È in uscita, bilingue, il libro Piero Mottola. Passeggiate emozionali dal rumore alla musica relazionale, Maretti editore, a cura di Raffaele Gavarro, autore di un interessante saggio storico critico, e con una introduzione di Simonetta Lux, che segue da anni il lavoro dell’artista sin dalle origini, nella cerchia eventualista di Sergio Lombardo e della rivista internazionale di quest’ultimo “Rivista di psicologia dell’arte”, e poi anche attraverso mostre ed incontri con la scuola di Storia dell’arte della Sapienza Università di Roma/presso il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea.

Mottola è seguito fin nell’accostamento alla musica contemporanea, nelle sue esperienze con uno dei grandi maestri della neoavanguardia e tra i fondatori di Nuova Consonanza, recentemente scomparso, Mauro Bortolotti (1926-2007).

Simonetta Lux e Maretti editore ci concedono in anteprima il saggio della studiosa, la quale conclude così, nella attualità del dubbio e della incertezza della condizione umana contemporanea:

“Piero Mottola ha – nell’ultimo decennio – cercato l’uscita dal caos, attraverso un processo di riproducibilità di quelle individuali esperienze emozionali/percettive che ricondurrebbe ad unità l’arcipelago frammentario del sentire. Certo in quel patrimonio ventennale di ricerca, dagli anni ‘80 ai primi anni 2000, ha fissato e messo in tilt la sottomissione a canoni estetici facendoci intravedere una rigenerazione possibile attraverso le nostre stesse contraddizioni percettive e sotto l’egida della fedeltà al desiderio. Ma ora, con queste macchine ben temperate, gli Autocorrelatori acustico, cromatico e luminoso, la luce intravista sul fondo delle sue esperienze eventualiste sembra di nuovo incerta”.

 

Insieme a te

di Simonetta Lux

 

Nelle prime tre o quattro pagine del libro Passeggiate Emozionali dal rumore alle relazioni musicali, che è un testo insieme teorico, storico critico, autobiografico artistico, Piero Mottola anticipa, come il regista Alfred Hitchcock, tutto: l’origine, il percorso, il finale.

Nel clima della dissoluzione postmodernista del soggetto negli anni Ottanta, compie la scelta – egli dice “forse allora compiuta inconsapevolmente” – di uscire dall’idea del gioco proprio delle “libere, aperte e giocose interazioni delle strutture calamitate dell’arte programmata” e di fare dell’idea di “opera aperta” di Umberto Eco un’opera senza opera: il processo stesso di “apertura” e della “libera, infinita possibilità di interpretazione e ricreazione” sarà l’opera. Ma il finale vero cambierà, come vedremo. Il processo si richiuderà in una scatola magica, che includerà gli infiniti processi emotivi e percettivi attivati, li regolerà, li renderà riproducibili, affermando – credo – di nuovo inconsciamente, un principio di responsabilità come oggi più necessario – secondo l’artista – di quello di ludicità.

Il racconto iniziale, sul come “costruire una mostra con l’azione del pubblico: Miglioramento Peggioramento”, è l’ultima azione eventualista del periodo “visuale”, del 1988: dove l’opera viene fatta e rifatta dal pubblico e si può vivere come una narrazione “segnico-culturale rappresentativa dei parametri “Migliorare” e “Peggiorare”, come scrive l’autore stesso.

Un’opera che in verità, con l’uso del metodo Fred Attneave – generare molteplici forme senza senso a complessità crescente – è un riportarci in una specie di flusso dell’assurdo del nostro stesso esistere, della casualità con cui nasciamo precipitando nel mondo in un suo luogo e contesto qualsiasi.

Non senso, in un’onda continua della arbitrarietà del giudizio. Ma anche la libertà estrema della decisione.

La assoluta arbitrarietà del gesto che segue una decisione mentale di uno degli infiniti autori attori della scena eventualista, se cerchiamo un senso nella decisione e quindi nell’etica che ogni scelta comporta, si va a verificare in qualche modo nel cul de sac dell’osservazione comparata dei comportamenti dei diversi autori-campione:

“Un esiguo campione di persone – scrive l’artista – tra cui alcuni musicisti, sottoposti alla osservazione delle sequenze grafiche migliorate e peggiorate con i corrispondenti motivi sonori, hanno giudicato la sequenza peggiorata la più interessante”.

Insomma che la sequenza migliorata (il bello) risulti essere meno preferita di quella peggiorata (il brutto) induce a pensare alla alta tensione nel rilancio di posizioni contrastanti, non omologate. È come una ipotesi per l’uomo della possibilità di uscita dalla omologazione cui tutto il mondo è attualmente soggetto: infatti dalla scelta di colui che attiva il miglioramento secondo un concetto conformista di “bello” e che attiva quello di “peggioramento” con una azione di negazione violenta e acuta di quello stesso concetto, si balza alla scelta di piacere e di interesse inversa di quell’altro che valuta e gode dell’oggetto/immagine peggiorata e quindi brutta.

Il carattere autobiografico auto-teorico del libro di Mottola non ne inficia la oggettività, né ne cancella la componente soggettiva. Ed eventualisticamente lascerei al lettore la risposta al seguente interrogativo: chi è, che cosa vuole, da che cosa è ossessionato Piero Mottola? Quale è il nascosto messaggio, rispetto a ciò che egli esplicitamente dice di aver voluto fare?

Io sono sempre stata affascinata dal lavoro del creatore dell’Eventualismo, Sergio Lombardo prima, e di Piero Mottola poi. E non ho mai mancato di chiedermi e di chiedere loro: dove è il tuo segreto, che cosa ci nascondi?

Svelare, attivare il desiderare, questo è certo. In una area di inespressività, anche questa è l’unica possibilità che ci viene concessa.

Ma la risposta a quelle domande in verità dovrebbe essere, in egual misura: “nasconde tutto”, oppure ” non nasconde niente”. Infatti, il processo di preparazione degli elementi, è fondato sulla costruzione casuale di regole e sulla scelta di elementi che nulla hanno a che fare con la richiesta successiva di entrata in campo dell’altro autore, il pubblico (infatti i triangoli scelti non sono né belli né brutti in sé) ed è anche del tutto estraneo ad imputazioni emotive individuabili dell’autore stesso.

Potremmo dire dunque, nello stesso tempo, che non ci si nasconde niente (non c’è immagine strutturata né raccontata né di rappresentazione) oppure che ci si nasconde tutto (appunto tutto quello che un uomo, un amico, un artista può lasciarci conoscere, può raccontarci della sua vita esterna o lasciare intravedere quella interiore).

L’arte eventualista di Piero Mottola è un’arte di estraneità alla vita materiale, alla vita di tutti i giorni, ed è un’arte innamorata tuttavia della vita immateriale, dell’azione degli infiniti altri, di cui viene sollecitato un intervento creativo senza soggezione a superpoteri del gusto e dell’economia del significare.

L’arte degli infiniti autori dell’opera innescata eventualisticamente da Piero Mottola è tale processo inespressivo, senza “interesse”, e una processualità liberata che sfugge al mondo dei comportamenti comuni, condivisi coattamente.

Ma, e tuttavia, da quando Mottola si mette in campo per lavorare eventualisticamente con il suono – e lo fa riflettendo acutamente sulla esperienze di Fluxus – il rientro nella vita, vita comune, gesti di tutti i giorni, avviene.

Ma non essendo la sua una arte di fiction, né la ricreazione di una ficticious reality, gli attori della sua scena vengono trasportati in una specie di bolla spaziale (e non è casuale fin dagli inizi del libro la descrizione del Placentarium di Piero Manzoni): un luogo vuoto, dell’uomo solo con se stesso, che viene animato di volta in volta da suoni/rumori, abietti, naturali, animali, artificiali, dinamici, materici, etcetera catturati da Mottola nell’infinita Enciclopédie che l’attuale enorme sistema di raccolte sonore on line ci offre e che riconsegna a quell’uomo solo. E di tutte le persone di questi pubblici sui generis (in quanto pubblici che vengono convocati ancora una volta dentro l’opera, a realizzarla) Piero Mottola attiva la reazione della emozione, ne richiede testimonianza, anche attraverso una specie di translitterazione trans mediale, domandandone ad esempio l’equivalente cromatico.

Le sue opere, fondate sulla attivazione di una relazionalità provocata dell’altro con sé stesso, sono in realtà un lungo processo: ora progettuale, ora immateriale (specie di “macchine” o sistemi di stimoli emotivizzanti), ma anche a un certo punto materializzato in mappe, partiture, percorsi emozionali visualizzati.

L’uomo che ha vissuto un frammento di una sua esperienza, rinnovata con un ascolto e associata con un sentimento che poi finisce, esce sempre a un certo punto di scena.

Di qui nascono necessarie, alcuni “fissaggi” dell’artista, le materializzazioni visuali, poi le mappe, o con un controllo di percorsi visuali/auditivi (combinabili a scelta di un ulteriore pubblico) come il Modello di relazione acustico e cromatico a dieci emozioni (1999) o L’autocorrelatore acustico, cromatico e luminoso (creato tra il 2000 e il 2010).

Mottola ha dunque, nell’ultimo decennio, cercato l’uscita dal caos, attraverso un processo di riproducibilità di quelle individuali esperienze emozionali/percettive che ricondurrebbe ad unità l’arcipelago frammentario del sentire.

Certo in quel patrimonio ventennale di ricerca, dagli anni ‘80 ai primi anni 2000, ha fissato e messo in tilt la sottomissione a canoni estetici facendoci intravedere una rigenerazione possibile attraverso le nostre stesse contraddizioni percettive e sotto l’egida della fedeltà al desiderio.

Ma ora, con queste macchine ben temperate, gli Autocorrelatori acustico, cromatico e luminoso, la luce intravista sul fondo delle sue esperienze eventualiste sembra di nuovo incerta.

Incerta come la pratica dell’Avanguardia e delle Neoavanguardie Programmate e Fluxus, che però Piero Mottola illumina con flash critico/interpretativi di grande lucidità e valore. Nella cui culla è riuscito magistralmente ad animare e momentaneamente ad illuminare un pubblico praticamente ignoto: quello che entra in un processo estetico pensato come attivazione di eventi emozionali temporaneamente esplodenti, un pubblico di soggetti fluttuanti, sospesi nel vuoto di cui temporaneamente è rotto il silenzio, in un divenire a sussulti e ad arcipelago in una intravista dimensione di libertà.

Mottola sembra infine voler ricondurre tutto questo a una dimensione di segmenti di senso.

Che se non disperata, sarà almeno consapevolezza della nostra necessità di limiti, di percorsi, di leggi.

 

Dall’alto:

Piero Mottola, Improvvisazione emozionale su Cielo acustico, 2009. Fondazione Morra, Museo Hermann Nitsch, Napoli.

Piero Mottola, Stupore, 2009, passeggiata emozionale per un ambiente cromatico, Studio d’arte contemporanea Pino Casagrande, Roma.

Cover del libro di Piero Mottola Passeggiate emozionali. Dal rumore alla musica relazionale, Maretti editore.

Piero Mottola, Ritmo cromatico a 10 emozioni con 4 elementi irripetuti, 2002, collezione MLAC – Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Roma.

Piero Mottola, Modello di relazione a 10 emozioni, 2000.