*    Asterischi

* 1

Il 21 giugno 2016 Cristiana Collu neo direttrice della Galleria Nazionale d’arte Moderna, ribattezzata La Galleria Nazionale, ha realizzato la prima riapertura parziale della Galleria, come inizio della “stagione espositiva”, con la mostra The Lasting. L’intervallo e la durata, a cura di Saretto Cincinelli. Insieme alla riorganizzazione e riordino della Sala delle Colonne, cui è stato dato un appeal di ospitalità e di accoglienza insieme alla riattivazione della facies antica della Galleria, di cui sono state riaperte le corti giardino e invaso ogni ambiente di cascate di luce e di relazione tra interni ed esterni, e con la concezione della esposizione come dialogo trans storico tra opere di epoche e concezione diverse, la Collu ha dato corpo alla sua visione della missione della Galleria: mettere in campo la sua eredità storica (la collezione) e direzionare lo sguardo sulla mutevolezza degli orizzonti dell’arte –modernità, contemporaneità, futuro, italiani e internazionali. La accoglienza è integrata da una cattura di interesse per una più vasta e popolare partecipazione, con la trasformazione della scalinata della Galleria Nazionale in un palco a cielo aperto per una serata musicala dedicata al jazz, con Gavino Murgia e il suo quintetto e con una live performance del dj Daniele Greco in console.

1Cover del catalogo della mostra The Lasting, 2016(22 giugno 2016_29 gennaio 2017), a cura di Saretto Cincinelli, La Galleria Nazionale d’Arte Moderna editore, Roma

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Il 10 ottobre 2016 La Galleria Nazionale completa la riapertura della Galleria, con una mostra in più sale dal titolo Time is out of joint. Essa ribadisce la necessità di porre a confronto intorno a tematiche non tradizionali (in questa fase non ancora esplicitate ma in atto) opere della collezione ”silenti”  (in quanto necessariamente de-contestualizzate, sottratte al contesto storico d’origine della loro creazione) con opere di artisti di oggi ( delle quali il contesto d’origine è – là fuori del  museo- in atto, attuale, a noi contemporaneo), ribadendo la necessità di una relazione simultanea tra loro: il tempo simultaneo tra loro attiverebbe una tensione fertile e attivante il nostro pensiero: “assomigliandoci” nel presentarsi come un flusso di memoria., e non come un testo di storia dell’arte lineare. Anche in occasione di questa tappa della stagione espositiva, la sua inaugurazione, l’esterno della Galleria, la scalinata, è trasformata in un palco a cielo aperto per una serata musicale dedicata al jazz, con Paolo Fresu e Gianluca Petrella e con una live performance del dj Daniele Greco in console.

 

_lagallerianazionale_time_immagine_orizzontale-2-1024x724L’immagine di lancio del nuovo ordinamento espositivo della Galleria Nazionale d’Arte Moderna (La Galleria Nazionale) e del punto di vista che è incorporato nella tematica (Time is out of joint_Il tempo/lo stato delle cose è fuori sesto), lega e contrappone l’artista neoclassico Antonio Canova con la sua opera  Ercole e Lica (1795-1813), all’artista Pino Pascali con la sua opera Bachi da setola (1968), realizzata dall’artista pochi mesi prima del tragico incidente mortale. Dominio violento dello spazio dell’uno, invasione pacifica dell’altro: il primo segnale dei tanti chiliasmi proposti nei diversi ambienti espositivi del museo.

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QUADRI DI AZIONE DI CRISTIANA COLLU: 1.SCRIVE UN NUOVO CAPITOLO DELLA STORIA DELLA GALLERIA NAZIONALE D’ARTE MODERNA e NON DELLA STORIA DELL’ARTE-  2.CITA I VERSI DELL’AMLETO DI WILLIAM SHAKESPEARE “THE TIME IS OUT OF JOINT” E SONDA L’ELASTICITÀ DEL CONCETTO DI TEMPO, UN TEMPO NON LINEARE, MA STRATIFICATO 3. SEMBRA PORRE IN ATTO IL DILEMMA DELLO STORICO DELL’ARTE HANS BELTING “LA FINE DELLA STORIA DELL’ARTE O LA LIBERTÀ DELL’ARTE? 4. Abbandona linearità storica e dispiega invece, sul piano sincronico (qui e ora) le opere come sedimenti della lunga vita del museo 5. LA GALLERIA NAZIONALE SOSTENUTA DALL AUTONOMIA SPECIALE CHE LE HA DATO LA RIFORMA DEL MIBACT (FRANCESCHINI), SI PROPONE COME LUOGO DI SCOPERTA, APERTO ALLA RICERCA E ALLA CONTEMPLAZIONE MA ANCHE DI RICREAZIONE, COME SPAZIO DI RIFLESSIONE, SUI LINGUAGGI, SULLE PRATICHE ESPOSITIVE, SUL RUOLO DEL MUSEO CONTEMPORANEO.

_-time-is-out-of-joint_philip-dick-1959-cover-lippincot-1959Cover della prima edizione – 1959, Lippincott ed.- del libro di Philip K. Dick TIME OUT OF JOINT

 

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Cover del catalogo della FIRST ARAB BIENNALE, 1974, intinerante tra Baghdad e altre sette capitali arabe di allora (sic). Essa è dal marzo 2016 riedita col titolo di The Time is Out of Joint per cura della Shariah Art Foundation e dell’Asia Culture Center.

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Il D.M. 10 maggio 2001Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (Art. 150, comma 6, del D.lgs. n. 112 del 199) G.U. 19 ottobre 2001, n. 244, S.O., cui ha fatto riferimento il Ministro Dario Franceschini nel suo decreto di riorganizzazione dei Musei italiani [MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMODECRETO 23 dicembre 2014 – Organizzazione e funzionamento dei musei statali (GU n. 57 del 10-03-2015)], in particolare ai seguenti punti:

  1. “La legislazione, dall’Unità d’Italia in poi, “non è pervenuta, salvo rari casi, a sancire l’autonomia dei musei statali, che dunque sono stati e sono unità funzionali dell’istituto periferico Soprintendenza, diretti da un funzionario su delega del capo dell’istituto, con risorse umane e finanziarie assegnate sulla base di organici e programmi complessivi. Non molto diversamente, nell’ambito dei musei non statali, i musei civici dipendono in genere dall’assessorato competente del comune di appartenenza. “(…). B:”La partecipazione progressivamente più vivace dell’Italia al dibattito internazionale sul ruolo dei musei, e l’ampia bibliografia specifica prodotta sui temi relativi negli ultimi anni, hanno agevolato il formarsi di una più chiara visione del museo in termini di servizio destinato a un’utenza, ossia la variegata gamma dei visitatori di ogni età, provenienza e formazione” C.(…) “In sintesi estrema, si è profilata l’esigenza di una precisazione della missione dei musei, riorientandola verso il visitatore, così da affinare ulteriormente quell’interpretazione del museo come pubblico servizio, che già si profilava nella scelta del legislatore di dedicare articolata trattazione, entro il Testo unico richiamato in epigrafe, a tematiche quali i «servizi di assistenza culturale e ospitalità per il pubblico»” (…)D. “Ambito VII –Rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi Premessa :Ogni museo affianca al dovere della conservazione del proprio patrimonio la missione, rivolta a varie e diversificate fasce di utenti, di renderne possibile la fruizione a scopo educativo, culturale, ricreativo e altro ancora. Interpretare il suo patrimonio e renderlo fruibile da parte dei visitatori, specialmente esponendolo, è dunque parte integrante della sua ragion d’essere. In linea generale, il museo è sollecitato a sviluppare, nel rispetto della propria tradizione e cultura, quegli aspetti di orientamento verso il visitatore che mettano quest’ultimo in grado di godere l’accostamento al museo stesso come un evento particolarmente appagante non solo in quanto fattore di crescita culturale, ma anche in quanto momento privilegiato della fruizione del tempo libero, e valido complemento delle più consuete attività ricreative. I punti qui di seguito indicati hanno valore di norma obbligatoria, riguardo ai livelli di base di servizi e comunicazione; di norma volontaria, laddove aprono prospettive di incremento e sviluppo del rapporto con pubblico al di sopra dei livelli di base. In quest’ultimo caso, si tratta di raccomandazioni aventi la funzione di suscitare sensibilità e indicare direzioni di possibile miglioramento “

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Come si regolano i più grandi Musei, a New York e a Londra, nel senso della loro ampliata accoglienza al grande pubblico, cioè come è stata tolta la barriera finanziaria di accesso?

NEW YORK

Metropolitan Museum of Art (MET)/ Biglietto di ingresso in realtà è a donazione, loro consigliano $20 adulti e $15 dai 65 anni in su, studenti e $10, bambini con meno di 12 anni e membri gratis, ma si paga quanto si desidera. Museo di Arte Moderna (MOMA)/ Ingresso $20 adulti
Orari: Ingresso gratuito il venerdì dalle 16.00 alle 20.00 American Museum of Natural History/Ingresso $16 adulti, $12 i maggiori di 65 anni, $9 i bambini. Come per il MET anche qui la quota è un suggerimento ma potete pagare quanto volete.
Link ufficiale: www.amnh.org

Solomon R. Guggenheim Museum /Ingresso $18 adulti, $15 studenti e maggiori di 65 anni, gratis membri e bambini con meno di 12 anni.
Il sabato di paga quanto si vuole dalle 17,45 alle 19,45 (l’ultimo biglietto viene dato alle 19,15). Link ufficiale: www.guggenheim.org

Withney Museum of American Art/Ingresso $18 adulti, $12 per chi ha tra i 19 e i 25 anni, $12 per chi ha più di 62 anni e studenti.
Si paga quello che si desidera il venerdì dalle 19.00 alle 21.00.

Frick Collection/ Ingresso $18 adulti, $15 dai 65 anni in su, $10 gli studenti. I bambini con meno di 10 anni non sono ammessi.
La domenica si paga quello che si vuole delle 11.00 sino alle 13.00

Brooklyn Museum/Costo di ingresso suggerito è $10 ma questo significa che potete pagare quanto desiderate.
Ingresso gratuito la prima domenica del mese.

Morgan Library e Museo/Ingresso $15 adulti e $10 per over 65, bambini e studenti.
Ingresso gratuito il venerdì dalle 19.00 alle 21.00.

Museum of the City of New York/Ingresso suggerito $10.

American Folk Art Museum/Ingresso gratuito sempre.

LONDRA

Il British Museum/L’ingresso al Museo è gratuito per tutti i visitatori.
La visita a mostre temporanee potrebbe essere a pagamento.

La National Gallery/Ingresso gratuito alle Collezioni e alle mostre temporanee allestite nella Sala Sunley, nella Sala 1 e nello Spazio al 2° piano. Le mostre temporanee che si tengono nell’Ala Sainsbury sono a pagamento.

Tate Modern/Entrata libera. Ingresso a pagamento alle mostre principali.

Il Natural History Museum/Ingresso libero (a pagamento alcune mostre temporanee).

Il Victoria and Albert Museum/Ingresso libero (a pagamento alcune mostre temporanee)

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Simonetta Lux, Di che aura parliamo? Aura, ovvero della meravigliosa modifica della nozione stessa di arte, in “Rivista di Estetica”, numero monografico dedicato a AURA, a cura di Giuseppe di Giacomo e Luca Marchetti, Rosenberg & Sellier, Torino, 2013, scrive: “Adorno e tanti altri critici e filosofi hanno condiviso la descrizione baudelairiana/benjaminiana del mondo rivoluzionato dell’arte e del suo darsi, ma non l’attribuzione a una determinata tecnica di un tale mutamento radicale sull’arte. Benjamin afferma che queste tecniche e questi procedimenti hanno agito sulla forma tradizionale dell’arte, come emerge dalla sua analisi del processo di trasmissione infinita che caratterizza tutte le opere antiche in riproduzione, in effigie, con la conseguente perdita, ovviamente, dell’atmosfera auratica connessa al contesto originario di percezione e d’uso. Ma questa loro diversa percezione ha a che fare piuttosto – ci sembra – con la questione della musealizzazione e della loro nuova ricezione, se è vero che gli oggetti vengono ora percepiti non più in quanto caratterizzati da una funzione cultuale o comunque non più in quanto elementi alla cui forma/materia sia già immanente un originario modo d’uso o funzione. Abbiamo a che fare, certo, con modi di recezione e di esperienza che sono diversi dall’antico, ma che non sono imputabili all’oggetto/opera nella sua peculiarità formale, tecnico-processuale e materiale, bensì al loro nuovo modo di darsi, di aprirsi, dunque al loro essere caratterizzati da un’altra autenticità, da un’altra aura. È così nella tensione tra modo di prodursi (ciò che Adorno chiama soggettività producente empiricamente), in quanto modo di darsi dell’oggetto/opera, e soggettività come “spirito oggettivo”, insomma come storicità immanente, che si manifesta la “verità” estetica. Se è quindi in un processo di conoscenza che si dà l’esperienza dell’arte, come può Benjamin negare l’aura e nello stesso tempo «respirare l’aura» dell’opera anche cinematografica e anzi cedere ad essa quando ne descrive la peculiarità che la identifica tecnicamente, progettualmente, storicamente? E come può negare ciò al pubblico di massa che accoglie l’opera in quanto soggetto empirico, in un rapporto proiettivo e acritico con l’opera stessa? Il pubblico di massa è appunto visto come soggetto di una mobilitazione possibile, in vista di qualcosa che è altro dal mondo dell’arte e altro dalla stessa società contemporanea, pur essendo in tutto e per tutto integrato nel sistema”. Citiamo da Theodor W. Adorno, Paralipomena,pag. 455.sgg, in Teoria Estetica: egli qui circoscrive l’ambito delle questioni costitutive dell’estetica da cogliere nel divenire, in una legge di movimento e non di definizione.

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Dal brano Vivere il mio tempo della rock band italiana Litfiba.

È il terzo ed ultimo singolo estratto, nel 1999, dall’album “Infinito

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SKMP2 (1968), film di Luca Maria PatellaItalia, 30′ , v.o. italiano – s/t inglese.

SKMP2 è un’opera-film concettuale e comportamentale, divisa in quattro parti, ognuna dedicata a un artista della galleria l’Attico di Fabio Sargentini (la S del titolo). Il primo ha come protagonista Eliseo Mattiacci (M), il secondo Jannis Kounellis (K), il terzo Rosa Foschi e Luca Patella (P) e infine Pino Pascali (P). Le performance sono realizzate per e con la macchina da presa di Luca Patella.

* 9  Chi guarda chi…………………….

apollo-burri-rid-mediumApollo (1838, dello scultore neoclassico Pietro Galli) e  Nero (1961, di Alberto Burri)

 

12-img-rid_antonietta-raphael-mafai-le-tre-sorele-1936-ridLe tre sorelle (1936 ca., di Antonietta Raphaël Mafai) e Il Quarto Stato (1898-1899, di Giuseppe Pellizza, cartone per il grande quadro)

 

isilvio-rid-rotta-nosocomio-1895Divinità neoclassica e Nosocomio (1895, di Silvio Rotta)

chi-guarda-rid-boccioni-stati-danimo-quelli-che-vanno-1911Diana & Stati d’animoQuelli che vanno (Ercole Dante 1845 & Umberto Boccioni 1911)

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img_20161117_230358

img_20161117_230249Immagini della occupazione della piazza Tiananmen di Beijing e della stessa piazza 25 anni dopo, pubblicate su Rainews24. Le immagini possono essere riprese solo con uno snapshot del monitor. (http://www.rainews.it/dl/rainews/media/Tienanmen-25-anni-dopo-foto-a-confronto-868cce02-ad91-4bee-b61e-34e7e506a436.html#foto-3)

 

 

IL RIORDINAMENTO MOBILE DE LA GALLERIA NAZIONALE [D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA] DI CRISTIANA COLLUcanova_ercolelica_1canova-abate_01_web-vedova-blu-1965

canova-ercole-e-lica-dettaglio-385-kPascali in Vedova blu, 1965(Photo Claudio Abate), Lica ucciso da Ercole(dettaglio)di Ercole e Lica (a dx) , 1795-1813,di Antonio Canova

“Vivere il mio tempo
È un equilibrio dentro…” *7

 

In una intervista –una chiacchierata- del 2012 Cristiana Collu come neo direttrice del MART dichiarava: “occuparsi del contemporaneo è anche lasciare una propria traccia e abitare questi luoghi e interpretarli secondo un punto di vista che è quello del nostro tempo, mi sembra già una definizione di essere contemporaneo” (http://franzmagazine.com/2012/02/03/due-chiacchiere-con-cristiana-collu-neodirettrice-del-mart/)

Oggi per la direttrice della rinominata: La Galleria Nazionale, già Galleria Nazionale d’arte Moderna, poi Galleria Nazionale d’arte Moderna e Contemporanea, è ancora quella la risposta all’interrogativo: che fare per animare quel luogo a funzione simbolica che è il Museo colpito da una crisi di relazione, come tante (forse tutte) istituzioni sociali (il rapporto uomo donna), culturali e politiche non solo in Italia, ma nel mondo contemporaneo?

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Come rianimare, rendere “parlanti” quelle opere/oggetto, che giacciono silenti nei ben ordinati depositi delle collezioni?

Come fare sì che un’architettura anacronistica venga ripercorsa e praticata “come se” fosse adeguata al nostro ritmo di vita e di percezione di noi qui e ora?

 

Come dare il senso dell’accoglienza a chi – la maggioranza di noi – per un ragione o per l’altra non reputa nutriente andare in un luogo dove il tempo è lento o fermo e il rapporto con il mondo esterno sembra sbarrato?

All’inizio sembrava quasi che sia con The Lasting *1 sia con  Time is Out of Joint *2 Cristiana Collu volesse appellarsi alla “comunità” cioè a quel pubblico indifferenziato, ampio, che vive alla leggera e attraverso il web la vita della percezione dell’arte e delle immagini  e la soggezione web-sociale alle parole slogan della comunicazione/consumo e della politica delle emozioni: ecco un pubblico *5 “mobilitabile”( come voleva Walter Benjamin)*6, in quanto pubblico/massa abituato al flusso, al montaggio/smontaggio delle emozioni, al mescolamento e alle ibridazioni. E’ ipotizzato un diffuso ritmo di vita e di percezione fluido, instabile, aggrappato a una ricerca condivisa a ogni livello, attraverso la ampia rete di comunicazione on line.

_-nuovo-atrio_foto-guerraLa nuova accoglienza della Sala delle Colonne, prima azione che apre il nuvo ciclo delle esposizioni del museo

Infatti il pubblico*4 cui Cristiana sembra rivolgersi è indifferenziato, misto, complesso, persone, per lo più non di esperti, non di appartenenti al mondo dell’arte, ma anche sì –di appartenenti a quel mondo, amici degli artisti, storici dell’arte:

 

_-foto-apertura-display-sala-pascali-penone-canova-mondrianNella sala di Ercole, nella esposizione Time is Out of Joint, è rimasta in situ nella collocazione e sulla base originaria la scultura di Ercole e Lica di Antonio Canova (1795-1813), il linguaggio neoclassico viene proposto in dialogo e in tensione con i linguaggi dell’avanguardia, della neoavanguardia e dell’arte povera:  Piet Mondrian (Grande composizione A con nero, rosso, grigio, giallo e blu,1919-1920),  Pino Pascali (32 metri quadrati di mare circa, 1967) e Giuseppe Penone (Spoglia d’oro su spine d’acacia, 2002), Cy Twombly ( Senza titolo, 1958 c.), Yves Klein (International Klein Blue, 1958)

 

All-focusPiet Mondrian & Pino Pascali , dettaglio vista nella sala di Ercole.

 

2-1968-film-opera-durata-28-min_luca-skmp2_-da-programma-cineteca-naz-2013Pino Pascali, la donna/e l’antico (still dal film a episodi SKMP2 del 1968,  dell’artista Luca Maria Patella): bacia la testa di una statua classica per poi affogarla in mare. *9

All-focusCy Twombly  & Pino Pascali, dettaglio vista nella sala di Ercole

venere-rid-guarda-pascaliSala della esposizione Time is Out of Joint (insieme)

 

6-rid-img_20161019_154648Sala della esposizione Time is Out of Joint (veduta di insieme). Si “guardano” opere,forme e soggetti neoclassici, informale-materici, del Gruppo Zero, dei concettuali della Scuola di piazza del Popolo, dell’Arte Povera, fino alla generazione social ed “out of joint” degli anni 80 (Pietro Galli, Alberto Burri, Francesco Lo Savio, Gilberto Zorio, Günter Uecker, Thomas Schütte).

lucio-fontana-2Lucio Fontana, Concetto spaziale-natura, 1959-60, Bronzo, esposizione The Lasting, 2016, Roma, La Galleria Nazionale

7-img_20161019_125734Esposizione The Lasting- L’intervallo e la durata, 2016, Roma, La Galleria Nazionale (veduta di insieme)

hdrLucio Fontana & Hiroshi Sugimoto, dettaglio esposizione The Lasting, 2016, Roma, La Galleria Nazionale

 

mattiacci-1983-senza-bordoEliseo Mattiacci, Intervento a L’idea Italiana della pittura-Testimoni e autori, 1983, a cura di S.Lux, Sapienza Università di Roma, Photo Ignazio Venafro 2016_gn_thelasting_hiroshisugimoto_01Hiroshi Sugimoto, Cinema Teatri Nuovo di San Gimignano, 2013, stampa alla gelatina d’argento,  esposizione The Lasting, 2016, Roma, La Galleria Nazionale

 

5-rid-mg_20161019_140540Emilio Franceschi, Eulalia Cristiana, nel contesto della sala, della esposizione Time Is Out of Joint, nella quale sono esposti di Hans Bellmer La Poupée (1934), di Giulio Artistide Sartorio La Gorgone e gli eroi (1899), di Antonio Solà Minerva  (1839)

6-dida-eulalia-cristiana-foto-benedt-de-lucaEmilio Franceschi, Eulalia Cristiana, 1890, Bronzo (dettaglio), esposta in Time is Out of Joint, 2016, Roma, La Galleria Nazionale

La azione di “fare il nostro tempo” che Collu si ripromette è per questo- amleticamente- piena di “dubbi”, poiché l’obiettivo (e direi il miraggio) di creare “un luogo per il dialogo e la dialettica” proprio dentro il Museo, che – sono sue parole- “è uno degli ultimi spazi non virtuali che può ospitare questo esercizio di partecipazione e condivisione”, è insieme chiaro e opaco e si presta ai più insidiosi interrogativi.

È dichiarabile (c’è?) uno scopo secondo e nascosto, in un tempo out of joint, nel quale l’arte appare sempre più usata come schermo di finalità altre, estranee da sé, così come la nuova libertà strategica concessa al suo ruolo?

E il più insidioso interrogativo, relativo alla contraddizione tra la sua mira e il metodo: se appare alla Collu necessario racchiudere nella propria specificità (il museo di arte contemporanea con la sua storia stratificata) anche una voce della moltitudine, “ una voce collettiva che rimanda a una comunità”, sarà efficace e sufficiente il trasferimento di una condizione mentale diffusa e collettiva, cioè la recezione automatica e fluida, dal mondo della trasmissione virtuale (tutti i media informatici, televisivi e cinematografici). al mondo della trasmissione reale (il museo, la galleria, il luogo espositivo), delle opere originali? Opere che -non dimentichiamolo- sono pur sempre sradicate, decontestualizzate, di fatto oggettualizzate.

Poche parole-quasi degli slogan- e invece di una teoria ermeneutica che perpetua una strategia dogmatica di interpretazione dell’arte, la dichiarazione di presentarsi prima come donna, femminista (una che non coincide perfettamente con il suo tempo) e non come un “ruolo”: così Cristiana Collu lancia il suo bellissimo piano (la sua mira) di fare del museo il luogo dell’interrogazione continua del medium dell’arte (le opere dell’artista), dell’uomo storico e delle sue immagini del mondo.

Chi si è opposto subito sono stati degli storici dell’arte, e si sono ritirati col loro pollice verso rapidamente nelle loro stanze dogmatiche, un “No” deciso, rifiutando – ancora una volta-  l’invito all’esperienza e alla interrogazione permanente dell’arte, in una ripensata funzione del Museo ormai urgente, e non più unicamente nell’ambito di una disciplina storica distaccata dal vivo farsi  dell’arte! E non è bastato che la neodirettrice lo avesse giustamente ricordato, nell’intervista all’ADNKRONS del 10 ottobre: in “tutta la storia della Galleria Nazionale il tentativo è sempre stato quello di creare una situazione di contrappunto non solo con le opere della collezione ma anche con gli interventi diretti dell’arte contemporanea”. Ci basti ricordare Palma Bucarelli, Sandra Pinto, Maria Vittoria Marini Clarelli.

Perché in verità, per Collu, è l’arte e la rappresentazione del mondo da parte degli artisti ciò che deve interessarci, e non la loro collocazione nell’ordine ideale o storico lineare immesso nel museo o galleria. Quale la relazione tra “fare la storia” e “scrivere la storia”? Quale la libertà o il disastro indotti dalla sconquassata relazione tra rappresentazione e interpretazione (comprensione del senso), tra gli artisti, gli storici dell’arte, i critici ed il più vasto pubblico?

La dissoluzione del tempo (Time is out of joint) e le conseguenti trasformazioni della sua rappresentazione in chi la storia la scrive e in chi la fa è stata al centro –per citare uno fra tutti gli storici dell’arte- del noto libro di Hans Belting Das Ende des Kunsgeschichte? Chiaro e utile ancora oggi, dopo più di trenta anni dalla sua uscita (1983) e venti dalla sua divulgazione in Europa. Una volta tanto la traduzione italiana del titolo (Edizione Einaudi) ha dato conto meglio della tesi del libro: La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte.

Il nodo infatti – misurato da Collu sullo stato recente della rappresentazione del mondo che gli artisti ci propongono- è questo: se gli artisti dalla seconda metà del ‘900 hanno messo in questione la stessa-appena-conquistata autonomia del linguaggio della rappresentazione artistica e la pretesa a una verità e a una validità generale, delle nuove forme moderne di questa autonomia; se essi nella nuova forma di arbitrio o libertà da ogni regola costrittiva o prescrittiva di quale che sia struttura o forma della rappresentazione (antica o moderna o d’avanguardia) hanno così rimesso in questione la posizione stabile assegnata dagli scrittori della storia dell’arte alle opere antiche o moderne o d’avanguardia e quindi messo in questione la posizione di quelle e delle stesse proprie opere nell’ordine presunto ideale o universale del museo ; se insomma gli artisti hanno affermato la loro estraneità ed instabilità dentro ogni sequenza museale storica sia lineare sia vecchio-tematica, allora il ruolo dello storico e del critico, ed i conseguenti ordinamenti,  devono esser anch’essi considerati fuori sesto(out of joint) , da rimettersi in questione.

Che cosa può fare uno storico (si chiede Hans Belting), e dunque un curatore o direttore, che consideri lo stato dell’arte e soprattutto l’intervallo, la distanza che separa non soltanto le procedure e temi di interesse dell’arte attuale da quella moderna e d’avanguardia e su fino a tutte quelle etichettate e interpretate dalla critica e della storia dell’arte, e che consideri la possibilità di un ruolo attivo di chi contribuisce “a fare la storia”, cioè un pubblico o una comunità vivente, sollecitandone una risposta non sottomessa né inquadrata in una strategia coerente di interpretazione?

La varietà e la pluralità dei media che l’artista oggi ha deciso di usare (e da un  bel po’ di tempo, almeno dalla fine delle etichettature e delle tendenzialità dell’arte), la varietà obliqua dei campi di interesse cui l’artista fa riferimento, comuni alla sensibilità e alle urgenze civili e sociali della comunità odierna ed estranei a quelli predefiniti incardinati in tempi/epoche ignoti al grande pubblico, la definizione oggi della struttura dell’opera come di un dispositivo ( e non uno stile) che si lega con mille tracce e procedure a tratti del mondo riconoscibili e condivisi nella coscienza percettiva e visuale delle persone contemporanee è sostanzialmente un montaggio o un modo di rappresentazione del mondo che ha delegittimato le strategie di interpretazione strutturate e coerenti dell’arte, si è fatto critico ed ermeneuta del mondo (di parti di esso), spiazzando, slogando, il ruolo di rappresentazione  esercitato dalla critica o dagli storici. L’artista distruggendo le gerarchie di valore costruite a fatica dal processo di conoscenza storica, esercitando al posto del critico il presunto compito di dare accesso all’opera d’arte se non all’arte stessa, ha fatto una semplice invasione di campo?

Naturalmente ciò che non può fare l’artista con il suo dispositivo mobile e plurale è mutare la condizione di un’arte, strumento orami troppo spesso di scopi altri da sé, “invasa dalla critica” e dal mercato dell’arte ad essa connesso: può solo enunciarlo.

Ce lo ricorda Belting quando assume  nuovo ruolo e libertà dell’arte anche come perdita di indipendenza (l’artista si vede oggi condannato a realizzare i postulati di una critica possessiva, poiché la critica tende a tener ferma l’arte in funzione delle sue convinzioni arbitrarie).

Ma in ogni caso, Collu presuppone tutto questo tempo/stato delle cose slogato o fuori sesto – e pone al centro della propria azione- il dato di fatto che l’opera (l’oggetto) non ha più soltanto cambiato aspetto ma sostanza e significato. Anzi, non solo presuppone, ma fa propria questa nuova sostanza dell’arte e anch’essa, come l’artista, invade il campo dell’altro e, come fa  l’artista oggi, crea un dispositivo.

Anche se il ministro Dario Franceschini vuole una nuova valorizzazione e conservazione dell’Heritage (dell’eredità culturale e del patrimonio) – magari a fini finanziari e di consumo che ci sembrano indifferenti al nuovo statuto dell’opera d’arte*4- Collu finge di farlo, ma non è niente affatto indifferente e mette in campo, e in relazione tra loro, gli attori principali della rappresentazione, lo spazio (la sua forma interna e il suo esterno), le opere (accostando le silenti e le viventi) e la comunità (coloro che ne attiveranno il colloquio e l’interpretazione)

Ipotizza un colloquio su ciò che nessuno degli attori in scena sa dell’altro. E la movimentazione della scena è affidata un nuovo esteso pubblico, che Collu –sono certa-presto catturerà al tavolo di lavoro dei laboratori didattici, della guida a comparti differenziati, della azione seminariale a portata specialistica o generalizzata, fatalmente costretta a estendere la condizione silente dell’opera antica collezionata anche all’opera attuale, già  vissuta in un altrove: a meno che………………………………………………………….al tavolo dei laboratori sia richiamato l’artista.

11-img_20161019_155510_2Donna orante , dettaglio da Il voto (1883) di Francesco Paolo Michetti.

Pubblici, tra quotidiano, fantascienza e sottomissione

Il pubblico*4 cui Cristiana sembra soprattutto rivolgersi, quello che pretende principalmente catturare, chiamarlo nel pensiero dell’arte, è quello indifferenziato, misto, complesso, persone, per lo più non di esperti, non di appartenenti al mondo dell’arte, che non sanno che cosa sia l’arte, ma sanno che l’arte è qualcosa di straordinario e irrinunciabile. Soprattutto i giovani, i nativi digitali, naviganti sui social e nella rete.

Se provassimo a rispondere a questo appeal, cioè ai due slogan di richiamo quasi per tutti misteriosi, che sembrano quasi sbagliati, sia per la prima “azione”: THE LASTING/ LA DURATA e L’INTERVALLO), sia per la seconda “azione”  TIME IS OUT OF JOINT/ (Il tempo è fuori sesto), si potrebbe dare ad essi senso e risposta con uno zapping nel web?

Per The Lasting avremmo una parziale coincidenza di questo appeal/slogan: ciò che può durare al di là del tempo e della lontananza.

Se The Lasting è da Collu  recitato senza predicarlo, troveremmo invece nel web che the lasting è predicato per luoghi di relazione sociale, è il curarsi di se stessi, di qualche cosa o di qualche creazione al di fuori di qualcos’altro pre-dato, è il riferimento al piacere senza stress e senza impegno.https://thelastingsupper.com/, un luogo dove le persone non si confrontano, indipendenti e libere, e si mangia alla stessa tavola; o : www.thelastingroom.com/ un pub  dove si fa musica live e si mangia e beve birra; oppure https://www.facebook.com/thelastingdays/, dove si suona, e la cui produzione discografica si chiama “The Future Without”(un futuro senza) e il cui terzo album si chiama “We simplify”.

The Lasting senza predicato, la prima azione de  La Galleria Nazionale, condivide con quei diversi usi comuni della parola il senso di accoglienza, appartenenza senza pregiudizi e senza competitività, come in quei luoghi della gente o dell’arte più comune, dove riposarsi, leggere, sedersi su comodi divani, prendere un caffè, senza l’obbligo di entrare nel Museo a vedere, pensare, riflettere; senza pagare.

Time is out of joint, slogan e la seconda azione aperta il 10 ottobre de La Galleria Nazionalepromessa da Cristiana Collu nella breve nota del 21 giugno 2016 quando apriva The Lasting,-ci può trasportare con una rapida navigazione in rete in una sequenza trans-storica e trans-lineare di riflessioni antiche e recenti sullo stato delle cose nel mondo, sui modi della sua percezione e sullo spostarsi del concetto di tempo (e/o di storia).

Subito ci accorgiamo che fin dalla sua più antica apparizione il concetto di tempo si è presentato disarticolato in relazione allo spazio, nella nostra (umana)consapevolezza della scissione di esso dai nostri processi di delocazione spaziale reali o immaginari attivando in noi una paranoide ricerca di  svelamento di un segreto o di un progetto in atto a nostra insaputa: in un kafkiano esito di impossibilità di uscire dal meccanismo di dissociazione e di disassestamento, impossibilità della realizzazione di un tempo differente.

Ho provato una mia ricerca dell’8 ottobre 2016 sul filo dell’uso e del modo d’uso di quelle parole, così come ce lo rimanda la rete: il primo clic rinvia ovviamente a William Shakespeare, alle parole di Amleto 500 anni fa in Europa (Hamlet, Act 1, scena 5, versi 186-190), il secondo a Philip K. Dick che anch’egli -500 anni dopo circa, in Usa, nel 1959- ha ripreso per il titolo della sua  distopic novel, Time out of joint,  le parole di Amleto: il terzo alla Sharjah Art Foundation che per il 15 marzo annuncia la mostra The Time is out of Joint a Sharjah capitale di uno dei sette emirati che costituiscono  la UAE (United Arab Emirates). Indipendentemente, l’11 ottobre la Collu sul nuovo sito de La Galleria Nazionale posta in inglese la  declinazione amletica della seconda mostra del ciclo espositivo della Galleria Nazionale d’arte moderna dal titolo: Time is Out of Joint: consapevole della difficoltà, lungamente affrontata dal filosofo Jacques Derrida (“Hamlet’s line “the time is out of joint” unhinges the best translations, whose “excellence can do nothing about it,” claims Jacques Derrida…”), della difficoltà della loro interpretazione, della ambiguità di quelle parole, e dell’uso possibile e contraddittorio di esse.

Colpisce il peculiare registro amletico toccato nel 1959 dallo scrittore statunitense Philip K. Dick nel suo romanzo Time out of joint. Nell’America della guerra fredda e dell’invadente invasione personale attraverso i media ed i servizi segreti, il suo protagonista Ragle Gumm – vincitore straordinario di giochi a premi lanciati dal giornale locale-scopre progressivamente di vivere fluttuando  continuamente tra due tempi , in un dissesto temporale, tra il suo reale presente in una tipica tranquilla periferia americana (il 1959) ed un altrettanto reale e spaventoso futuro della terra (il 1998) , di cui il suo idillico presente non è che una mascheratura- una realtà costruita– Egli scopre lo stato delle cose di questo mondo  (futuro) in cui vive, apprestatogli da un sistema organizzativo ignoto “come mondo felice”, attraverso una serie di eventi inquietanti, come se fosse continuamente osservato e intercettato, e attraverso il rovesciamento dell’uso delle sue doti di giocatore e vincitore di sistemi, riesce a fuggire dal falso e orribile mondo militarizzato del 1998 nel quale si è integrato per conoscerlo e sfuggirgli (vincerlo), emigrando in un insediamento extraterrestre , lunare, del quale Philip K.Dick intravede( o auspica)  una possibilità di “negoziare” , contro gli ex colonizzatori terrestri della Luna, un “mondo felice” e non falso come quello finto/reale fatto apparire sulla Terra del 1998, per controllarlo e sfruttarlo.

Colpisce ancora di più il fatto e in un certo senso il totalmente diverso modo di uso di quello stesso verso dell’Amleto da parte della Sharjah Art Foundation, centro arabo di propulsione politico culturale operante fin dal 1974 in un’ottica globale: a Sharjah (riconosciuta “capitale culturale” dell’ UAE -United Arab Emirates) si apre infatti  il 12 marzo la mostra The Time is Out of Joint a cura di Tarek Abou El Fetouh, che ispirata al filosofo andaluso Ibn Arabi e alla sua teoria (presunta) di un concetto del tempo come luogo fluido e dello spazio come tempo congelato, come dice il comunicato della Fondazione Sharjah (http://sharjahart.org/sharjah-art-foundation/exhibitions/the-time-is-out) , esamina “le nostre attuali e future condizioni e sedi (locations). Essa vuole confondere differenti tempi, luoghi, città e eventi artistici realizzati nel passato o che si realizzeranno nel futuro”. Si dichiara inoltre che The Time is Out of Joint riattualizza la First Arab Art Biennale di Baghdad : che fu una biennale trans-araba del 1974 , intesa a preparare una identità araba dell’arte in senso conservatore, sia nel senso di ridisegnare linee di confine geografiche e culturali, con il suo itinerare tra “le capitali arabe di allora” (Irak, nel palazzo del governatorato di Baghdad, Qatar, Algeria, Kuwait, Yemen, Morocco, Palestine, Lebanon, Tunisia (cfr. http://digital.library.unt.edu/ark:/67531/metadc155614/). Il progetto del 2016, che considera  la First Arab Biennale del 1974 insieme alla China Avant-garde Exhibition di Beijing del 1989, le due esposizioni chiave realizzate in momenti transitional della storia, mira a sintetizzarle nell’idea –dice sempre il comunicato della Sharjah Foundation- “di mettere in questione le definizioni di tempo e di luogo, suggerendo ponti di connessione tra questi differenti luoghi e tempi, e tra le leggi fondamentali che hanno governato e continuano a governare il pensiero”. Non inutile ricordare che la China Avant-Garde di Beijing del febbraio 1989 fu chiusa appena dopo due giorni dalla sua apertura ( la giovane artista Xiao Lu aveva sparato sulla sua opera Dialogue con un fucile a aria compressa) e fu seguita dalla scomparsa dell’imprenditore Gao Minglu che aveva acquistato per 10,000 renminbi le opere di una dozzina di artisti, esclusa Xiao Lu (cfr.: la ricostruzione di Francesca Dal Lago, “The Avant-Garde Has Its Moment of Glory”, Visions of China, CNN, 1999; e, nel 2010, il suo libro Lu, Xiao (2010). Dialogue. Hong Kong, Hong Kong University Press. pp. vii – xv. ISBN 9789888028122). Il catalogo originale (1989 Avant-Garde Exhibition 前卫艺术展” ) è ora cancellato dalla rete. Così come sono cancellate dalla rete le immagini delle manifestazioni di protesta (15 aprile-4 giugno 1989) e della strage di piazza Tiananmen nella stessa Beijing *10.     La strage dei manifestanti avvenne 4 mesi dopo la chiusura forzata della mostra, nella notte tra il 3 e il 4 giungo 1989.La committenza della mostra annunciata nel marzo del 2016, che si tiene nella stessa città della mostra China Avant-Garde del 1989, Beijing, è una committenza politica congiunta della Sharjah Art Foundation  e dell’Asian Culture Complex_Asian Arts Theatre di Beijing, nella prospettiva di un disegno di alleanze arabo_asiatiche, e di una influenza in via di costruzione, per il quale l’arte appare un prestitgioso paravento, un appeal mediatico per rendere quel disegno  attrattivo: ancora un altro modo d’uso dell’amletico “The time is out of joint!”.

Ecco dunque, ricercare on line mi ha attirato nel backstage del metodo di cattura per condivisione sentimentale e analogica di “altre arti” (il jazz, la canzonetta, il romanzo fantascientifico, la grande drammaturgia) o della cattura – attraverso slogan – dell’interesse di un potenziale grande pubblico dell’ arte: scoperte straordinarie, tutte rivelatrici del fatto, ad alcuni di noi già noto, che la questione del metodo non è mai ingenua: ciò che conta è il modo d’uso, da parte di chi e per quale scopo.

Questo Cristiana Collu lo sa, quando l’11 ottobre, posta, in inglese, sul nuovo sito de La Galleria Nazionale la sua declinazione amletica, e lo fa attraverso Jacques Derrida, così:

“Hamlet’s line “the time is out of joint” unhinges the best translations, whose “excellence can do nothing about it,” claims Jacques Derrida in his many pages of tightly packed ruminations on the subject. We, too, could list the many translations that turn “time” into “il tempo” but also into world or nature, and “out of joint” into out of sorts, o its hinges, out of square, disjointed, unhinged, disconnected”.( http://lagallerianazionale.com/en/mostra/time-is-out-of-joint/).

Cristana Collu ha scelto dunque Shakespeare con Jacques Derrida ed in una certa misura ha risposto, all’nterrogativo di Hans Belting; “la fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte?”,

“la libertà dell’arte”.

Ma siamo certi che nelle associazioni libere delle opere / oggetto, tra le opere  antiche (silenti) e le opere dei giovani ( viventi), non diventino anche quesate ultime “silenti”?

Contraddizione insita nella crisi attuale del “museo”, dovuta soprattutto al fatto stesso del “collezionare”, dell’ “oggettualizzare” irreparabilmente ciò che è e è sempre stato un “processo”.

Su questo si dovrà dibattere, ancora.

Arte per chi? per quale uso? e come”.

Chi dice “arte” all’arte?