Riferimenti:

http://vedranperkov.blogspot.it

https://www.facebook.com/
events/312695505581375/
 
http://www.chambreblanche.qc.ca
/MEDIA/Prog/PDF/0-1635910379_
PDFcommunique.pdf
 
http://www.chambreblanche.qc.ca
/FR/event_detail.asp?cleLangue=1&cleProgType=
1&cleProg=-1635910379&CurrentPer=Current

 

Vedran Perkov, classe 1972, è un’artista croato. Si è formato in Italia, all’Accademia di Belle arti di Brera, dove è rimasto poi per diversi anni. Ha iniziato la sua carriera con la pittura gestuale, emulando Emilio Vedova, per passare ad un arte prettamente concettuale e relazionale. Dal 2004 al 2010 ha lavorato presso il dipartimento di pittura all’Accademia di Belle Arti dell’Università di Spalato come assistente e docente. Ha esposto in Croazia e all’estero dal 1997. Ha partecipato a numerosi programmi di residenza negli Stati Uniti, in Francia, in Italia, in Svezia, in Lettonia, in Algeria, in  Croazia ed l’ultima in Canada, in Quebec City, alla “La Chambre Blanche” dove  è  stata realizzata questa intervista. Nel 2007, è stato il vincitore del Radoslav Putar Award, come miglior giovane artista  e ha ottenuto il primo premio del 35 ° Salone di Spalato – Emanuel Vidović Award.

 

Luisa Galdo: Nel tuo percorso artistico si può notare una certa predisposizione all’uso di materiali molto semplici come la carta, il polistirolo ed in particolar modo il legno. Non a caso dal 2000 al 2007 presenti una serie di “macchine” costruite in legno: veicoli non identificabili (Arc, 200/2007), prototipi di navicelle spaziali (The final frontier, 2005), una macchina da golf (Golf car, 2008), video poker, video giochi e flipper (You got it!, 2007). Sono tutti oggetti lineari, dei grandi prototipi privi di dettagli, ricordano le “macchine celibi” di Duchamp, inutilizzabili, e la grande fabbrica di “Metropolis”, improduttiva.

Vedran Perkov: I materiali che utilizzo generalmente per le mie opere sono materiali poveri che possono essere adoperati da tutti, sono reperibili facilmente, e soprattutto sono facili da lavorare. Presentano un’estetica semplice che mi affascina molto, e questo mi permette anche di creare delle forme molto elementari concentrandomi più sull’idea che sulla sulla forma stessa. La cosa più importante per me è l’idea, basta avere un’idea non serve il dettaglio. L’idea ha la supremazia sulla forma, e le “macchine”, in questo caso, a seconda dell’opera, la rappresentano in pieno. Con alcune di esse ho cercato di rappresentare il cambiamento e l’evoluzione della tecnologica, con altre l’impoverimento culturale ma allo stesso tempo l’utilità dell’oziare, del gioco. Il concetto viene prima e poi lo metto in uno spazio fisico, in relazione con un luogo. Generalmente lo metto dove funziona. Ad esempio qui in Canada mi sono documentato sulla storia di questa paese e poi ho iniziato a lavorare.

L.G.: Altre costruzioni in legno possiamo trovarle in opere come: Welcome (1997), Shelter (2006), Everything in its right place (2008). Sono degli autentici “rifugi”, grandi costruzioni cubiche e rettangolari dove è possibile entrare. Che cosa sono questi rifugi? Posti segreti delle mente, un riparo  antiatomico dove è possibile entrare con le tue macchinine?

V.P.: Le macchine di legno sono dei simboli di qualcosa, del flipper, della macchina da golf, e cosi anche questi spazi che ricostruisco sono simboli di idee. Parlano di situazioni e mi piace che la gente entra nel lavoro, interagisce con esso, non è un quadro sul muro dove non ti puoi avvicinare. Come il materiale che possono usare tutti questo spazio è accessibile a tutti.

L.G.: Parlami di questi rifugi.

V.P.: Everything in its right place è il frutto della mia esperienza nella residenza a New York.  Quando sono tornato in Croazia faceva parte del progetto fare una mostra che decretasse la mia esperienza newyorkese. Ho notato che il magazzino della Galleria, dove dovevo esporre, pieno di oggetti, scatoloni, privo quasi di luce potesse diventare un luogo nascosto, quasi un sotterraneo, da dove è possibile intravedere qualcosa. Invece di sfruttare lo spazio espositivo della Galleria ho utilizzato quello nascosto, il deposito delle merci. Ho costruito un corridoio, una sorta di accesso, appena prima del magazzino, e una volta entrati ho realizzato all’estremità della testa un falso soffitto con sopra la luce. E riproducendo i suoni della città, giocando con il sonoro, ho permesso alle persone di immaginare di stare a New York. Attraverso le fessure di legno potevi immaginarti di essere un piccolo insetto che guarda fuori dalle fessure. Shelter, invece, è un rifugio di cartone. Il progetto è nato mettendo insieme tre idee. Un tempo, la Galleria che avrebbe ospitato questo lavoro,  era un orfanotrofio. E questo orfanotrofio è avvolto da una misteriosa storia, nessun bambino che ha vissuto lì ha superato i 18 anni di età, sono tutti morti prima. In questo stesso periodo ho trovato una ditta americana che produce bunker antiatomici e sulle foto, dell’ultimo modello di bunker, ho visto una madre che gioca felice con il bambino. Mi sono chiesto come è possibile creare un clima familiare all’interno di un rifugio blindato. Nello stesso momento dietro casa mia, ho visto dei bambini giocare realizzando delle tane di cartone come fossero dei luoghi super segreti. Ovviamente il cartone con il vento o la pioggia viene spazzato via. Cosi da questi tre episodi messi insieme è nato Shelter, il bunker antiatomico di cartone. L’orfanotrofio non ha funzionato, i bambini sono tutti morti, è stata una struttura fragile, inconsistente. Allo stesso modo in un rifugio blindato non si può creare un clima familiare, è uno spazio troppo delimitato, privo di colori, l’immaginazione è circoscritta. Welcome, invece, è uno dei miei primi lavori, è un progetto realizzato all’Accademia di Belle arti di Brera dove mi sono formato. Insieme alla mia classe abbiamo costruito un cubo di legno con due accessi, l’entrata e l’uscita. All’ingresso abbiamo esposto la scritta “Welcome” mentre un tappeto rosso indica il percorso da intraprendere. Il percorso è di tipo circolare, entri ed esci immediatamente, come per dire: sei il benvenuto ma adesso vai via. Doveva rappresentare la nostra esperienza all’Accademia, siamo stati accolti ma poi mandati via.

L.G.: Un’altra cifra stilistica che possiamo riscontrare nel tuo lavoro è la rappresentazione della tua figura all’interno dell’opera, anche se, talvolta la tua auto-rappresentazione diventa l’opera stessa. Nel video Sad but true (2010) ti vediamo suonare con quattro strumenti contemporaneamente, una canzone dei Metallica. In Head of Victor (2011) hai esposto una scultura del tuo volto nella sala di Mestrovic. In Vedran Perkov (2010), invece, hai creato un bassorilievo del tuo profilo su una superficie circolare. Ma raggiungi l’apice della tua autoreferenzialità con His Majesty’s fooly (2010), una stanza adibita come la casa di un grande re, piena di sculture, stampe e riproduzioni del tuo volto. E’ un modo per idolatrare la figura dell’artista o della tua persona?

V.P.: Io sono un’artista ed una persona allo stesso tempo, non si può scindere. Io mi espongo in prima persona per denunciare chi fa l’idea. Ad esempio con Head of Victor io dovevo fare degli interventi, senza muovere niente ma solo aggiungendo, nella sala di Mestrovic. Cosi ho pensato di aggiungere il mio ritratto, la testa del vincitore, accanto alla testa del vincitore di Mestrovic che già era li. His Majesty’s fooly  è un progetto più complesso, faceva parte di un programma chiamato “Uno ad Uno” dove un artista da Spalato ed una dalla Croazia esponevano insieme alla Galleria delle Belle arti di Spalato. L’artista che avrebbe dovuto esporre con me non lo conoscevo, cosi ho pensato di rappresentare me stesso, io e me stesso, e fare uno ad uno con me stesso. In questa maniera ho realizzato la mia immagine in dieci modi e rappresentazioni diverse. Nella sala un lungo tappeto rosso ti conduce verso il trono, dietro il trono ci sono luci e palme,bandiere e sculture con il mio volto, insomma tutto quello che poteva manifestare una estrema ed eccessiva venerazione della mia figura quasi ad indicare: la pazzia di un re. Come per dire io sono l’artista, esalto me stesso in quanto artista, ma allo stesso modo questa esaltazione eccessiva è pura pazzia, sai quando senti dire: l’artista è pazzo. Un altra cosa, non meno importante che volevo mettere in evidenza, è che spesso quando si va ad una mostra, ad esempio di Picasso o di Matisse, tante volte non importa cosa fanno vedere perchè quello che conta è l’artista ma non quello che ha realizzato, la sua opera passa in secondo piano, vai a dare il tuo saluto al genio, al re dell’arte. Sad but true, l’altro lavoro, quello dei Metallica, è molto ironico. Io non so suonare e nemmeno cantare, l’opera si chiama: peccato ma è vero! Ho preso lezioni di batterista e di chitarra per due mesi, però ovviamente il risultato fa schifo, peccato ma è vero, faccio le cose che non so fare e allo stesso tempo ho ammazzato l’opera di altre persone. Spesso le persone criticano l’operato di altre senza essere veramente competenti sulle cose, nel calcio ad esempio tutti fanno una critica sulla partita, oppure in politica si sente dire spesso non sanno fare niente, il mio lavoro voleva esprimere questo concetto, non fai la cosa che sei adatto a fare ed in più vuoi un risultato. Ovviamente ho creato grandi aspettative, l’attrezzatura che ho utilizzato era quella più all’avanguardia, quella di ultima generazione, nuovissima, tutta laccata. Insomma ho creato l’immagine di un grande professionista senza esserlo, peccato ma vero!

L.G.: Parliamo dell’attuale situazione politica in Croazia in relazione al tuo lavoro svolto qui in Canada: Any Colour you like (2015).

V.P.: Con grande sorpresa ho trovato tante situazioni simili tra la Croazia ed il Canada. Non sapevo molto di questo paese, sicuramente immaginavo che fosse un paese bilingue, invece una volta arrivato qui mi sono reso conto che quasi nessuno parla inglese. Mi hanno detto che cinquanta anni fa i politici del Quebec hanno richiesto l’autonomia dal Canada, vietando l’insegnamento dell’inglese nelle scuole. Una decisione politica che ha sterminato letteralmente una lingua. Allo stesso modo una decisione politica ha separato la Croazia dalla Jugoslavia, ed il risultato di questa decisione ha portato ad una divisione di gente, di territori, e soprattutto la guerra. Qui, in Canada non c’è stata la guerra ma hanno allo stesso modo diviso due lingue, il francese e l’inglese, annientando quest’ ultima. Prima di venire pensavo di fare un lavoro sull’identità personale, poi documentandomi  sulla storia di questo paese ho iniziato a modellare il mio pensiero, facendo una serie di riflessioni. Quando si nasce assumi un’identità nazionale e non puoi cambiarla, ti identifichi in quella, però ci sono altri tipi di identità, quelle  personali, culturali e via dicendo che puoi scegliere. La Chambre Blanche, la residenza che mi sta ospitando, mi ha permesso di realizzare un’opera costituita da sette pulpiti di colore diverso, con sette registratori acustici, e sette bandiere. Ogni colore rappresenta un orientamento politico, ma allo stesso tempo è semplicemente un colore. Il fruitore è libero di scegliere il proprio pulpito in base ai propri gusti, alle proprie esigenze, a prescindere dall’orientamento politico, semplicemente perchè ci piace un colore. Ho trasformato la residenza in un luogo di parola, mi ricorda Hyde Park a Londra, dove qualsiasi persona espone il proprio pensiero senza essere molestato dalla polizia. Una lettura potrebbe essere quella di dar voce ai cittadini. La nostra situazione politica fa schifo adesso, il primo ministro è incapace, l’aspetto economico è disastroso, la gente ha perso gli ideali, c’è una grossa depressione, i ragazzi vanno via lasciano il paese, io sto aspettando la banca rotta totale come la Grecia, cosi scelgo il mio colore, il nero, e non so se ho voglia di parlare.

L.G.: Quale artista italiano contemporaneo ti piace?

V.P.: Maurizio Cattelan, adoro il suo approccio ironico ma allo stesso intelligente all’arte.

 

DIDASCALIE

Dall’alto:

Arc, 2000/2007, installazione, legno, spugna, blocchi di cemento, tessuto, 350 x 120 x 120 cm. “42 ° Salone di Zagabria Arti Visive”, Padiglione 19, Zagabria, Croazia.

The final frontier, 2005, installazione, nylon, 150 x 250 x 70 cm, “SOPRA LE NUVOLE”, JOSIP RAČIĆ GALLERY, Zagabria, Croazia.

Golf car, 2008, installazione, ferro, legno, 300 x 250 x 200 cm, “ISOLA MAP”, Klovicevi DVORI GALLERY, Zagabria, Croazia.

You got it! 2007, installazione, “You Got It! “, VN Gallery, Zagabria, Croazia.

Welcome, 1997, installazione, moquette, di legno, di proiezione, Naos, Accademia di Belle arti di Brera, Italia.

Welcome, installazione, moquette, di legno, di proiezione, ” Naos, Accademia di Belle arti di Brera”, Italia.

Shelter, 2006, installazione, cartone, 192 x 198 x 284 centimetri, “CONTEMPORARY ART IN SPLIT- NEW GENERATION”, GALLERY OF FINE ARTS, Split, Croazia.

Shelter, 2006, installazione, cartone, 192 x 198 x 284 centimetri, “CONTEMPORARY ART IN SPLIT- NEW GENERATION”, GALLERY OF FINE ARTS, Split, Croazia.

Everything in its right place, 2008, installazione, pannelli in gesso, il legno, il suono, la luce. “EVERYTHING IN ITS RIGHT PLACE”, MIROSLAV KRALJEVIĆ GALLERY, Zagabria, Croazia.

Sad but true, 2010, installazione video, video, 5′, 36”.

Head of Victor, 2011, scultura, gesso, 45 x 25 x 20 cm.

Vedran Perkov, 2010, bassorilievo, acciaio inox, corda, legno, polistirolo, gesso garza, Ø 140 centimetri.

His Majesty’s Fooly, 2010, installazione ambiente, tecnica combinata, dimensioni variabili.

His Majesty’s Fooly, 2010, installazione ambiente, tecnica combinata, dimensioni variabili.

Any Colour you like, 2015, installazione, legno, tessuto, microfono, “ANY COLOUR YOU LIKE”, LA CHAMBRE BLANCHE, Quebec City, Canada.

Any Colour you like, 2015, installazione, legno, tessuto, microfono, “ANY COLOUR YOU LIKE”, LA CHAMBRE BLANCHE, Quebec City, Canada.

Vedran Perkov, 2015, LA CHAMBRE BLANCHE, Quebec City, Canada.