Sia chiaro: una nota turistica, niente di più. L’appunto appassionato del viaggiatore incuriosito. Il candido stupore di uno che ignorava uno stato di cose. Né più né meno di chi si sorprenda a rimuginare vedendo per la prima volta splendori ormai patrimonio dell’umanità; non diversamente dalla barzelletta su Pierino che piange per aver saputo a scuola che Napoleone è… morto.
Forse. Oppure no? La domanda è se – dando per scontato ciò che ho visto – si sia mai chiesto consiglio ad esperti di metodologia dell’insegnamento cubani per redigere le linee guida del Morattismo: alias l’impostazione neoliberista, privatista e aziendalista dell’insegnamento. Evidentemente no, altrimenti avremmo ben altre stelle fisse nel firmamento dell’educazione in Italia. E molti finiranno per dire: non serve andare a Cuba, bastava consultare qualche buon metodologo sotto casa. Certo, ma ero lì: questo c’era.
Insomma, all’interno del Museo della Rivoluzione all’Avana, in una saletta del tutto negletta – perché priva di foto, vessilli, pistole, cappellacci di Barbudos e radio sfasciate anni Cinquanta, che fanno molto folklore della Revolución – in una bacheca di questa saletta linda e pinta, immerso tra grafici e dati statistici e informativi ho trovato questo foglietto incollato su un cartoncino azzurro. È scritto al computer con ordine, ma con gli standard basilari di Word, ad esempio in carattere Times, eppure questa sua spartana materialità fa a pugni con la sua profonda saggezza metodologica, la povertà del suo editing copre a malapena la sua straripante ricchezza di idee. Niente di nuovo, per alcuni. Per altri, l’ignoto. Ecco in sostanza cosa c’è scritto:
Principi generali dell’educazione a Cuba:
1. Tutti i centri di insegnamento sono statali
2. L’educazione è gratuita
3. Coeducazione
4. Educazione di massa e permanente, con opportunità per tutti
5. Partecipazione di tutta la società alla funzione educativa
6. Educazione integrale, que coniuga la formazione ideologica, scientifica, tecnica, culturale e fisica
7. Vincolo della scuola con la pratica sociale, con la produzione e lo sviluppo economico e sociale del paese
8. Natura scientifica del lavoro educativo e della relazione insegnamento-apprendimento
9. Accesso dei lavoratori all’insegnamento medio e universitario
10. Orientamento vocazionale diretto ai rami fondamentali e necessari per lo sviluppo della nazione
Ho numerato i punti, che originalmente erano solo elencati, per notare alcune cose. Primo: che si tratta di un decalogo e che pertanto dobbiamo ritenere spostate in alto verso la visibilità nozioni, diciamo, di regime quali quelle incluse al punto 6. e potenzialmente esclude dalla visibilità elementi tecnici, pur salvandone alcuni decisamente fondamentali come ai punti 3. e 8. Fate voi se per favola popolare, per luogo comune o per esperienza, comunque tutti sanno che a Cuba le non pingui risorse statali – prima del progressivo desembargo, ancora tutto da finalizzare e da ricalcolare – vengono investite con priorità assoluta in due campi essenziali: la salute e l’educazione. Anche il più misero fra i guidatori di bici-taxi de l’Avana (oltre a saper leggere e scrivere) è in grado di prescrivere due ricette alternative per il trattamento dell’influenza utilizzando il nome chimico dei componenti, non diversamente da un qualunque medico di base nostrano: “Però per abbassare la febbre – mi fa – c’è solo il paracetamolo!” (il paracetamolo, e non la Tachipirina®, che è il prodotto commercializzato: mi spiego?). 
E ora due commenti volanti sul decalogo, così: tanto per il gusto di sapere che alcuni principi che da noi si stanno oggi ripudiando ipocritamente ed altri che zoppamente si stanno affermando, sono legge da quasi mezzo secolo in almeno un paese del mondo, ma certamente in molti altri ancora (notizie dal ministero dell’educazione canadese? quale il decalogo dell’educazione australiano?). E please, non si dica che ciò li rende obsoleti o passé.
Tutti i centri di insegnamento sono statali: propone la visione statalista dell’educazione, non ci piove; come non piove sulla necessità di modalità rigorose di reclutamento e di aggiornamento professionale sui quali il decalogo non ha molto spazio per ragionare (ma v. punto 8.). Però L’educazione è gratuita ci informa che la gente non deve impegnare gli ori di famiglia per iscriversi al costosissimo asilo/scuola/liceo privato – poco conta se gestito da un cognato del capo-scout del figlio del Sottosegretario – e da cui tutti dicono escano solo buoni partiti (lo erano già in entrata, cara signora!).
Il principio della Coeducazione è insieme il più tecnico e il più commovente: evoca l’educazione tra pari (si impara meglio se si ragiona tra simili che si aiutano a vicenda), la defocalizzazione (dimenticare di stare apprendendo), e principi di nebulizzazione dell’apprendimento tali da rendere ridicoli i presidi militarizzati del tutor e altre trovate che c’entrano con l’apprendimento in quanto prassi di vita, come c’entro io con la guerra in Iraq.
Se poi si parla di Educazione di massa e permanente, con opportunità per tutti immagino a nessuno venga in mente di pensare alla massa come a un’indistinta marmellata di cervellini vuotini e stoltini. Significa invece che la qualità dell’insegnamento deve essere alta per tutti senza sapere prima chi sei e se puoi permettertela. L’educazione permanente è il principio che informa anche il corollario del punto 10. Accesso dei lavoratori all’insegnamento medio e universitario. Chi lavora (chi?) non deve pensare solo a far quello: lo studio arricchisce il fare di nuovi modi, motivi, strategie. L’educazione permanente, quella che travalica i confini dell’età scolastica, è il principio grazie al quale in Italia esistono grandi, medi e piccoli istituti, privati of course, di incontrollata qualificazione scientifica, nei quali si parcheggiano ed intrattengono centinaia di migliaia tra pensionati di buona volontà e laureandi tardipari, tra universitari malindirizzati e fannulloni stipendiati dalle famiglie pur di togliersi di mezzo. Questa educazione è permanente come un edificio sorto su terreno non edificabile: connesso ai servizi, ma senza radici e fondamenta scientifiche. Non per caso al punto 8. il decalogo parla di Natura scientifica del lavoro educativo e della relazione insegnamento-apprendimento. Tanto per slegarle dal volontariato sottopagato, dal sospetto di inessenzialità e di parassitismo, dal precariato di lusso, ma soprattutto sciogliendo, e per sempre, l’insegnamento – e la pesante responsabilità del rapporto anche umano coi discenti – da qualunque forma di dilettantismo e di appiccicaticcia approssimazione metodologica.
E sta bene, ma Partecipazione di tutta la società alla funzione educativa che vuol dire? Mai sentito niente di così ridicolo, no? No? Eh no, cari! Se tutta la società in ogni sua funzione e strato è, come minimo, educata bene (che ovviamente non vuol dire tossire con la mano davanti alla bocca o dire “grazie!”), essa converge su chi apprende, cioè su se stessa, come in un gigantesco e multiforme abbraccio formativo e non vanificando ogni attesa del discente o contraddicendone gli orizzonti di comprensione (come quando docenti e libri descrivono mondi inesistenti). Dire poi che l’educazione debba essere integrale, e coniughi la formazione ideologica, scientifica, tecnica, culturale e fisica significa fuggire dallo specialismo precoce, dal ghetto tecnocratico che impedisce di cogliere la cultura e le culture diverse come un gigantesco reticolo di identità e d’influenze, come un fatto globale intessuto di complessità navigabili. Significa anche curare corpo e mente, vuol dire tramandare sia saperi che competenze. Equivale al rifiuto di costruire automi non raziocinanti, buoni solo a perseguire il budget trimestrale, ma inabili al dialogo: con tanti saluti alla democrazia.
Il punto 7. Vincolo della scuola con la pratica sociale, con la produzione e lo sviluppo economico e sociale del paese e il 10. Orientamento vocazionale diretto ai rami fondamentali e necessari per lo sviluppo della nazione portano un tono etico nella formazione dei giovani e nella responsabilità reciproca fra essi e il paese che fornisce loro educazione e motivi di crescita. Si rende disponibile la formazione secondo le vocazioni, le inclinazioni di ognuno, in quanto individuo – e qui l’enfasi nostrana sul primato del singolo ci starebbe tutta, ma non in un senso da supermercato del sapere, quanto secondo il principio della personalizzazione dell’educazione su base comune – tuttavia l’offerta formativa può essere orientata magneticamente sulle priorità di sviluppo nazionali. Il che significa intrecciare la crescita dei singoli con quella del paese impedendo, tanto per dire, la cosiddetta fuga dei cervelli. Non militarizzando la cultura, o commissariandola, ma coestendendo ricerca e formazione.
Ma forse era meglio che parlassi di Mojito, Cuba libre e Daiquirì? Ok! Allora, alla Bodeguita del Medio fanno così: si prende un ramoscello di hierba buena…