Vediamo nella struttura come è stata la X Habana Biennal del 2009.
I nomi dominanti, cioè, gli invitati speciali, le figure emergenti nelle presentazioni in catalogo, e il fatto che è sempre più stato il più caratterizzante: i laboratori di gruppo ed i collettivi socializzanti oppure zones di analisi critica e relazionale.

Gli autori.
Di Nelson Herrera Ysla, cui è affidata la ricostruzione storica, parleremo più oltre. Di Nicolas Bourriaud, che nello stesso momento della Habana Biennal sta lavorando ad Altermodern alla Tate, abbiamo un breve riconoscimento di quanto ha pesato la struttura della Biennali e la loro arte sulle sue brillanti sintesi storiche (Post production; Relazionismo; ed ora il nome di Altermodern attribuito alla stato dell’arte attuale); Lilian Llanes, la fondatrice della Biennale che ne auspicò nel 1989 la transizione da un modello tradizionale ad un sperimentale, scopritrice e sostenitrice di tanti nuovi artisti, tra cui Tania Bruguera, riproduce una toccante testimonianza resa in Francia alla fine degli anni Novanta; Antonio Zaya ribadisce il ruolo “ossigenante” dell’arte nuova di Caribe, SudAmerica, Asia e Africa, per il Sistema Dominante dell’arte Occidentale pieno di contraddizioni; Leonor Amarante, direttrice e storica delle Biennali di San Paolo del Brasile, riconosce la peculiarità nel “lavoro di gruppo”: Orlando Britto Jinorio, il creatore in Las Palmas de Gran Canaria del CAAM (Centro Atlantico per l’Arte Moderna) e di ATLANTICA, la prima rivista intesa come mappa interculturale dell’arte ed osservatore transnazionale dell’interculturalità (insieme a Okwui Enwezor, Salah Hassan, Gilane Tawadros) a partire dalla Biennale del 1989 e nello stesso momento, oltreoceano, con la discussa Magiciens de La Terre. L’architetto di origine italiana, e docente in Argentina e a il La Habana Roberto Segre e il pittore cubano Manuel Lopez Oliva.
Non c’è dubbio che, last but not least, Dannys Montes de Oca Romero (oltre che in catalogo, vedi http://www.excelencias.com), cui è affidato l’intervento teorico, che svolge sulla dinamica attuale tra locale, regionale e globale (un suo cavallo di battaglia degli ultimi anni), può a ragione parlare collettivamente a nome – come sempre – della equipe del Centro Wilfredo Lam, anche se a lei, in un lento passaggio da giovane spettatrice a curatrice, sono dovute le sintesi teoriche e le organizzazioni dei Forum Internazionali. Soprattutto colpisce il suo tentativo di razionalizzare e oggettivare i processi di selezione degli artisti, intrecciati con i vasti campi interrelati delle teorizzazioni della critica internazionale. Certo i nomi dominanti cui fa riferimento sono quelli divenuti mitici nei postcolonial studies: Luis Camnitzer (Uruguay), Omi Baba (Nigeria), Geeta Kapur (India), Gerardo Mosquera (Cuba) ed Okui Enkwenson (Nigeria). Ma la domanda fondamentale della studiosa è: quando si uscirà – da dentro il concetto “neutrale” di globalizzazione puramente economico – dalla bipolarizzazione cultura dominante / culture marginali o di confine? Giustamente afferma che è proprio il movimento forte degli assi dell’immaginario tra primo Mondo e gli altri mondi paralleli da esplorare e da “inseguire” nella sua infinitudine. Ed è in questo interrogativo ermeneutico che si svolgeranno le analisi dei contesti locali di creazione e produzione nonché delle continue espansioni di tali contesti nei più ampi movimenti delle idee e delle opere: insomma nel tessuto metamorfico del contatti e delle relazioni. Quanto poi al peso dei movimenti e strutture dell’economia su tale complesso di vitalità e progetti e scambi culturali ipotetici o reali che siano, resta tutto da valutare.

Infatti il concetto di globalizzazione non può essere ridotto a scenario o sfondo mobile ma preciso del pensiero e dell’azione dell’arte contemporanea.
Su questo piano, gli esiti possono essere o molto “immateriali” (come avvenuto con alcuni degli Invitati Speciali) o molto “evasivi” ed “integrazionisti” (come avvenuto nei Proyectos Collectivos) o molto “drammatici” (come è apparso nell’opera di Tania Bruguera, cui dobbiamo uno dei due Talleres, cioè il Laboratorio della Càtedra Arte de Conducta) o “aperti” (come nel Progetto Collaterale di Taller, il Laboratorio di Ricerca AequatorLab, di Matria Rosa Jijon e Juan Esteban Sandoval presentato insieme al Centro di Ricerca MLAC della Sapienza di Roma, presso la Facultad de Artes Y Letras). 
Oppure, come negli invitati individuali, si è avuta per così dire la fenomenologia dello stato nomadico e ipernazionale di molti artisti cariebani, centro o sud americani, apparsi prima qui, in edizioni passate, ed ormai noti internazionalmente ed accolti nel Sistema dominante dell’arte, magari con doppio passaporto e residenza: insomma l’inveramento o la “prova” di quanto teorizzato o osservato dalla Dannys Monte de Oca e poi divenuto tema della Biennale stessa. Integrazione e Resistenza.
E i punti interrogativi? Integrazione, dove? Rispetto a che? Resistenza a chi? Parole fluttuanti semanticamente, se pensiamo a un termine carico – nel 1900 – di storia e nobiltà come Resistenza (oggi assunto nella Estetica come ipotesi di discrimine di valore etico/linguistico), ed Integrazione, termine invece sporco nell’attualità, che sembra rigettare nella depressione, nella perdita dell’autostima e della originalità del linguaggio.
Gianni Vattimo, Umberto Eco, Antonio Gramsci…

Partiamo da ciò che ho definito esiti potenzialmente drammatici.
Come dire: malgrado la fenomenologia dell’arte dispiegata, l’arte deve fare il suo lavoro, niente è concluso…
In Tania Bruguera, in due modi: in primo luogo, con la creazione di una sorta di Biennale parallela (come d’altronde ha sempre fatto, una azionecontro o una azione in fuga in avanti); la serie di incontri e opere alla Galerìa Habana, da titolo Estado de Exceptionlaunched, per così dire, da uno dei più importanti critici e membri del Centro curatoriale della Biennale, José Manuel Noceda e poi ufficialmente presentata in catalogo da Jorge Fernàndez Torres.
O come invitata dal grande, mitico, artista messicano che è qui stato Invitato Speciale Guillermo Gòmez Peña, emigrato negli Stati Uniti a 23 anni nel 1978, ed ideatore di Laboratori di Performance, di arte e Teatro, sui temi della “arte fronteriza”. Con una “irruzione” nel grande quadriportico del Centro Wilfredo Lam, che la Bruguera ha a sua volta offerto agli “altri”, predisponendo un palcoscenico dal quale fosse consentito a ognuno di parlare in totale libertà. Grande consueto scandalo, non solo per la dichiarazione di libertà di parola per tutti, ma perché a sua volta Tania Bruguera ha come “invitato” a sua volta Yoani Sànchez, la più famosa blogger cubana (Generation Y) che riesce a la Habana a fare queste sue trasmissioni in rete, pur essendo proibito – se si è fuori da qualsiasi istituzione – avere una connessione internet. E che è corrispondente del settimanale italiano “Internazionale”, su cui pubblica una sua “Nota” settimanale. Dicevo invitata per paradosso, poiché Yoani poteva salire sulla pedana come tutti gli altri: ma Yoani, una come tutti gli altri, la notte stessa è riuscita a mandare in onda su “YOUTUBE” tutta la serata e tutti gli interventi, scatenando un putiferio politico interno e all’estero. Per così poco? La domanda ricorrente è: perché solo nella “zona franca” dell’arte si può esprimere il proprio pensiero?
Che cos’è lo Stato di Eccezione? E perché fare della “libertà di parlare” un’opera d’arte?
Tutto si incentra sulla concezione e sulle ragioni dell’arte per Tania Bruguera, che lo dice in questo caso con il breve testo in testa a ciascuno dei programmi giornalieri (l’opera di Tania fatta di opere dei suoi allievi si è snodata dal 24 marzo al 1 aprile):
“Catedra Arte de Conduca is a program of studies in political art. It was founded in January 2003 with the purpose of creating an alternative training space focused in the discussion and analysis of social conduct and the understanding of art as a way of establishing a dialogue with reality and the civic current situation. Research has centered on the limits of art, the relationship among art, life and society, the paradoxes of cultural identity, the representation of the reality surrounding us, collective memory, historical conditions and ideology.
More than the results achieved by in the time we have been working, State of Exception intends to exhibit the functioning of the project. From March 24th to April 1st, nine collective exhibitions by participating artists and some by professors who have been invited to offer workshops throughout these years will be daily shown at Galerìa Habana. From April2, a sample including documentation of the various functions of the Catedra will be exhibited in this space with the inclusion of presentations and lectures by its members. State of Exception is a live proposal that intends to bring to exhibition spaces the working process of its action dynamics”. 

[Trad: La Catedra Arte de Conducta è un programma di studi in arte politica. È nata nel 2003 con lo scopo di creare uno spazio formativo alternativo incentrato sulla discussione e la analisi della condotta sociale e sulla comprensione dell’arte intesa come modo di stabilire un dialogo con la realtà e con l’attuale situazione civica. La ricerca si è concentrata sui limiti dell’arte, sulla rappresentazione della realtà che ci circonda, sulla memoria collettiva, sulle condizioni storiche e sulla ideologia.
Più che i risultati raggiunti nell’arco di tempo in cui abbiamo lavorato,Stato di Eccezionalità intende mostrare il funzionamento del progetto. Dal 24 marzo al primo aprile, nove mostre collettive degli artisti partecipanti e alcune di professori che durente questi anni sono stati invitati ad offrire workshop saranno realizzate in questo spazio e includeranno anche presentazioni e conferenze dei suoi membri. Stato di Eccezionalità è una proposta al vivo che intende portare in spazi espositivi il processo operativo della sua dinamica di azione]. 
Video, Performance, scultura, concerto, ciascuno originale e perfetto nel suo linguaggio, ha ragione essenziale nel convogliare e trasformare in segni, cioè in linguaggio, il racconto di una situazione critica o banale di un determinato contesto. Il fatto che vi sia questo elemento di racconto di una questione o di una condizione umana in un certo contesto scelto da ciascun artista, è per se stesso politico, cioè linguaggio azione nella polis, e quando il contesto – come quello cubano – è autoritario e quando in quanto tale si reputa al di sopra del cittadino e dell’uomo, cioè al di sopra di ogni messa in discussione, allora la questione è il rapporto con il potere e la il riconoscimento della facoltà di giudizio e della sua espressione.
Ancora una volta Tania Bruguera scompiglia le carte di un gioco ermeneutico che sembra troppo bell’e fatto: e questa volta il suo ruolo di “scompaginatrice di carte” è riconosciuto, come nobile.
Esito dicevo che però può anche presentarsi come “infinito”: un’azione che non si chiude mai, e continua nei soggetti partecipanti oppure potrebbe continuare in altri luoghi della geografia culturale e politica contemporanea.

Parlo del Progetto Collaterale di Taller, il Laboratorio di Ricerca AequatorLab V.4 (http://aequatorlabhabana.blogspot.com/), di Maria Rosa Jijon e Juan Esteban Sandoval presentato insieme al Centro di Ricerca MLAC della Sapienza di Roma, presso la Facultad de Artes Y Letras). Nel blog si possono seguire oggi gli sviluppi e gli interventi che continueranno nel 2010 con gli stessi studenti ed altre persone.
Questa città e questo bel Paese di Fidel, vissuto come aperto a tutto il mondo, ha poi però una doppia percezione dentro di sé? Come di un progetto in atto sconfinato e confinato nello stesso tempo, come molti sembrano ad un certo punto chiedersi dentro di sé?
Lì nell’Atrio di questa bella Architettura anni sessanta, lì dove – ci hanno raccontato i colleghi José Baujin e Maria de los Angeles Pereira e la filosofa Lupe Alvarez – passò la giovanissima Tania Bruguera con un anticipo sulla performance El Peso de la Culpa nel 1997, Rosa Jijon e Juan Esteban hanno installato i loro micro “visori” di confini e disegnato le mappe ed installato i video delle 4 tappe dei Laboratori Internazionali: Roma, Praga, Quito (http://aequatorlabquito.blogspot.com), Roma AEQ V.2 MLAC_ROME (http://aequatorlab.blogspot.com/2008/03/aeq-v2-mlacromecollaborative-video.html), Ecuador:AEQ V. 2; Colombia: AEQ (http://aeqcolombia.blogspot.com). È poi iniziato il lavoro lab con gli studenti: dentro e fuori la Facoltà, facendo emergere dubbi profondamente innestati sulle certezze ideologiche.
Aequatorlab è un progetto multimediale, cominciato nel 2007, in collaborazione con il MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università La Sapienza di Roma. Si presenta come processo di ricerca artistica sui luoghi e le persone che si trovano lungo una linea di confine, a partire dalla linea equatoriale che attraversa i paesi di origine degli artisti: Ecuador e Colombia. La ricerca si orienta ad individuare spazi di dialogo tra attori sociali e culturali attraverso la documentazione e la produzione di opere d’arte e la elaborazione – con mezzi diversi – di idee che nascono e si sviluppano da quegli incontri. L’obbiettivo diAequatorlab è di smantellare confini e frontiere, trovare i loro punti di attraversamento e porli in crisi in quanto tali. Il fine, sommando persone, intenzioni, geografie, è unire la ricerca artistica con la ricerca accademica. I partecipanti vengono coinvolti attraverso diversi registri di azione, indifferentemente rispetto ai ruoli sociali. Aequatorlab, come processo creativo e forma di conoscenza, continuerà le sue realizzazioni in vari luoghi e città del mondo, rispettando il suo carattere di work in progress (http://aequatorlab.blogspot.com). Due gli elementi da sottolineare: il fatto che Rosa Jijon dell’Ecuador, vive oggi anche in Italia dove tra l’altro è responsabile per le questioni di immigrazione e integrazione del suo paese per l’Italia, dopo aver studiato tra l’altro anche all’Avana all’Istituto Superior de Artes. E Juan Esteban Sandoval, Colombia, vive ora in Italia dove è responsabile della Fabrica Arte della Fondazione Michelangelo Pistoletto. Uno speciale “nomadismo” il loro, in quanto le forti radici originarie diventano altrettanto forti negli altri paesi dove operano, e proprio nelle scelte dei materiali e del linguaggio artistico si ibridano media avanzati, con mezzi bassi e locali, con visualizzazioni dei concetti e delle idee discusse con platee sempre diverse e più ampie.
Dunque i laboratori, i Talleres, portano avanti delle incertezze, e la necessità dell’infinito operare dell’arte.

E i progetti collettivi?
Da sempre un fiore all’occhiello del progetto politico delle Biennali? L’azione collettiva dell’immaginario artistico – e non solo qui – è stato un tentativo di immettere il politico ideologizzato anti-individualista della cultura di sinistra nel processo e nel linguaggio dell’arte, sfuggendo nello stesso tempo al “peccato” realista o al peccato di “suonare il piffero per la rivoluzione”.
Qui i progetti collettivi invitati sono stati numerosi, o volti ad offrire il racconto di svolgimenti del passato (Reistencia y libertad, con opere di Wilfredo Lam, Raoùl Martinez e José Bedia), o di altre aree geografiche (come il progetto periodico transnazionale Latitudes – Francia – con tra le altre l’opera straordinaria di Lisa Reihana; Género(trans) géneroy los (des) Generados – Cuba/Africa/Stati Uniti/Sud America; Galeria Cilindro –Brasile – un gioco di critical mass ciclistico cromatico; El maìs de nuestra vida– Messico; Correspondencia – Francia/Stati Uniti/Spagna – per una Rete di artisti e Istituzioni; China:Arte contemporanea revista, con Liu Xiaodong.
Liu Xiaodong, che abbiamo visto a Roma in occasione della grande mostra a Palazzo delle Esposizioni e che insegna all’Accademia di Belle Arti di Pechino, qui all’Avana con la sua schiera di assistenti e controllori, è arrivato all’aeroporto, è sfuggito agli alberghi ufficialmente destinati, si è infilato per le strade della vecchia città, quella non restaurata, e la sera stessa con tutti i bagagli e attrezzi ha attaccato bottone e si è fatto ospitare da ragazze, ragazzi, famiglie, che sono stati gli attori di una specie di set della vita quotidiana. Queste grandi pitture di impressionismo-espressionismo disgregato ma accattivante, che rappresentavano quegli stessi ragazzi, ragazze, famiglie con cui ha abitato, lì nella sala assegnatagli alla biennale hanno visto un continuo viavai di flash e di quei modelli quotidiani che lo hanno trascinato in un luogo che direi “al di qua dell’arte”: quel luogo morto dal quale riescono a fuoriuscire solo pochi delle generazioni recenti e rampanti. 
LASA_ Laboratorio Artistico de San Augustin, quartiere periferico dell’Avana, è uno dei più visibili, anche se uno dei più lontani dal Centro della Biennale. Si è trattato in effetti di un progetto su cui hanno investito molte forse anche internazionali (Ambasciata del Belgio e Ministero della Cultura di Italia, Paesi Bassi, Austria e le Amministrazioni Locali, oltre che il Consiglio Nazionale della Arti Plastiche cubano), ma che è incardinato nell’idea di Centro Culturale, attivo tra la popolazione del territorio dalla vita delle casalinghe ai bambini in età scolare. E per questo diciamo che sembra di essere di fronte piuttosto a unaccompagnamento alla fruizione dei propri stessi luoghi d’uso comune, deputati o no.
Progetto di un artista cubano, Candelario e di una curatrice francese, Aurélie Sampeur si fonda in qualche modo sull’idea di un’arte “contestuale”, un’idea nient’affatto politico-critica, ma piuttosto volta ad istituire in tutti i luoghi di questo quartiere così ben curato e lontano dal centro, punti di incontro per i vecchi e i bambini, per le donne e gli operai. Qualcosa come un mimare il pesante vissuto quotidiano oppure come un far intravedere lontane possibilità di essere felici. Insomma qualcosa di ben diverso certo dalle attuali forme di azione critica e autocritica che scopriamo in molti artisti delle culture emergenti. Qualcosa che non dà fastidio al potere. 
Il Pavillon Cuba, che in genere e anche questa volta vede una grande mostra collettiva internazionale al centro della città modernista (su per la Rampa), ci accoglie con delle enormi lambda policrome sospese ai suoi pilastri ingegnereschi dell’acuta e sottilmente violenta artista Gayle Chong Kwan, parte del progetto collettivo Tales from the new world/ Relatos del nuevo mundo. Un progetto che va a toccare la questione della edulcorazione del soggetto isolato e solitario, spaesato e senza relazioni grazie al positivo-negativo della società globale e sempre più mediatizzata, e sempre più desoggettivante. L’opera di Gayle Chong Kwan, in verità una parte della quale già realizzata nel 2004 con la serie Cockaigne, ha sublimato la soggettività traumatica bulimico-anoressica così diffusa nel mondo dell’iperconsumo e del modello Barbie in immagini “di paesaggi sublimi”, arrangiati in modo così abile da renderne irriconoscibili i componenti originari fatti di scarti e avanzi di cibi. I titoli delle enormi stampe lambda rinviano a miti e storie profondamente incuneati in noi tutti, tanto da consentirci l’accettazione della grande bouffe illusionistica: Adonia, Avalon, Babel, Bermudas, Brigadon, Eldorado, New Amazonia, New Atlantis, Republic, Resort, Viaggio al centro della terra. 
Di tutti i più potenti la spagnola María Gimeno con l’installazione Mar Interior (2008), la cubana Glenda León con Mundo interpretato, l’artista albanese Adrian Paci con l’opera presentata anche all’ultima Quadriennale Internazionale d’Arte di Roma Centro di permanenza temporanea del 2007 e Sislej Xhafa, kosovaro, con la banconota americana di 3 mq realizzata a tappeto.

Ma che ci dicono gli invitati speciali?
Quanto agli esiti che ho definito “immateriali” – pensando a Les Immateriaux del 1984 di Jean Francois Lyotard, quando “espose” tra poche opere i filtri e tracce e strutture della “percezione” del mondo mediatizzato già allora, ho visto soprattutto nell’opera e nel modo di presentarsi di uno degli invitati speciali, il sociologo, canadese, della cultura e dell’arte Hervé Fischer, autore- tra l’altro- di Mythanalyse du futur e di Cibermonde (1999). Che sostiene nei suoi testi teorico sociologici la “fine della storia dell’arte” e – al seguito di Roland Barthes – l’idea della irriferibilità dell’arte, dell’immagine e dell’immaginario al Reale, proponendoci qui i suoi quadri, cioè diagrammi economici, demografici, sociologici “dipinti” ed “intitolati” – attraverso una iscrizione duchampiana nel corpo della pittura – come “paesaggi” dell’economia, della finanza etc. di un certo momento storico. “Dipingo i giochi degli speculatori finanziari, i diagrammi di Wall Street e le variazioni delle estrazioni minerarie di oro e platino. Mi piace la pittura pittura acrilica su tela per evocare questo nuovo mondo algoritmico”, scrive Hervé Fischer nel suo testo-manifesto intitolato Il ritorno paradossale alla pittura nell’epoca digitale (1999) (www.hervefischer.net), per fortuna non rigettando le invenzioni dell’immaginario che molti artisti praticano all’interno stesso del digitale.

L’autore, il teorico e lo storico, che non solo scrive ma mostra – rende visibile – la sua idea è anche Boris Groys, autore nel 2008 del molto dibattuto Art Power, professore di Filosofia e Teoria Arte presso l’Accademia di Design di Karlsruhe, in Germania, e Global professore alla New York University. Egli è l’autore inoltre di molti libri, tra cui L’arte dello stalinismo e Ilya Kabakov: The Man Who Flew in Space dal suo appartamento (Afterall Books, 2006), nei quali si individua il perno cruciale moderno e contemporaneo dei rapporti tra arte e potere, a partire dalle dittature del primo Novecento.
Lèon Ferrari, l’artista argentino (1920) che, contestando l’etichetta di cristianità dell’Occidente, includeva una critica essenziale dei processi di sublimazione rispetto alle terribili dittature, del suo paese in particolare, che lo costrinsero all’esilio in Brasile e dalla metà degli anni Sessanta, “dipinge” le notizie di torture e assassini politici, trascurate in tutto l’Occidente.
Il grande performer messicano Guillermo Gòmez Peña, autore di notevoli testi tra cui Ethno-Techno: Writings on Performance, Pedagogy and Activismo (Routledge, 2005), invece che di una teoria “esposta” o “applicata” (come in Groys e Fischer), presenta una riflessione in atto, nel corpo stesso della azione performativa, i cui elementi linguistici cyber punk e post pop, ibridati con tracce di costumi antichi attualizzati e semplificati, hanno raggiunto la massima comunicazione nel mondo ed anche la massima incisività critica della condizione dell’uomo contemporaneo. Qui ha realizzato – come detto sopra –un incrocio di azioni con la cubana Tania Bruguera e con lo statunitense Roberto Sifuentes. Come a dire di una qualità ed essenza di pensiero condivisi e trasversali.
Ricordiamo tra gli altri il portoricano Pepon Osorio e la sudafricana Sue Williamson, che operando in comunità marginali ha portato la pratica “relazionista” (come creare insieme una non so che opera, insieme).
Luis Camnitzer, uruguaiano, ma nato nel 1937 e portato via dalla Germania a 14 mesi, e poi trasferitosi a New York dal 1964, un grande artista concettuale, appartiene alla schiera di coloro che si sono fatti riconoscere internazionalmente per la qualità del proprio lavoro, ma che ha continuato ad essere il promotore della cultura artistica centro-sud americana, ad esempio come curatore della Biennale del MERCOSUR (la 6°). Qui, anch’egli, nel lanciare il Manifesto de la Habana (2008), si muove sulla definizione del ruolo dell’arte in rapporto al potere e alla sua distribuzione, ritornando alla problematica fondamentale dell’altro secolo: come non essere strumento di qualcosa altro da sé, ma solo della affermazione della libertà del linguaggio dell’arte come fondamento in quanto tale della inaccettabilità del potere come potere dell’uno sull’altro.
Infine, il più grande fotografo della seconda metà del ‘900 dell’America Latina, il colombiano Franco Fernell, autodidatta, che immise il suo occhio fotografico nella realtà non solo di città della Colombia, imponendo una penetrazione talvolta misteriosa sul quotidiano più eclatante e sui gesti più banali, tipizzando in modo inatteso gesti comuni di contesti diversi.

Dall’alto:

1-5 Juan Esteban Sandoval e Maria Rosa Jijon, progetto Aequator Lab V4, X Biennale de la Habana, 2009

Lisa Reihana, Digital Marae (Diva, Dandy Y Maui), 2007

Destiny Deacon & Virginia Fraser, Hoodies, 2007 (Latitudes, Centro de Desarrollo de Artes Visuales)

LASA San Augustin

Candelario, performance, LASA San Augustin

LASA San Augustin, ex lavanderia. Proiezione del film di Laura Delle Piane, Oggi come ieri

L’artista Liu Xiaodong, il quadro e i suoi ospiti cubani (China Arte contemporanea revista)

Liu Xiaodong, Maja desnuda morena con la modella cubana, 2009 (China Arte contemporanea revista)

Maria Gimeno, Mar Interior, 2008

Gayle Chong Kwan, Republic, 2004 (Pavillon Cuba, Tales from the new world)

Omni, El Kabaret de la Vida, 2009 (Arte de conducta, Estado de Excepcion, Tania Bruguera, Galería Habana)

Makinah, Sin titulo, 2007 (Arte de conducta, Estado de Excepcion, Tania Bruguera, Galería Habana)

Yuri Obregon, Heroes, 2008 (Arte de conducta, Estado de Excepcion, Tania Bruguera, Galería Habana)

Performance, Arte de conducta, Estado de Excepcion, Tania Bruguera, Galería Habana