorrendo un sentiero obbligato tra due alte cortine erbose si giunge alla fonte miracolosa francescana (2). Questa include una piccola costruzione in pietra al cui interno scorrono le acque della sorgente e una fontana addossata al muro, all’interno della quale Buzzi fece collocare la struttura in ferro dorato di una grande clessidra, allegoria del tempo che passa e della caducità della vita. Di fronte la fontana, disposte una accanto all’altra, si aprono tre porte, come nel mito di Polifilo. La prima porta reca l’iscrizione Gloria Dei e conduce alla sfera celeste; la seconda, Mater Amoris, conduce all’imbarcazione che nel mito il dio Amore trasporta verso Cetere; la terza porta, Gloria Mundi non conduce in nessun luogo e allude alla vita fine a se stessa. Tornando indietro per l’alto pergolato e attraversando una parte dei camminamenti adiacenti al convento si giunge all’ingresso della città-teatro. In una spettacolare e inaspettata architettura scenografica si apre il palcoscenico surreale della città di Buzzi. La città, realizzata interamente in pietra tufacea, sfrutta la pendenza e le lievi inclinazioni naturali della vallata, dove si adagia con i suoi sette teatri e la miriade di strutture architettoniche che si susseguono in un itinerario fantastico e ricco di citazioni di ogni genere. Il teatro maggiore, con l’ampia cavea affacciata sul proscenio, rappresenta il fulcro architettonico attorno al quale si sviluppano, apparentemente senza un ordine preciso, il resto delle architetture. L’attenzione è immediatamente catturata dall’agglomerato di piccoli, illustri monumenti architettonici che campeggiano sul proscenio, nella parte superiore destra, denominata l’Acropoli. Questa “città ideale”, costruita come negli affreschi di Giotto nella Basilica di San Francesco ad Assisi, riunisce, uno stretto all’altro un arco trionfale romano, il Colosseo, il Partenone, la Torre dell’Orologio di Mantova, il Tempio di Vesta. Tutto preceduto da un portale originale proveniente dal Palazzo di Diocleziano a Spalato (e trasportato in treno da Venezia alla Scarzuola).
Alla base dell’Acropoli numerosi sono i riferimenti all’arte e alla mitologia, come il muro con il finto bugnato e le scalette “del paradosso” dei disegni di Escher, il palco pavimentato e inclinato verso la vallata, che rievoca le architetture metafisiche di de Chirico, le due Pomone arcimboldesche ai lati della base, il grande occhio di Atteone inciso a rilievo e puntato sulla platea, all’interno del quale Buzzi collocò il suo studiolo.
Sul lato sinistro del proscenio si trova il “teatro delle api” e rappresenta il Teatro della Scala di Milano, città cara a Buzzi, che volle omaggiare con un monumento dedicato agli insetti tra i più produttivi e laboriosi esistenti in natura. Alle spalle del teatro principale si trova invece quello che Buzzi chiamò il “teatro delle acque”: una grande vasca delimitata da un basso muretto che la separa dal pendio della vallata, e dal basamento di cinta, ornato da scalette e bugnato come sulla fronte. La parte scoscesa costituisce un altro grande teatro naturale che si conclude con il muro di cinta, la “Colonna spezzata” e la balena di Giona, raffigurata sul grande portale a valle. Aggirato nuovamente il “teatro delle acque” si passa per un’area chiusa circolare, delimitata da un muro con un portale “dedicato” alla “Caduta dei Giganti” di Giulio Romano, a Palazzo Tè a Mantova, in cui la fascia superiore è ornata da triglifi e metope con i simboli araldici dell’immaginazione buzziana dell’occhio e dell’ala, dell’aquila, della cometa, delle acque, dei fiori e del castello. Al centro di questo spazio spicca altissimo il tronco spoglio di un cipresso, che riprende il tema della memoria attraverso il mito di Ciparisso, e segnando il tempo che scorre per mezzo del movimento del sole che lo trasforma in un astrolabio naturale. Oltrepassata la porta, il percorso di conoscenza continua attraverso l’alta Torre di Babele, realizzata ad alveare così come è descritta negli affreschi giotteschi, che conduce direttamente alla città ideale, proprio nel mezzo delle architetture più eccentriche di Tomaso Buzzi.

Dall’alto:

La Scarzuola, sguardo su piscina

La Scarzuola

La Scarzuola, veduta generale