Ilija Soskic (Decani, 1934) è stato invitato alla Biennale internazionale d’arte di Venezia 2011, per il Padiglione del Montenegro in The Fridge Factory and Clear Waters. Ilija Šoškic, Natalija Vujoševic, a cura di Marina Abramovic Cetinje Community Center Obod. Commissari: Petar Cukovic, Svetlana Racanovic. Sede: Palazzo Malipiero, San Marco 3079.
Nel raccontare alcune delle ultime performances di Soskic tra Italia e Croazia nella seconda metà del 2010, siamo lieti di anticipare alcuni passi del volume in preparazione sull’artista per la cura di Simonetta Lux. Si tratta di interviste e Manoscritti Autobiografici dell’artista (per la cura di Dragica Soskic e Simonetta Lux. Trascrizioni di Vania Granata). I testi autobiografici sono di particolare interesse in quanto non è ancora nota – malgrado la notorietà dell’artista tra Europa e Balcani – la complessa biografia di colui che è stato un vero e proprio maestro delle generazioni che non hanno vissuto la drammatica transizione dalla federazione Yugoslavia di Tito, attraverso la guerra fratricida del 1992-1995, e della condizione dell’artista sotto Tito, della presenza originale e degli scambi degli artisti Iugoslavi con l’arte contemporanea europea ed internazionale, come anche della transizione drammatica allo stato attuale delle nazioni della ex Jugoslavia la arte di Soskic è creazione testimoniale. Ilija Soskic è uno degli artisti che seguo dal 1986, anno del suo rientro in Italia dalla condizione di profugo (1991), ed ha partecipato a numerose iniziative del MLAC-Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della Sapienza di Roma. Vedi ad vocem Archivio Museo Laboratorio di Arte contemporanea nella rivista www.luxflux.net.

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Vado a Grisignana/Grožnjan l’11 settembre 2010. Mi invitano infatti: c’è Soskic, mi dicono. Viaggio in treno, Venezia, poi Trieste. Poi in auto, attraverso il confine dell’Istria. Grisignana è a pochi chilometri. Una piccola città (territorio di 68 kmq, un migliaio di abitanti) della Repubblica Presidenziale di Croazia, Regione Istriana. Già centro irredentistico dell’Italia asburgica, città bilingue della Zona B del “Territorio libero di Trieste”, città dell’esodo degli italiani tra 1945-1955, città in cui Tito favorì l’insediamento degli artisti. Tito infatti ad ogni città o cittadina della Jugoslavia aveva voluto offrire un polo di aggregazione culturale, sia stato esso di teatro, cinema, arti visive etc., sostenendo comunque la libera circolazione in Europa degli artisti e dell’arte. E, come già ho avuto modo di scrivere (vedi Speciale Biennale di Sarajevo, Regiones, n.38/2010 e nello Speciale Jusuf Hadžifejzovic, Art in Theory, n. 37/2009), non c’è da meravigliarsi se un artista, seppure invitato come grande maestro, si muova anche per ognuno di piccoli centri dell’arte, che poi sono tutti estremamente significativi. Un costume culturale di movimento all’interno della ex-Jugoslavia e naturalmente anche attraverso e avanti indietro con l’Europa, che si è mantenuto durante la guerra aperta contro l’altra Jugoslavia da Milosevic contro il costituirsi di nuove Repubbliche indipendenti (la prima delle quali fu proprio la Croazia). I maggiori artisti, poeti dei diversi paesi in guerra tra loro negli anni ‘90 della guerra, hanno continuato anche pericolosamente a vedersi e incontrarsi, a scambiarsi sempre amichevolmente (talvolta con pericolo) esperienze ed eventi.
La logica della pace e della libertà dell’arte contro la logica della guerra e del dominio. “Da Ilija ho ascoltato storie di guerra e di pensiero; quelle di un uomo, che vive le sue esperienze come un fatto artistico e fa dell’espressione artistica un’esperienza. Intenso, assolutamente non banale”.
Questo treno che da Venezia va a Trieste e ritorno è proprio vecchio, degradato, ma con gli arredi, le tappezzerie, il design anni Cinquanta-Sessanta, che rappresentò lo stretto scambio artistico e di design tra Italia e Yugoslavia (penso alle biennali di Zagabria etecetera: una storia che credo stia scrivendo Dunja Blasevic, l’amica di Belgrado di Soskic degli anni Sessanta, allora Direttrice del Centro Culturale Studentesco, poi direttrice del Centro Soros per l’arte Contemporanea, oggi a Sarajevo, direttrice di un importante Centro per l’arte Contemporanea).

La sera della domenica 12 settembre 2010, a Grožnjan/Grisignana Ilija Soskic entra nella sala del micro-museo di arte contemporanea, la Gradska Galerija (Galleria Civica). É una mostra collettiva curata da Eugen Borkovsky con una sezione per l’invitato speciale Ilija Soskic. Entscheidungsproblem è il progetto site-specific di Ilija Soskic, che si concentra sul comportamento prodotto nella collisione tra il concetto artistico e la sua azione critica nel momento della compartecipazione. La sua sala è vuota. Gli altri partecipanti espongono opere di arte tradizionali anche se attuali (fotografie, installazioni a parete, carte, pitture) nelle altre diverse stanze della Galleria. Ilija traccia un cerchio di farina di gesso al centro dell’ambiente e tiene in mano il filo di una corda lunga al cui esterno è aggomitolato il lungo filo restante. All’estremo del filo è legato un grosso chiodo, che fissa il centro per tracciare col gesso il cerchio perfetto. Il pubblico è tutto intorno. L’artista, dentro il cerchio, racconta. Chiedo oggi a Ilija: ma che raccontavi? Così mi risponde.

Ilija Soskic: Quadratura del cerchio

La performance di Grosnian (sic=Grožnjan) cominciò con un cerchio di gesso che ho costruito e la parte parlata. Cominciai col ricordare la mia presenza a Grosnian (sic=Grožnjan) come ospite di Marina Abramovic a casa sua grosniana, 1972. Marina era ancora studentessa masters. Dopo qualche giorno mi viene l’idea di fare una hepening – performance (sic = happening _ performance) con Marina e altri ospiti suoi e così fecimo all’aperto una specie di azione urbana. Forse, non sono sicuro, era la sua prima performance.
Il giorno che dovevo partire dissi a Marina perché non vieni con me a Venezia alla Biennale e poi andiamo in una casa di campagna che ho a disposizione che possiamo fare il resto dell’estate. È sul mare vicino a Venezia. Così che lei saltò sulla mia mini jeep e partimmo… il resto è già ben conosciuto…
Dopo la parlata di Marina segue il cerchio, la quadratura, come misurare la quadratura del cerchio!? È una antica domanda che ci viene dai matematici greci ed anche se è ovviamente inutile, è una domanda della metamatica tutt’ora, ma quello che a me era interessantissimo era proprio l’inutilità ma che però, molto affascinante (abbacinante), come fosse l’arte. Per me mentalmente è un’opera d’arte…certamente ipotetica…, ma bella.”
8 marzo 2011

Ho trascritto Quadratura del cerchio, oggi a 5 mesi dalla mostra collettiva di Grisignana/ Grožnjan. É la trascrizione del testo scritto da Ilija Soskic ad acquerello su carta A4, su mia richiesta, l’8 marzo 2011, di dirmi per intero che cosa raccontava alla gente seduta intorno al cerchio da lui disegnato, dentro il quale lui si trovava. Io pensavo, allora, vedendolo fare continuamente il gesto di indicare il dentro ed il fuori, che egli si rivolgesse dal suo luogo particolare dell’arte (nel cerchio) a qualcuno che era fuori (il pubblico), e che – indicando continuamente il dentro ed il fuori – egli si riferisse al suo essere un artista la cui vita, come uomo e come artista, fosse legata al suo paese e contesto, la Jugoslavia prima e poi la condizione di profugo in Grecia e in Italia. E che questo significasse anche, o volesse far capire anche, che la sua arte performativa e spesso dematerializzata (agire con il corpo proprio e crearsi degli aggeggi inclusivi e vagamente simbolici oppure richiami di autobiografia artistica) era legata per un verso a un certo avanzato linguaggio internazionale dell’arte (essere nel cerchio), per altro verso fortemente incardinato motivazionalmente e finalisticamente al suo contesto socio-politico di origine (anche essere qui a Grožnjan, per esempio). E viceversa, perché è suo l’operare nella dialettica tra i due “cerchi” (quello contestuale originale e quello del linguaggio legittimato dell’arte; ma anche il cerchio dell’est e quello dell’ovest), come sul filo del rasoio che separa originalità e soggezione, opera dell’artista dentro/ fuori il “sistema dell’arte” cosiddetto occidentale avanzata. Questo lavoro sul crinale, interstizio di libertà creativa, è ciò che ho definito “arte ipercontemporanea” e quell’artista “soggetto ipercontemporaneo” in Arte ipercontemporanea. Un certo loro sguardo. Ulteriori protocolli dell’arte contemporanea (Roma, Gangemi, 2008). Ed il “sistema dell’arte”, purtuttavia, “zona franca”, senza la quale nessuna azione artistica “originale” potrebbe darsi, ma neppure “etica” (cioè fondata su una coscienza critica del mondo) potrebbe darsi: la protezione “immateriale” della “zona franca dell’arte” può salvare la vita dell’artista operante in nazioni autoritarie.

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Un po’ ci avevo azzeccato: per esempio il racconto senza dettagli che oggi Soskic mi dice aver fatto della azione/performance di 30 anni prima con la Abramovic, e che io non capendo la sua lingua non sapevo avesse detto, è, mi pare, proprio questo messaggio: lì nel ‘72 nasceva l’arte performativa di Marina Abramovic e la sua stima ed amicizia con Ilija Soskic (1).
La stretta dialettica tra i due elementi: contesto matrice originario (la propria patria nazionale e culturale) e linguaggio (conoscere e scegliere nel contesto artistico transnazionale europeo), è poi il fondamento della sua arte e della sua maestria riconosciuta.

(1) In verità Ilija Soskic e Marina Abramovic riconoscono così l’atto originario (non ancora opera d’arte) che ne avrebbe poi fatto degli artisti performativi, per i quali la messa in gioco del proprio corpo è il nucleo centrale. Ilija racconta che, da adolescente, in una riunione familiare seguita alla violenta negazione da parte del padre di fargli compiere studi artistici, si chiuse nel bagno. Tagliatosi entrambe le sopracciglia si presentò come se nulla fosse ai familiari. Inorriditi e scandalizzati tutti, salvo uno zio che difese il giovane Ilija e ne sostenne gli studi artistici. Marina Abramovic, in un piccolo video autobiografico Marina’s first performance, ora su You Tube http://www.youtube.com/watch?v=1DxZKAQ9WrM.
Fa parte della lunga intervista video in occasione della mostra al MOMA di New York (www.moma.org) Marina Abramovic: The Artist Is Present, March 14-May 31, 2010. Marina racconta che quando era piccola aveva scarpe ortopediche ed i capelli tagliati a caschetto alto all’altezza degli occhi. Era inorridita quando si guardava allo specchio. Amava moltissimo Brigitte Bardot, di cui aveva una serie di foto ritagliate dai giornali. Un giorno decise di trovare il modo di farsi portare in ospedale, sfoderare la sua collezioncina di foto, per farsi rifare il viso: nella sua cameretta si mise a girare sempre più veloce intorno a se stessa fino a cadere violentemente sulla spalliera del suo lettino, al fine di rompersi il naso. In verità si spaccò solo lo zigomo destro e la madre sopraggiunta dopo averle dato i classici schiaffoni, la fece medicare semplicemente. Questa, dice Marina, la considero la mia prima performance, anche se non ha niente a che fare con l’arte.

Dall’alto:

Dal treno per Trieste, settembre 2010

Nel treno per Trieste, settembre 2010

3 e 4. Ilija Soskic, Entscheidungspproblem_quadratura del cerchio, 2010, performance a Groznjan

La gente e Soskic a Groznjian, settembre 2010

Ilija Soskic, Quadratura del cerchio, testo, 2010

Foto: Simonetta Lux