(1) Intervista a Juana de Aizpuru, realizzata il 23\2\2004, Aquellos meravillosos Arcos , in Cuadernos de Desacuerdos.Sobre arte, politìcas y esferà pùblica en el Estrado Espanoln.1, Universidad Internacional de Andalucia- Arte y pensamento, Siviglia, 2004, pubblicazione digitale
(2) Ibidem 
(3) A quella data in Spagna le realtà museali erano soltanto due. 
(4) Parliamo di cifre veramente importanti, ad oggi le presenze delle Fiere storiche e con un maggiore peso europeo, Basilea e Colonia richiamano venti, trentamila persone, ad Arco le presenze si attestano sui centomila, l’edizione 2006 ha visto 190.000 presenze, Bologna si avvicina alle diecimila persone per dare il polso della situazione 
(5) La Fondacìon Arco nata nel 1987 ha creato una significativa collezione di artisti stranieri e nazionali, cento cinquanta opere, con lo spirito nomade di mostra itinerante, nata per dare alla Spagna una immagine reale e veritiera delle ricerche artistiche contemporanee nazionali e straniere, dal 1996 in regime di cessione temporanea la collezione è esposta presso il Centro Gallego de Arte Contemporànea, di Santiago di Compostela in attesa che venga realizzato il Museo di Madrid i cui lavori dovrebbero finire entro il 2009. 
(6) Cfr. nota 1 
(7) Legge 16/1985 25 giugno del Patrimonio Artistico Spagnolo Articolo 59. 
(8) Alerto Lopez Cuenca, El trje de emperador, la mercantilicaciòn del arte en la España de los años 80, inCuadernos de Desacuerdos.Sobre arte, politìcas y esferà pùblica en el Estrado Españoln.1 , Universidad Internacional de Andalucia- Arte y pensamento, Siviglia, 2004, pubblicazione digitale 
(9) Queer: inglese, letteralmente il significato è dispregiativo: checca, finocchio, ma è il termine adottato dagli omosessuali e dalle lesbiche spagnole, usabile per entrambi i generi, in opposizione a gay che risulta limitato solo agli “uomini, bianchi, nordamericani e trentenni” come scrive Juan Vicente Aliaga. 
(10) Helena Cabello-Ana Carceler, Mirando hacia dentro. La situaciòn de la obra de las mujeres en el panorama arìstico actual, inArte, individuo y societadn.10, Servicio de Publicaciones. Universidad Complutense. Madrid, 1998.                                                                   (11) Carmen Navarrete, Mària Ruido, Fefa Vila, Trastornos para devenir: entre arte y polìticas feministas y queer in Estrado Español, inCuadernos de Desacuerdos. Sobre arte, politìcas y esferà pùblica en el Estrado Españoln.2, Universidad Internacional de Andalucia- Arte y pensamento, Siviglia, 2005, pubblicazione digitale 
(12) Rosa Martinez, in Arte in Europa 1990-2000, a cura di Gianfranco Maraniello, Milano, 2002, pag 16\20\21.
(13) Cfr. nota 12. 
(14) Intervista a Catherine David, di Jesus Carillo, in Cuadernos de Desacuerdos.Sobre arte, politìcas y esferà pùblica en el Estado Españoln.1, Universidad Internacional de Andalucia- Arte y pensamento, Siviglia, 2004, pubblicazione digitale

Il panorama artistico spagnolo degli ultimi anni ha assunto caratteristiche assolutamente peculiari, dopo l’esperienza neoespressionista degli anni Ottanta che ha attraversato l’Europa, insieme alla grande fiducia del mercato e insieme alle prime significative aperture all’internazionalità, i Novanta hanno visto mutamenti di rotta sociali, economici, intellettuali che hanno portato grande diversità.

L’apertura di ARCO la fiera madrilena di arte contemporanea di Madrid nel 1982 segna una cesura tra il prima e il dopo che è oggettiva: l’idea in parte realizzata è quella di introdurre la Spagna nelle nuove correnti artistiche internazionali e che esse si conoscano in Spagna (1).
Come racconta la stessa storica direttrice fino al 1986 della manifestazione: la gallerista Juana de Aizpuru, ARCO nasce con l’intento di traghettare la Spagna in un ambito internazionale e non più localistico, attraverso anche i contatti e le possibilità di una fiera internazionale: l’incontro di Barcelò con Rudy Fush, direttore dell’edizione di Documenta del 1982, avviene ad esempio grazie ad ARCO e la conseguenza sarà l’invito per il pittore spagnolo a esporre durante l’evento (2). La fiera madrilena rappresenta per la Spagna un momento essenziale, una apertura repentina sul mondo dell’arte internazionale, dall’altro il paradosso che la segue dalla sua nascita ed anche nel suo sviluppo, il paradosso di un evento commerciale letto e percepito come culturale. In parte la grande esposizione mediatica, in parte la mancanza di spazi per avvicinarsi all’arte contemporanea (3), richiamarono folle oceaniche, un pubblico eterogeneo di addetti ai lavori nazionali, internazionali, famiglie, mamme con carrozzine al seguito, scolaresche, gruppi di ragazzi (4). Il paradosso di evento di mercato, percepito come culturale viene poi coltivato, ecco allora nascere in seno ad ARCO, la Fondazione che raccoglie acquista in ogni edizione opere (5), l’associazione Amici di Arco che organizza convegni di studiosi, e i progetti Arcodata che realizzano database di artisti in tutto il mondo, in particolare in Sud America, inoltre a rendere più confuse le finalità vengono inseriti gli stand espositivi delle istituzioni museali spagnole, sempre nell’ambito della Fiera. Come ribadisce la Aizpuru, effettivamente questa repentina proiezione dell’arte e degli artisti spagnoli in un contesto internazionale, se risulta traumatico per gli artisti più maturi, diventa un dato di fatto per gli artisti più giovani, quelli che intorno ai novanta acquistano visibilità (6) . Nel giro di un decennio gli artisti spagnoli si aprono alle ricerche straniere, diventano cittadini del mondo, basta pensare a Sierra che va in Messico e alla Alaez che vive tra Londra e la Spagna. Considerati i forti retaggi regionali e le autonomie che caratterizzano la cultura spagnola è molto interessante. Il collezionismo cresce non tanto in ambito privato quanto piuttosto nell’ambito istituzionale, grazie anche alla legge del 1985 (7) volta a fare crescere e aumentare l’impegno degli artisti alla creazione e alla cultura. Il collezionismo privato è ancora una realtà che langue, ma gli addetti ai lavori pensano che crescerà con l’aumento della offerta culturale e con il conseguente cambiamento di sensibilità del pubblico verso l’arte contemporanea.
La grande politica di apertura di spazi istituzionali che inizia nel 1988 con il Centre d’Art contemporaneo Reina Sofia a Madrid ed il MACBA a Barcellona è solo l’inizio di una politica fortemente incentrata sul contemporaneo, non solo per le arti visive con l’apertura dei musei, ma anche con le ristrutturazioni urbane. Un caso per tutti: Barcellona per le Olimpiadi del 1992 riesce a bonificare zone da anni abbandonate e non più vivibili, e a rinascere diventando la seconda grande città spagnola, proprio dando all’architettura un luogo privilegiato.
Sicuramente per le arti visive questa politica di acquisizioni importanti di artisti contemporanei ha conseguenze significative, dal 1988 ad oggi sono più di venti le istituzioni che vengono aperte, un museo di contemporanea per ognuna delle cinque regioni autonome, le città più importanti ne hanno ovviamente più di uno. Il numero è effettivamente incredibile, in ciascuno di questi spazi ci sono le collezioni degli anni ottanta e si vanno acquisendo quelle degli anni novanta. Inoltre anche i privati iniziano ad investire nel contemporaneo aprendo nuove gallerie d’arte, nella sola Madrid tra la fine dei settanta e i primi novanta ne vengono aperte 53 (8). Effettivamente prima e dopo ARCO è tutto diverso, non perché realmente la fiera abbia cambiato poi tutto il sistema dell’arte spagnola, ma perché è stata la prima e forse più importante tessera nel mosaico del cambiamento. In questo contesto di grande fermento iniziano a muoversi quelli che sono poi i temi di ricerca comuni a molti degli artisti europei, l’altro, la finzione, la multiculturalità. Il tema della diversità attraversa totalmente il sistema dell’arte spagnolo, una generazione di intellettuali, di artiste, di storiche dell’arte nate tra la fine dei sessanta ed i primi settanta rivendica il proprio ruolo nelle università nei musei, nella ricerca come scrive Isabel Tejeda, la cultura e le rivendicazioni “queer” (9) si propagano a macchia d’olio e fanno quasi fronte comune davanti alla precedente immagine dell’arte e del suo circuito prevalentemente al maschile. L’apertura della Spagna alle rivendicazioni femminili e omosessuali è estremamente lenta, basti pensare che i testi che si andavano pubblicando in tutto il mondo arrivano ad essere tradotti soltanto alla fine degli anni ottanta mentre erano disponibili soltanto nelle copie in francese che dovevano essere comprate in Francia (10). I temi legati alle lotte femministe ed alla nuova percezione del corpo che parallelamente le segue si può vedere negli eventi che dai novanta iniziano ad attraversare le mostre spagnole: “100%” a cura di Mar de Villaspaesa è il primo evento che sembra rompere la diga, un titolo in risposta all’imposizione da parte del governo spagnolo di un 25% di presenze femminili. È ancora un evento localistico, come spesso accade, rispetto alle ricerche all’interno della regione che accoglie il museo, dieci le artiste invitate, ma la cosa essenziale è che da questo evento ne scaturiranno tanti altri legati ai mondi altri: il mondo femminile, il mondo “queer” come gli spagnoli usano definire l’omosessualità, le nuove concezioni di corpo e sesso, di maternità ed età, di malattia e intellettualità che l’essere donna, femminista costruttivista, gay, o semplicemente progressista comporta. Si intrecciano riflessioni varie sulla donna, una serie di mostre al femminile, che vogliono aprire alla lettura del mondo e della realtà attraverso i sensi, l’intelletto e la percezione femminile appunto (11). Si tratta da una parte, di una realtà che può apparire di confine, di una minoranza che vuole esprimersi, ma forse può anche leggersi come una rottura rapida, una frattura che avviene in ritardo ed in modo quasi eccessivamente rapido. È ovvio che i cambiamenti sociali non avvengono in tempi così rapidi ma di fatto oggi in Spagna metà del Governo è composto da donne e le unioni omosessuali sono una realtà.
Nei primi anni novanta appaiono artisti che fanno da cesura con le ricerche del decennio precedente: come Cristina Iglesias che, con le sue sculture, legate ad un costruttivismo, spaziale e minimalista, compie il passo rispetto al passato ed è considerata dallo storico Joan Luis Brea, insieme a Pepe Espaliu l’artista che a quella data, siamo nei primi due anni del novanta, compie il cambiamento.
Pepe Espaliu, in bilico tra psicoanalisi, ricerche semiotiche e plastiche ricerca una sua grammatica espressiva che avrà nei primi anni novanta un significativo cambio di rotta: la forma conclamata dell’aids, e gli ultimi tre anni vissuti nella malattia senza mai smettere di lavorare. Espaliu è un po’ la bandiera di ciò che l’arte, la società, la cultura ed il mondo stavano vivendo, l’epidemia, il sospetto, la paura, concetti che adesso ci sono noti e che allora non lo erano, la fine di quella libertà sessuale che a stento il ’68 aveva portato, il sospetto del contagio. L’artista scrive, lavora fino alla fine, “A los ultimo dias”, ma nelle sue ultime ricerche, performances, emergono nuovi concetti: le strutture “Carryng” quasi portantine, quasi barelle, insieme alle performances “Carryng” del ’92 a San Sebastian e Madrid, in cui una catena umana trasporta il suo corpo sofferente a braccia, rendono evidente il richiamo alla solidarietà, all’aiuto. Altri artisti iniziano a muoversi ed apparire sulla scena artistica, Rogelio Lopez Cuenca (Malaga 1959) inizia vicino ad Espaliu ed alla Rivista “Figura”, e incentra le sue ricerche sulla semantica e la critica dei messaggi della comunicazione di massa. Proprio dalla analisi filologica dei mezzi espressivi dei media nasce e si muove la sua ricerca, che utilizza i metodi della propaganda e della pubblicità, delle copertine delle riviste di moda e della segnaletica stradale, il suo lavoro insiste sul linguaggio, sui conflitti sociali, razziali, economici, culturali, politici (12). Eulalia Valldosera (Barcellona 1963), legata al movimento femminista ed in genere alle tematiche del mondo femminile, delle dipendenze affettive, crea una grammatica di performances, fotografie, diapositive, video e proiezioni in una scansione di luce e buio, di presenza e assenza che le permette di indagare gli spazi individuali e sociali. In una pratica che non nasconde ma al contrario mostra metodo e artifici accogliendo nei suoi frammenti proiettati, decontestualizzati di vita e negli oggetti quotidiani lo spettatore.
Ana Laura Alaez (Bilbao 1964), spezza i fili che conducono ai novanta attraverso il costruttivismo ed il minimalismo, per arrivare al suo mondo di assoluta libertà fatto di glamour, musica, make-up e accessori che conducono l’artista, attraverso l’interazione di se stessa e del suo corpo ad una immagine ad un rinnovamento estetico, all’edonismo e ad una comunicazione altra e lontana dal contesto sociale\politico e violento\reale (13). E poi Santiago Sierra in cui ricerca, impegno e provocazione convivono, legato al Messico, dove da anni risiede e lavora nell’isolamento, nelle sue azioni remunerate dal 1996, l’artista mette in scena una radicale critica al sistema capitalistico con le sue conseguenze di sottomissione sociale; dal tatuaggio di una linea retta sulla schiena di un uomo nel ’99, all’aver tinto di biondo i capelli di 200 immigrati durante la Biennale del 2001. In una ottica di pessimismo Sierra denuncia l’assoggettamento, senza salvezza dell’uomo alle necessità economiche. Il contesto artistico spagnolo in due decenni ha dunque cambiato completamente pelle e rotta. Complice una importante politica culturale incentrata sul contemporaneo e una innovativa apertura al contesto internazionale ha traghettato con significativa velocità la Spagna nel mondo attuale e globale e ha reso spesso protagonisti i suoi artisti, critici e storici dell’arte. Sicuramente i collezionisti privati, come lamentano artisti e gallerie, non sono abbastanza. Forse, come si legge spesso, i critici e gli storici dell’arte non sono riusciti a stare dietro al cambiamento e risultano più degli “intellettuali appassionati” (14) che dei professionisti, ma nell’insieme una sensibilità dello stato così importante può fare crescere enormemente un settore e non rinchiuderlo, quasi fosse di nicchia o per iniziati, sviluppando oltretutto un importante mercato intorno all’arte e alla cultura. 


Dall’alto:
Pepe Espaliu, Accion Carriyng, Madrid 1992, immagine da video.

Rogelio Lopez Cuenca, Elle

Ana Laura Alaez, Ritratto in rosa, 1995