Essere nato in Jugoslavia voleva dire, nel senso di consapevolezza, essere nato nel 1945 (non anagraficamente) in un paese socialista facendo la prima elementare e i primi passi dell’educazione stalinista. Ero della prima generazione di pionieri con i capelli rasati a zero, con un grembiule nero abbottonato fino al collo e con il mitico fazzoletto rosso legato attorno al collo. Sulle pareti dovunque c’era appeso il ritratto di Stalin. Era un’educazione di “coreografia militaresca” per cui l’idea del sistema mi era imposta da piccolo, insieme alle prime lettere da scrivere e leggere. Qualsiasi movimento si facesse, entrata in classe, uscita dalla scuola, ecc., doveva essere in fila, composta e ordinata. Era una realtà quotidiana che mirava ad un ordine ideologico come un fatto esistenziale e rappresentativo, ma sostanzialmente era un “lavaggio di cervelli”, per usare un’espressione di una volta. Ci dicevano continuamente che eravamo gli eredi di un mondo nuovo che stava costruendo un grande futuro. Ancora oggi ricordo tutto, fino ai piccoli dettagli. Poi nel 1953, dopo vari travagli mi trovai al liceo artistico. Era l’anno della morte di Stalin. La storia non cambiò molto. Le spie si riducevano da “una su tre” a “una su dieci”, ma diventavano più esperte. Si dava l’illusione di una flessibilità del regime più libertario, ma effettivamente non era così. Avevo 19 anni e avevo scoperto lo sport e le possibilità che lo sport potesse dare. Era l’attività privilegiata e volevo provarci: i primi passi in atletica promettevano. Così ho cominciato a fare un cambiamento con me stesso recuperando la fiducia e l’identità. Mi dedicai agli allenamenti con tutta la forza. Avevo grande voglia di riuscire, cercando anche di essere positivo con tutto il resto, che non mi veniva facile visto che ero già parecchio frustrato. Essere nato in Jugoslavia voleva dire essere ossessionato con l’idea di scappare via. Però, malgrado tutto mi dispiace che la Jugoslavia non c’è più, e che il socialismo fosse un errore e il capitalismo una cosa giusta non ne sono convinto!

** Selezione dall’intervista di Vania Granata, novembre 2003.

Schede delle opere riprodotte a lato:
Ilija Soskic, Uccello sulla spalla, performance per foto, 1973, foto b/n di Luisa Tappa, Archivio Soskic.
Scheda: Nella palude del delta del fiume Po ho catturato un passero per posarlo sulla spalla sinistra e dargli la possibilità di riprendere il volo. Una performance per la foto.
Ho pensato per un attimo di poter essere Icaro e far parte di un volo. La storia mitologica narra di Icaro come di un segno nel quale si riconosce la tipologia della mentalità umana: ossessione, megalomania, ed anche il coraggio. Quel qualcosa in più che distingue l’artista dall’uomo comune è l’Icaro, è il sogno del volo. Giotto ha dipinto S. Francesco che parla agli uccelli. Non si sa se S. Francesco abbia veramente, con le sue preghiere, coinvolto gli uccelli, ma il Giotto ha veramente dipinto quest’immagine, e (solo) questo è importante.

Ilija Soskic, Uccello sulla spalla, performance per foto, 1973, foto b/n di Luisa Tappa, Archivio Soskic.