NOTE:
(1) Progetto di Paolo Portoghesi, Roma 1975-1995.

BIBLIOGRAFIA:
C. Di Stefano, D.Scatena (a cura di), Paolo Portoghesi architetto, in “Osservatorio”, Diagonale, Roma 1999

NOTIZIE UTILI:
Ubicazione: Via Cadorna, 59 Calcata (VT). Ingresso gratuito su appuntamento.
Tel. 0761-596059

Era il 1953 quando Paolo Portoghesi arrivò a Calcata per la prima volta. Affascinato da questa fragile rupe tufacea, quasi totalmente abbandonata, da qualche anno vi risiede stabilmente. Il paese era a rischio demolizione, fortunatamente sventato da una serie di opportuni interventi, che hanno portato invece ad un consolidamento del terreno. Oggi Calcata vive una nuova stagione e uno splendido paesaggio si gode dalle finestre di casa Portoghesi e dal giardino, dal 1974 acquisiti au fure et à mesure dai proprietari.

Ispirato alla Villa di Adriano a Tivoli, ma ricco di reminescenze dai più celebri giardini storici laziali, il progetto Portoghesi-Massobrio risale al 1990, quando furono accorpati i vari orti in cui originariamente l’area era frazionata.

Iniziamo il percorso e troviamo davanti a noi il profilo solenne di un tempio aperto a dieci colonne immerso nel verde su di un plateau a stesura longitudinale; in secondo piano la vista sulla vallata circostante popolata da ulivi e lecci anima l’ambiente come un cerchio di ballerine di quinta.
Da qui lo sguardo corre ad una grande vasca, teatro di vivaci giochi d’acqua, il cui ingresso è sottolineato da un elemento architettonico a forma di timpano spezzato (o forse è la corona di un qualche arcaico re d’oriente?). Il rivestimento marmoreo colora l’acqua di verde ed anche dall’alto l’architettura si fonde dolcemente nel paesaggio.

Quattro piccole vasche circolari comunicanti alludono iconograficamente ai quattro fiumi d’Oriente, che scorrono in direzione della piscina. La decorazione musiva, omaggio delle maestranze che hanno operato nella moschea di Roma (1), si ispira alla tradizione persiana pre-islamica.
Alle spalle, la zona conviviale di derivazione romana cita la casa di Toscana descritta da Plinio il Giovane nelle lettere familiari: scanni e panche coronano un grande desco di peperino solcato longitudinalmente da un canaletto che, riempito d’acqua, assumerebbe l’originale funzione di passa vivande. La scenografia circostante raffigura l’albero della vita e quello della conoscenza, mentre gli occhi alludono alla celebre epigrafe del Sacro Bosco di Bomarzo: “Lasciate ogni pensiero voi ch’entrate”. Al Sacro Bosco si ispira ugualmente l’aiuola di bosso al cui interno campeggiano le forme di un quadrato e due cerchi.

Terminato il banchetto, ci dirigiamo verso il giardino all’italiana, introdotto da una fontana di pietra, la cui forma oscilla tra un cristallo e un tulipano.

La prospettiva centrale è sottolineata da un serie parallela di siepi di bosso in pendenza, nelle quali abitano centinaia di specie di rose diverse, scelte personalmente una ad una dagli architetti, come tutte le altre varietà botaniche presenti nel giardino. L’andamento longitudinale dello spazio in leggero declivio culmina in un’intima piazzetta destinata alla musica.

Gelsi penduli bilanciano lo slancio verticalistico dei cespugli di rose e creano, attraverso le loro fronde cadenti, una sorta di box vegetali in cui rivivere una dimensione individualistica alternativa agli spazi politici (nel senso etimologico del termine).

Usciti dal giardino all’italiana, un nuovo percorso inizia salendo di quota mediante una piccola scalinata in tufo e laterizio. Delle aiuole lasciate a vegetazione selvaggia indicano il punto d’arrivo: un’enorme radura a cielo aperto, un tempio senza copertura, in cui tre cerchi si susseguono simbolicamente alludendo ai tre momenti di conoscenza della psiche: analisi, sintesi, contemplazione. Splendidi olivi secolari, già in situ o giunti dalla Sabina, sono stati ribattezzati con i nomi di grandi artisti, da Michelangelo a Rodin. Insieme incorniciano la scena, aumentandone il grado di suggestione.

Da qui una scala monumentale dal profilo trilobato, disegnata e mai realizzata da Michelangelo per la Biblioteca Laurenziana, oggi recuperata per la medesima finalità, funge da cavea dell’anfiteatro e scende verso la biblioteca. Moderno Giano bifronte, l’edificio offre dal giardino la facciata postmoderna, mentre riserva dall’esterno l’originario rivestimento in pietra, in ordine ad un principio di destrutturazione che contraddice ambiguamente la spazio-temporalità della terza dimensione. Lampioni, fontane, appliques, faretti inseriti nella pietra arredano il giardino in ogni suo angolo, persino i chiusini sono realizzati a forma stellare, segno di una cura e di un amore che nulla lascia al caso. Eclettico, colto, elegante, il giardino Portoghesi celebra idealmente l’apoteosi nell’orto contemplativo degli ulivi, falisco Getsemani ritrovato.