Sistema candiano 1.1 ordina campioni selezionati nel tempo:materiali ‘vecchi’ e nuovi – lavori, disegni e altro – si sviluppano, in un’inedita versione di libro, per 101 fogli-unità ‘Gioca’ simultaneamente con la memoria e il progetto con l’assenza e la presenza, con l’essenza e la ridondanza; sostiene contemporaneamente tutte le carte per offrirsi catalogo di modalità ‘espressive’ e di pensiero, di cui molte rimarranno di stato attuale, come maturate dalla logica della fotosofia. Per questi motivi non è, e non deve, ma perché non può essere, organizzato in senso temporale; non ha inizio, né fine, né centro, ma tutto è inizio fine centro. Con la logica dell”ipertesto visivo’ va verso la sintesi; anzi mantiene tesi, antitesi e sintesi sullo stesso livello. Il sistema è contemporaneamente chiuso e aperto: si autoalimenta , e si nutre dall’esterno, sporadicamente, di luce e quindi di immaterialità. Trova, dandole spazio e voce, la ‘variabile’ che inevitabilmente si presenta, e piuttosto che lasciarla occulta e sterile,la rivitalizza risvegliando così il fianco addormentato del sistema. Una ‘spina nel fianco’, dai molteplici significati, che non inceppa il sistema, ma permette il funzionamento a un nuovo regime e con una nuova luce. E’ una’variabile’ che ricorda quella drammatica incognita “x” [di Nietszche] a cui l’uomo starebbe scivolando… Tra il bianco e il nero emerge così il’rosa-seppia-tortora’, segno esperenziale di una storia (un vissuto dell’uomo a contatto con la ‘macchina’), così come nel ‘digitale’ emergerebbe la x minando dall’interno la rigida dicotomia 0/1 (come bianconero) e tirando fuori quelle ‘variabili’ altre dal sapore ‘pre-parmenideo’. L’essenza adesso deve essere ‘ri-strutturata’ alla luce di queste realtà; e sebbene oggi il sapere abbia una struttura chiara e soprattutto mirata alla precisione, l’uomo è ancora incerto davanti ad esso, insomma il dubbio lo assilla a tal punto da ancorarlo, in una posa scultorea, al suo stesso centro, passante nodale di tutte le direzioni; forse questa x è diventata troppo grande e complessa, ed egli stesso, solo, il nodo-snodo di essa.

Angelo Candiano, Introduzione a Sistema candiano 1.1, 1994-2000.

Simonetta Lux: A vedere la tua mostra mi fa pensare ad un ritorno del soggetto…                                                                                                                         Angelo Candiano: In qualche modo si, ma sotto una nuova veste. Ho iniziato con la fotografia “tradizionale”, mi sono raccordato con l’arte, e sono approdato alla filosofia…

S.L.: In questo tuo sistema della fotosofia, a cui lavori dal 1984, il perno iniziale mi pare essere nella parola Situazione, nell’idea di Situazione, da cui si diramano fotografia punto di partenza, fotografia punto di arrivo, con Netica, una risultante del sistema. Ma l’origine e l’arrivo mi sembrano due mete retroverse per giungere alle quali, nella visualizzazione del tuo sistema, occorre praticare un complesso labirinto apparentemente instricabile e complesso.
Una temporalità, il tempo che occorre.                                                                          A.C.: Per me il tempo luce è il fattore matrice sia del mio sistema che delle mie opere. Prendiamo per esempio le Situazioni, le sculture in carta fotografica che realizzo rinnovandole dal 1984-85, di cui giustamente riconosci il punto di partenza.

S.L.: Situazione le chiami. Sono delle sculture dai volumi irregolari che mi fanno pensare all’architettura di Rudolf Steiner. Anche se qui si dà un’irreparabile frattura tra la base due elementi opposti, uno artificiale, la pietra sagomata irregolarmente, e un altro elemento “sensibilizzato” al naturale che è la carta fotografica. La base è in effetti un parallelepipedo pentagonale arbitrario in pietra artificiale su cui è appoggiato un foglio di carta fotografica sensibile – sopra la quale poggiano dei volumi regolari…                                                                             A.C.: Anche in una così solida apparentemente stabile opera scultorea, dove dalla scultura emerge un “sotto”, una radice, in effetti è sempre in corso un evento e di conseguenza una genealogia di eventi. Intanto nello stare in un ambiente, assorbono e vivono di luce e tempo, e un leggero spostamento del volume determina delle orme bianche laddove appunto la luce non era passata inizialmente. Insomma il tempo è qui continuamente in opera come d’altronde in quelle mie Carbon paper e Fotonere che io ho collocato proprio nel mio sistema nella più diretta interazione tra Situazione e Fotografia .

S.L.: Non c’è mai lo “scatto”?                                                                                            A.C.: No, solo progetto e calcolo nelle prime fasi. Successivamente la Situazione fotografata genererà il Carbon paper: io colloco un oggetto sopra un foglio di carta fotografica. Un leggero spostamento di quell’oggetto, un lampo improvviso di luce, determina un segno bianco che è il luogo della “impressione” luminosa… e di conseguenza per estremo arriva la lucida follia della Fotonera.

S.L.: Siamo ancora però in una sorta di mutazione “necessaria” (etant données la luce, la carta, il tuo oggetto, il gesto…) e in qualche modo statica.                        A.C.: Primo stadio di quella lunga fase di lavorazione che porterà a quel processo più articolato che io chiamo della “Semiosi” e della “Semiosi complessa ” che passerà per la Mutante .

S.L.: Eccoci alla serie Mutante.                                                                                         A.C.: Sì. La Situazione ha determinato sin dall’inizio un “piccolo evento storico” tangibile e reale…

S.L.: Le sculture però sono sempre uguali – pur mutanti a modo loro – alla Situazione                                                                                                                            A.C.: In effetti qui io ho operato come una “tridimensionalizzazione della storia”. È un mio modo di vivere la crisi della storia fissa, individuabile, cristallizzata in una qualsiasi epoca vicina o lontana. Arrivo alla Semiosi debbo dire attraverso l’esperienza delle Carbon paper.

S.L.: Queste foto nere con segni, che tu non hai fatto e che la luce ha “istituito”. A.C.: Si, ho posto le Situazioni in un ambiente buio. Ho “pennellato” con una torcia luminosa quei segni bianchi che vedi (li vediamo grazie alla luce che ha lavorato, lì dove poggia il cubo sul piano).
Passo alle Semiosi. Vedi? Gli “Stendardi”…

S.L.: Perché chiami una serie Polittico di una semiosi bastarda? Vedo che si tratta di quattro carte fotografiche sospese a barre di alluminio della dimensione ciascuna di 170×100 centimetri.                                                                                    A.C.: Intanto si arriva alla Semiosi attraverso il ri-disegno mentale e reale (cioè a memoria, come segni dimenticati) di tutto quel patrimonio segnico che vediamo emergere dalle Carbon Paper, e nel caso specifico del polittico che mi hai indicato è una serie che funziona di raccordo con la Semiosi Bastarda, altro elemento del sistema. Comunque l’aggettivo “bastarda” sta a indicare una prolificazione all’interno della sua stessa famiglia… e può avere valore positivo e negativo… dipende… è una nuova accezione del termine.

S.L.: Qui – parlavamo prima di quell’arbitrarietà dell’invenzione artistica – mi pare che tu viva questa temporalità flash dell’esperienza, e soprattutto mi pare che già ora in questa serie di cui parliamo ricorri a una pluralità di modi e mezzi (volume, scultura, superficie, e poi vedremo dopo disegno, aggregazioni) che si srotolano in modo appunto arbitrario secondo un tempo il cui codice è in decidibile, come se tu – come molti di noi in questa vita contemporanea – fossi trasportato dalla occasionalità degli eventi e dei sentimenti che ci prendono e ci abbandonano, noi disarmati di sistemi.                                                                                                            A.C.: In verità porto sempre a presenza le mie memorie, le porto a consapevolezza, a coscienza e poi questo materiale lo organizzo affinchè abbia un senso, un significato…e purtroppo da questa organizzazione irreversibile che si arriva a un “sistema complesso”… Il mio processo insomma è arbitrario e fortemente logico allo stesso tempo. Più volte sono stato chiamato a condurre dei seminari, a parlare su questi segni che nascono, sono nascosti e riappaiono…

S.L.: Allora il “ridisegnare” ad esempio è questo atto di portare alla coscienza e in quel caso mi pare che il risultato è quello che tu chiami Semiosi.                         A.C.: Sì. Dall’area che chiamo nel mio sistema Semiosi, arriviamo a ciò che chiamo il Mutante, che è un’area parallela e diversa (nata tra l’altro molto prima) da questa stessa Semiosi. Io fotografo dei volumi e li apro… finalmente alla luce.

S.L.: Come apri l’immagine? Ecco, questa Mutante che tu chiami anche “Madre”…                                                                                                                                       A.C.: La apro realmente, taglio l’angolo superiore del cubo fotografato e colloco sotto al piano della fotografia – sopra il supporto – una carta fotografica vergine sensibile. Diversamente dalle Carbon paper (ma con delle forti analogie ) da quel lembo sollevato entrerà la luce che determinerà il segno.

S.L.: “Pensa” – mi dice sommessamente – “ritiro le Mutanti dai collezionisti anche di dieci anni fa! La porto in studio trasformato in camera oscura, la smonto, tolgo il foglio di carta fotografica soprastante e tiro fuori questa “meraviglia” delle “meraviglie”, che sono le immagini prodottesi automaticamente dalle Mutanti che io chiamo “Autofoto” o anche “Celle”. Tutta fenomenologia del sistema .

S.L.: Che fai? Te le fai ripagare?                                                                                     A.C.: Sì, se vogliono anche la “figlia” , e ricarico la Mutante , nel senso che metto una nuova “Cella vergine”.

S.L.: E… tu trattieni la Cella vissuta, insomma la “Figlia”? La “Figlia nata senza madre”?                                                                                                                                                A.C.: Io tengo certe Mutanti solo per farle prolificare. Io questa “Matrona” speciale la ricarico o la “insemino” di luce continuamente nel mio studio… ovviamente trasformato in studio “ginecologico” o meglio di “ostetricia”: sai si lavora al buio, con assistente, camice bianco, guanti in lattice, e molta attenzione al tatto… apro e vedo se è matura la “figlia”…

S.L.: Verso dove mi porti?                                                                                                       A.C.: Io farei Luce. “Lichtung”.

S.L.: Che cos’è questo disegno sulla parete di una geometria moltiplicata, di nuovo mi pare steineriana.                                                                                                A.C.: L’àpeiron della semiosi della serie Lichtung. Qui ad esempio un segno, una sorta di triangolo, prelevato dalle Semiosi (Stendardi), lo frattalizzo quasi fino alla fine delle sue possibilità cicliche … Una interpretazione del la Lichtung heideggeriana … pensiamo a Sentieri interrotti , Essere e tempo … Per esempio in questo dittico, io frattalizzo disegnando con grafite, manualmente, ma accanto realizzo la frattalizzazione sempre dello stesso segno prelevato dalla Semiosi con un software matematico da me stesso messo a punto.

S.L.: Qui si potrebbero fare tanti pensieri, tante associazioni. Pensa ad esempio alle opere di Mario Merz, che certo sono al fondo un progetto diverso, qui in te c’è un tentativo di unità dell’estremo artificiale e dell’estremo naturale. Insomma accompagni la matematica con i tuoi ripescaggi dentro la tua interiorità e la tua memoria.                                                                                                                                      A.C.: Si, e una volta composto il “disegno”, uno viene “impresso” sulla carta fotografica con la proiezione di una diapositiva, cioè con una “proiezione forzata”, fino a renderlo “presente”, cioè tra noi: è la Lichtung attuata e attivata .

S.L.: Cos’è per te la tecnica?                                                                                             A.C.: È in qualche modo quell’illuminamento dei nostri processi vitali… essenziali dell’uomo in quanto uomo. Poi quando la tecnica è organizzata, particolarmente evoluta, diventa tecnologia. Dobbiamo rendere la tecnica vicina a noi, sempre più “illuminata”.

S.L. Una nuova filosofia dell’ Haufclärung ?                                                                  A.C. In qualche modo si, ma con una nuova identità esistenziale, dato che il processo di illuminamento è sempre in atto, e la tecnologia è dentro di noi e noi siamo anche ormai “dentro” i processi tecnologici. È un processo-scambio bifronte visto che ci fa di nuovo trovare sempre quella vecchia cosa che è l'”essere”…

S.L.: Ma, se non lo presentifichiamo questo processo… Ma se “tutto il mondo, tutti gli uomini” sono illuminati lo stesso anche se non fissano segni?                      A.C.: Sì, perché la tecnica è insita nel processo vitale umano.

S.L.: Anche nei popoli così detti primitivi, compresenti nella nostra epoca in vari luoghi in questo stesso momento?                                                                                  A.C.: Sì, perché (la tecnica) è da sempre insita nei processi vitali umani. Da un punto di vista concettuale non c’è differenza tra un popolo “primitivo” e noi uomini “postindustrializzati”. Loro usano la loro tecnica, noi oggi le tecnologie, sono stadi diversi di uno stesso processo dalla stessa origine, dove forse l’unica differenza è l’unità o il concetto di tempo che sottosta a questi processi .

S.L.: Tuttavia si può essere tentati di considerare, vedere negativamente alcuni loro costumi, soprattutto nella relazione uomo/uomo e uomo/donna…               A.C.: Hanno un altro livello-stadio di organizzazione della tecnica, ma concettualmente non c’è differenza, per le ragioni che dicevamo.

S.L.: In effetti anche nell’arbitrarietà semeiotica siamo più vicini di quanto non sembri. Ma insomma la tecnica come la usi tu?                                                           A.C.: Con una finalità in primis autoconoscitiva. In secondo luogo con l’idea di dare una nuova dimensione alla fotografia: la terza dimensione, il tempo. In terzo luogo di “parlare”, di dare orientamenti…

S.L.: Mentre la donna compie un atto di seduzione con i suoi anelli al naso…     A.C.: Che però si raccorda ad un sistema suo, che è quello condiviso nella sua comunità…

S.L.: Tu invece lo fai verso te stesso (raccordandoti al processo allargato che ti sei attivato), rientrando nel sistema condiviso di valori, o di procedure e metodi, che consentono alla conoscenza di farsi e di orientarsi . Un’ultima domanda. I tuoi libri, il Libro Nero , dove sistematizzi il tuo lavoro attimo per attimo, opera per opera, traccia per traccia, e Il Sistema Candiano 1.1?                                                A.C.: Il Libro nero è un elenco-diario di tutto quanto realizzato dall’inizio della mia attività, tutte le parole del e intorno al mio lavoro. Concettualità pura.

S.L.: L’unico elemento fisso in un’opera e in un concetto che si dà in quanto opera la mutazione come Lichtung .                                                                            A.C.: Nel mio Sistema candiano 1.1, tirato in due esemplari di cui uno solo andrà in circolo, è un sistema che ordina campioni selezionati nel tempo, materiali vecchi e nuovi. “Gioco” simultaneamente con la memoria e il progetto, con l’assenza e la presenza…

S.L.: Sembra una piccola lezione socratica, posso leggere direttamente dalla tua Selbstverstandung che introduce il Sistema Candiano 1.1?                                       A.C.: Certo, e grazie.

Dall’alto:

Mappa del sistema della fotosofia semplificata secondo la genealogia degli elementi.

Netica, 1994-2000, marmo ottone, ferro, legno, mod.01 di 05 es. diversi.

Complessità, installazione al MLAC, 2005, piano terra.

Situazione, da sx a dx dalla 5a alla 3a generazione, 2002-1996, pietra artificiale, carta fotografica