« Today I thought: I have to go to Egypt.

To be closer. To do something…

to the movements of an event that

seem to unsettle what appears unbreakable.

 And which must be broken.

Shaken»

BRANDON LABELLE

 

AZIONE PER LA LIBERTÀ DELL’ARTE

Alcuni mesi fa, mi trovavo nel bookshop del New Museum di New York a sfogliare alcune pubblicazioni, quando un libricino dalla copertina beige ha catturato la mia attenzione. Era Diary of an Imaginary Egyptian, dello scrittore americano Brandon Labelle. Ho iniziato a leggere le prime righe e non ho potuto più fermarmi. Un racconto senza narrazione che funziona per immagini suggerite alla mente, evocate come lucide chiaroveggenze, grazie a quel potere metafisico che solo una prosa che aspira alla poesia possiede. Nel suo testo Labelle racconta l’Egitto che non ha mai visitato e in ogni pagina traspare la nostalgia per un luogo della mente depositario di una memoria collettiva in cui sopravvivono i semi della rinascita. La rivolta assume qui il valore della zolla di terra ribaltata, rimescolata da un immaginario aratro, affinché il principio di una nuova vita possa mettere radici.

Avevo in mente il Diario di un egiziano immaginario, quando ragionavo su un contributo curatoriale per la Biennale OFF del Cairo, a cui ero stata invitata dall’artista Moataz Nsar, direttore del centro d’arte Darb1718. Avevo in mente l’immagine di una terra che si prepara a ricevere nuovi germogli. Avevo in mente il legame invisibile tra il qui e l’altrove, tra quel che è stato e quel che deve arrivare, e mentre apprendevo che un’auto bomba era esplosa proprio di fronte al Consolato italiano al Cairo, più che per la mia incolumità mi preoccupavo su quale potesse essere il ruolo dell’arte nell’ambito di quel legame sottile tra il sé e l’altro, attraverso i luoghi e attraverso il tempo.

Essendo un’orientalista di formazione, mi interesso da anni alle complesse relazioni tra oriente e occidente, specialmente in ambito culturale, interrogandomi soprattutto sul peso e l’influenza delle questioni geo-politiche sulle ricerche artistiche attuali, tenendo conto di dinamiche locali, quindi, ma senza dimenticare di osservarle in un contesto globale. Something Else – Off Biennale Cairo mi è sembrata fin da subito un’iniziativa perfettamente in accordo con la mia visione curatoriale e la mia ricerca. La manifestazione è nata dalla volontà di supportare la scena artistica egiziana e la presenza di artisti internazionali al Cairo, ma anche dall’urgenza di dare spazio e voce a ricerche artistiche che si esprimono autonomamente, slegate dai giochi di potere della politica locale. Direttore della biennale è Simon Njami, che in un’intervista di qualche anno fa veniva definito ‘uno dei più autorevoli studiosi della creazione africana contemporanea’, caporedattore di Revue Noire, ex-direttore della Biennale della fotografia di Bamako, curatore della storica mostra Africa Remix (Museum Kunst Palast, Dusseldorf; Hawyward Gallery di Londra; Centre Pompidou, Parigi; Mori Art Museum, Tokyo) e prossimo direttore della Biennale di Dakar. Accanto a lui sono stati chiamati sette curatori che lo hanno affiancato, apportando il proprio contributo e le proprie proposte.

Ho avuto il piacere di essere selezionata tra questi e proprio nei giorni in cui dovevo definire la natura del mio contributo alla manifestazione, mi ricapitò tra le mani una cartolina che avevo avuto da una mia cara amica, l’artista giapponese Kazuko Miyamoto, che per anni era stata l’assistente dell’americano Sol LeWitt. Su un lato, un’immagine in bianco e nero, la foto di un messaggio anonimo lasciato su un muro, una scritta in italiano che dice: “Azione per la libertà dell’arte”. Sull’altro, erano riportate informazioni su come raggiungere lo spazio espositivo. Si trattava infatti dell’invito alla mostra personale di LeWitt in una galleria di Genova che oggi non esiste più, la Saman Galllery. L’inaugurazione era il 23 maggio del 1975, nel pieno di quel periodo buio della storia italiana contemporanea noto come anni di piombo. L’artista americano, colpito da quell’anonima dichiarazione, aveva deciso di fotografarla e sceglierla come immagine per l’invito alla sua personale, questo quello che mi disse Kazuko nel mostrarmela. In realtà, l’immagine era riconducibile a una serie di interventi effimeri nel contesto urbano, realizzati a Genova tra gli anni ’70 e ’80. Ma quello che era importante per me, era il fatto che quella cartolina, vecchia di 40 anni, mi sembrava l’oggetto più adeguato per rappresentare il ponte immaginario che stavo cercando di costruire. “Azione per la libertà dell’arte” mi è sembrata la definizione migliore per descrivere Something Else, Biennale OFF del Cairo.

I cosiddetti anni di piombo, segnati da lotte e conquiste sociali, ma anche da numerosi attentati terroristici e dalla cosiddetta ‘strategia della tensione’ il cui obiettivo era quello di destabilizzare la situazione politica e l’opinione pubblica, presentano notevoli punti in comune con l’epoca attuale. Da questa e da altre riflessioni ispirate alla recente primavera araba e legate all’idea di rivolta – intesa però non nella sua accezione più comune di ‘ribellione’, ma considerata piuttosto in base ad altre sfumature di significato, come ad esempio: il capovolgere, il ribaltare, lo stravolgere, il nauseare, il cambiare – è nata l’idea di Liquid Lead Generation.

 

LA GENERAZIONE DEL PIOMBO LIQUIDO

Il mio progetto include i lavori di quattro artisti italiani, Adalberto Abbate, Paolo Cirio, Ludovica Gioscia e Carlo Zanni, tutti nati nel mezzo degli ‘anni di piombo’. Il titolo della mostra allude anche all’espressione ‘modernità liquida’ usata da Zygmunt Bauman per indicare la società contemporanea caratterizzata, secondo il sociologo polacco, da frammentarietà, precarietà, nomadismo e una libertà di espressione, cui fanno da contrappeso l’abbondanza di informazioni e le nuove strategie di controllo e sorveglianza. Proprio la gestione dei flussi di informazione, e quindi del sapere e della conoscenza, diventa oggi la nuova frontiera del potere a livello globale. La stessa ‘guerra’ che stiamo vivendo attualmente, si gioca per buona parte in rete e sui social-media, entra nelle nostre case e in alcuni casi avvelena le nostre relazioni.

Richiamando alla mente l’immagine del metallo delle pallottole che fonde, muta e si trasforma in messaggio, informazione o flusso di dati, il titolo della mostra si riferisce a quegli artisti che si trovano a metà tra queste due epoche, che corrispondono anche al periodo a cavallo tra il prima e il dopo-internet. Sebbene le loro pratiche divergano per aspetti estetico-formali e spesso anche per la scelta dei mezzi espressivi, gli artisti selezionati condividono l’interesse per le dinamiche del potere che si esprimono attraverso la strumentalizzazione del linguaggio e, in generale, la comunicazione. Che siano informazioni liberamente disponibili in rete, notizie trasmesse da famosi quotidiani internazionali, advertising di grandi marche, graffiti o scritte grossolane contro il sistema che appaiono sui muri della città, per questi artisti i messaggi sono oggetti di cui appropriarsi e di cui far uso in quanto strumenti di riflessione e di critica della stessa società che li ha generati. Il paradosso, l’ironia e la mimesi con la realtà al fine di evidenziarne le incongruenze sono i fondamenti del loro fare artistico. Come campo di indagine scelgono la società capitalistica globalizzata rappresentandone le contraddizioni e assumendo il ruolo di istigatori di dubbi, riflessioni e ripensamenti utili a possibili evoluzioni del libero pensiero.

Nella serie di manifesti in mostra a OFF Biennale Cairo, Adalberto Abbate attualizza un lavoro, già presentato al Centre Pompidou di Parigi, in cui recupera immagini di scontri nell’Italia degli anni ’70 e sostituisce gli elementi di offesa, come bastoni o altri oggetti contundenti nelle mani dei partecipanti alle manifestazioni, con mazzi di fiori. L’artista siciliano produce in questo modo un détournement dell’immagine – e della violenza in essa insita – trasformandola in una sorta di manifesto pubblicitario per la pace.

Anche per Ludovica Gioscia l’approccio all’immagine si compie attraverso la raccolta, la collezione e poi la rielaborazione in chiave ironica. L’enorme quantità di immagini che inondano la rete è impossibile da assimilare e ‘consumare’ nel senso che siamo stati abituati ad attribuire a questo termine. I milioni d’utenti che navigano ogni giorno, in ogni parte del globo, ingurgitano senza sosta nuovi input visivi che non potranno mai trattenere completamente. Come una giocosa risposta a questo stato bulimico dell’individuo contemporaneo perennemente on-line, ad OFF Biennale Cairo, Ludovica Gioscia presenta un’installazione site-specific composta da carte da parati che riproducono il Vomitorium Label, un marchio inventato dall’artista, che allude all’idea di un colorato rigurgito di immagini legate ai brands di alcune delle più grandi multinazionali che invadono il pianeta.

La rete e le sue potenzialità sono da sempre al centro della ricerca di Paolo Cirio. Il suo progetto Global Direct si fonda sull’utopia di poter riorganizzare l’idea di democrazia utilizzando il web e producendo una decentralizzazione globale del potere attraverso una ri-distribuzione della conoscenza. I diagrammi presentati sono organigrammi di nuove possibili configurazioni di organi politici e sociali e costituiscono la visualizzazione analogica di dati ricavati da una ricerca nata dall’analisi di fonti scientifiche e da conversazioni con vari professionisti del settore.

Infine, Liquid Lead Generation include anche la nuova versione dell’installazione web The Fifth Day di Carlo Zanni, presentata in anteprima per l’opening di OFF Biennale Cairo su concessione dell’Arts Santa Monica Centre de la Creativitat di Barcellona, dopo che l’istituzione spagnola ne ha supportato l’aggiornamento. Definito dall’artista ‘data cinema’, The Fifth Day, è un film generativo che espande il concetto di cinema attraverso l’uso della rete e i passaggi di informazione ad essa collegati. È costituito da una sequenza di fotogrammi scattati da Zanni durante un periodo di residenza in Egitto, alcuni anni fa, il cui susseguirsi si modifica in base a una serie di dati recuperabili in rete quali ad esempio: la percentuale dei seggi occupati dalle donne nel parlamento nazionale, le locandine dei film che appaiono sul sito della Apple, gli IP degli ultimi 13 utenti connessi (etc).

Il sovvertimento e la riorganizzazione del legame tra immagini, dati, informazioni, messaggi e significati è il filo conduttore che unisce i lavori presentati in mostra ed è parte fondamentale delle pratiche artistiche di questa generazione per cui la precarietà, lo sradicamento dal territorio di appartenenza e l’individualismo tipici dell’epoca contemporanea si accompagnano spesso alla nostalgia per momenti, luoghi e situazioni di aggregazione e di interscambio.

Naturalmente molti altri nomi avrebbero potuto essere inclusi in questa mostra. I tratti che accomunano le pratiche e le ricerche di questi quattro artisti sono infatti riscontrabili in molti altri della stessa generazione. Mi auguro che in futuro sia possibile approfondire il tema e possibilmente sviluppare una nuova tappa di questo progetto includendo tutti gli assenti. 

 

     

        Dall’alto

  1. Sol LeWitt “Azione per la libertà dell’arte” invito alla mostra personale presso Saman Gallery, Genova, 1975
  2. Sol LeWitt “Azione per la libertà dell’arte” invito alla mostra personale presso Saman Gallery, Genova, 1975
  1. Adalberto Abbate “The End” dalla serie Utopies (Centre Pompidou, Parigi, 2012) Intallazione mixed media. stampa digitale, secchi di vernice, fiori, Il Cairo 2015
  2. Paolo Cirio “Global Direct”, 2013. Courtesy of the artist
  3. Ludovica Gioscia “Vomitoria Label. Spring Summer 2016”, work in progress, Il Cairo, 2015
  4. Ludovica Gioscia “Vomitoria Label. Spring Summer 2016”, work in progress, Il Cairo, 2015
  5. Ludovica Gioscia “Vomitoria Label. Spring Summer 2016”, installazione site specific, Il Cairo, 2015 
  6. Carlo Zanni “The Fifth Day” Film generativo, 2009. Nuova versione aggiornata grazie al supporto dell’Arts Santa Monica Centre per la Creativitat di Barcellona. Installation view, Il Cairo, 2015