NOTE:

(1) Questa organizzazione include un team di circa cento collaboratori tra storici, architetti, designers, restauratori, artigiani, project leaders e staff di supporto.

(2) Secondo Axel Vervoordt, a queste associazioni può essere ricondotta la ricerca artistica di colui che reputa uno dei più grandi artisti del XX secolo: Lucio Fontana. Traducendo l’atto di bucare la tela in azione che lega esperienza artistica e terza dimensione.

Visitata la 54ª Biennale di Venezia,  facilmente si approda al Palazzo Fortuny, dove si inaugura una mostra promossa dalla Vervoordt Foundation e la Fondazione Musei Civici di Venezia, in collaborazione col direttore di Palazzo Fortuny Daniela Ferretti. Tra i curatori troviamo: Axel Vervoodt, Rosa Martínez e Francesco Poli.

Coronandone la trilogia, il concetto di base della mostra si riallaccia alle precedenti, tenutesi in questa sede: Artempo (2007), Academia (2008) ed In-finitum (2009).

Sfogliando le pagine dell’elegante catalogo, scorriamo insieme gli interventi più interessanti.

L’origine del titolo della mostra: TRA. Edge of Becoming  è illustrato da Axel Vervoordt, collezionista, belga, fondatore della Vervoordt Foundation (1).

La parola TRA, rovesciamento del termine ART, può essere letta anche come abbreviazione di Travel, Transport, Traverse, Trasformation, Training, etc.

L’elenco dei significati connessi al titolo continua. Si approda ad uno studio sui vari usi del termine fatti nel mondo.

Le riflessioni ripercorrono l’alfabeto Sanscrito, in cui TRA è la preposizione che aiuta a raggiungere la conoscenza e la liberazione, analizzano il nome Mantra, composto da due parti, Man: pensare e Tra ovvero lo strumento, per giungere al Tantra: sistema che collega il sesso e l’energia cosmica.

Il sottotitolo Edge of Becoming, tradotto in italiano “Soglie del divenire”, indica la potenzialità della trasformazione in ogni singolo momento (2).

Tra le opere alcune sono site-specific: Sulla Soglia di Giulio Paolini, Architecture sonore di Mireille Capelle, Lightning Fields 19.221,2009 di Hiroshi Sugimoto. Le altre esposte sono gentilmente prestate da un artista/collezionista: Antoni Tàpies, del quale Vervoordt elogia l’eclettica collezione personale.

Il primo dialogo, spiega il collezionista, si è stabilito direttamente tra le opere e il loro contenitore: Palazzo Fortuny, residenza di una storica famiglia, composta da artisti e collezionisti.

Il secondo dialogo creativo è acceso dall’accostamento di un’opera d’arte contemporanea ad una risalente al Sesto e Ottavo secolo, come ad esempio quello tra l’opera di Giovanni Anselmo  ed una statua antica buddista.

Concludendo Vervoordt afferma: la visita della mostra si trasformerà, agli occhi del pubblico, in un vero e proprio pellegrinaggio. Dalla ricchezza semantica del termine TRA nascerà la via che porta «l’uomo ordinario in un posto straordinario».

Passiamo all’intervento dei curatori.

Rosa Martínez, unendo le citazioni di Rilke e Miyazama Kenji, torna a sostenere la centralità del fruitore, inteso come potenziale creatore.

Centrale è, secondo l’autrice, l’obiettivo teso ad incoraggiare il visitatore a guardare il mondo attraverso l’arte.

Il viaggio di Ulisse e quello di Dante, la regia di Alain Resrais e quella di Tarantino, sono opere specchio del mondo in cui viviamo, spiega Martínez: «Svelano nuovi territori, non calpestati».

L’affermazione di Beuys: «Every man is an artist», sostiene la critica, può essere accostata al concetto buddista: ognuno di noi potenzialmente è Budda o Dio.

Da questo presupposto nasce il nuovo concetto di arte approdato nel cinema, nel teatro, nella performance, nella fotografia e in tutte le forme di arte relazionale del XX secolo.

Solo dopo aver accantonato i preconcetti e le convenzioni, le “magnetiche anomalie”, insite nelle opere esposte, divengono captabili dal pubblico.

Fortuny diventa il laboratorio dove le arti vengono interconnesse e la visita alla mostra si trasforma in un rito di passaggio a cui lo spettatore viene sottoposto.

Anche il discorso di Francesco Poli prende piede da una riflessione sul termine TRA. Nel suo saggio critico, ospitato nel catalogo della mostra, il termine è inserito nella complessa problematica legata ai significati simbolici e culturali del concetto di “soglia”: punto d’incontro tra interno ed esterno, che marca la fase di transizione e trasformazione da una condizione ad un’altra.

Ripercorrendo le relazioni tra i possibili temi convergenti, legati a tale idea, lo studioso indica come fondamentali: il rapporto tra opera, fruitore e contesto spaziale; le architetture metaforiche (finestre, porte, corridoi, ponti, archi, etc.); i simboli personificati come Giano (dio delle porte che indica l’evoluzione tra passato e presente, tra entrata e uscita); le connessioni tra culture differenti, (come Est e Ovest), e il limite tra conscio ed inconscio.

Alla finestra albertiana Poli rapporta tre opere: The Human Condition (1933) di Magritte, alla quale si accompagna la questione cruciale sulla relazione tra realtà e la sua rappresentazione; Large Glass di Duchamp, letteralmente una finestra, una soglia tra visibile e invisibile; i grandi quadri astratti di Rothko, visti come finestre.

Gli esempi citati introducono il lettore all’interno del dibattito relativo la questione dello sconfinamento tra arte e realtà, iniziato con gli artisti dell’Avanguardia.

La citazione di José Ortega y Gasset: «L’immagine senza cornice ha l’aria di un uomo nudo, spogliato» e la critica fatta da George Simmel, in un testo del 1907, agli artisti che rifiutano o giocano col ruolo della cornice (come Seurat, Kandinsky, Balla, Mondrian, fino ad arrivare ai Dadaisti e Surrealisti), pongono le basi, testimoniali, su cui si andrà sviluppando la scottante questione relativa l’uso della cornice nell’arte contemporanea.

Poli fornisce altri esempi in cui la volontà di sconfinamento tra arte e realtà sovverte il principio illusorio del quadro/finestra.

Dall’opera di Fontana: Quanta (1960), serie di tele di diversa forma, concepite non per ospitare la pittura, ma come oggetti plastici, si viene “linkati” direttamente a Frank Stella, artista che fa coincidere la forma della tela con la configurazione geometrica dipinta sulla superficie. Un importante precedente, sostiene Poli, sono gli Stripes di Barnett Newman (1950).

L’integrità estetica del quadro, professata da Simmel, osserva, è soppiantata dall’Environment-art, pratica dilagata negli ultimi decenni.

In questo caso, il confine tra arte e vita diventa sempre più labile, la scultura e la pittura escono dalla cornice e scendono dal piedistallo, entrando in diretto contatto con lo spettatore. Il pubblico che fruisce l’installazione si trova spiazzato, poiché non si trova più in contemplazione di fronte ad un quadro, ma  catapultato dentro l’opera d’arte.

Le radici di questo fenomeno vengono ricondotte, dallo studioso, ai Merzbau di Kurt Schwitters, uno dei maggiori referenti del Nouveau Réalisme e del New Dada americano (si fa riferimento ai Combine Paintings di Rauschenberg).

Altri esempi si riferiscono alle ricerche portate avanti da Allan Kaprow (1960), dalla Minimal Art, dall’Arte Processuale, dalla Land Art, dall’Arte Povera e dalla Concettuale, fino ad arrivare alle recenti installazioni dove è complesso l’uso dei media.

Tra le proto-installazioni, oltre i Counter-Reliefs (1915) di Tatlin ed ai “Ready – Made” di Duchamp, come Tre Buchet (1915), si menziona l’ambiente Proun di El Lissitzky (1923).

Esempi successivi, ma fondamentali di Environment, conclude Poli, sono l’Ambiente Spaziale di Fontana (1949) e Jump in the void di Klein (1958).

Passando all’analisi della “soglia” come porta, il curatore ricorda la potenza straordinaria di tale struttura architettonica, messa in luce già dalle riflessioni di Victor Stoichita.

La sua natura polisemantica è sintomo dei numerosi usi rituali, ai quali assolve in tutte le culture del mondo. La porta come passaggio tra fuori e dentro, come comunicazione tra due ambienti, viene celebrata da diversi artisti: Giacomo Balla, De Chirico, Ernst, Dalì, Magritte, Delvaux. Nella scultura moderna troviamo la Porta dell’Inferno di Rodin, la Porta dell’amore di Brancusi o l’emblematica porta di Duchamp: 11 Rue Larrey. L’ultima opera citata, il cui tema principale è la porta, è la stessa che Kounellis inizia ad ostruire con dei massi a partire dal 1969.

Per concludere, Poli individua altre interpretazioni estetiche della porta, negli ambienti di Maria Nodman, Robert Irwin, James Turrell e Anish Kapoor.

Quest’ultimo saggio critico rimane uno dei più illuminanti perché offre un excursus storico fatto di esempi calzanti, utili a comprendere le questioni fondamentali legate ai recenti sviluppi dell’arte contemporanea. Poli coglie, traccia e individua, lo spirito del percorso, insito nell’allestimento curatoriale della mostra, da sempre incardinato sul gioco e sul rimando tra opere e simboli, di leggibilità globale, in continua migrazione.

Le opere divengono anelli di connessione tra mondo antico e contemporaneo, tra cultura orientale ed occidentale. L’itinerario espositivo offre allo spettatore inconsueti accostamenti, al fine di far affiorare, nello spettatore, impreviste associazioni tra oggetti, immagini ed ambienti.