Note:
(1) Marcel Mauss, «Sixième partie: Les techniques du corps», Les techniques du corps, Sociologie et anthropologie, Paris, PUF, 1950, p. 482, p. 365-386.
(2) Michel Foucault, Le souci de soi, Paris,Gallimard, 1984.
(3) Michel Foucault, 
L’Usage des plaisirs
Paris, Gallimard, 1984.
(4) Paul Schilder, L’image du corps. Etudes des 
forces constructives de la psyché
 (1938), Paris, Gallimard, 1968, p. 220.

(5) Il lavoro di Pascal Gautrand si arricchisce di vari mezzi espressivi: le creazioni di moda, 
con una linea di T-shirts 
per la marca belga Own 
o la realizzazione dei costumi per la messa in scena di Véronique Caye, ma anche grafica e illustrazioni per la linea dei profumi di Christian Dior
o le edizioni IFM/Regard.
(6) «A Roma, fai come i romani».
(7) Galleria Valentina Moncada, Via Margutta, 
54, 00187 Roma.www.valentina
moncada.com

(8) Si veda Henri Focillon, Eloge de la main, in
La vie des formes,
Presses Universitaires de France,
 coll. Quadrige, n° 6, Paris, 1996 [1939], 131 p. ; André Leroi-Gourhan,Le geste et la parole,Albin Michel, Paris, 1989; Jean Brun, La main et l’esprit, PUF, Paris, 1963. 

(9) Aristotele, Les parties des animaux, § 10, 687 b. Trad. J.-M. Leblond, Aubier, Paris, 1945. 
(10) Aristotele, Les parties des animaux, op. cit., § 10, 687 b. 

(11) Jean-Christophe Bailly, La main – 
Carnet de dessins, Bibliothèque de l’image,
 Paris, 2000, 93 p.

French version

Nell’ambito dell’evento Théâtre des expositions, che è tenuto a Villa Medici – Accademia di Francia a Roma, dal 26 maggio al 1 giugno 2010, la storica dell’arte Julia Hountou invita lo stilista Pascal Gautrand a presentare il suo lavoro. Nel testo critico redatto durante il suo soggiorno a Villa Medici (2009 – 2010), Julia Hountou introduce e puntualizza il percorso artistico del designer, indagandone il processo di creazione e di produzione e focalizzando in particolare l’attenzione sul concetto di “raccolta”. Durante il periodo di permanenza a Villa Medici in qualità di borsista, Pascal Gautrand ha raccolto da colleghi e amici e dal personale della Villa, gli indumenti che questi ultimi non indossano più. Questo lavoro di raccolta si protrarrà, per l’intera settimana di durata dell’evento, sotto forma di un workshop intitolato Mani d’opera / Mains d’œuvre, nel corso del quale lo stilista realizzerà una performance in situ, con l’obiettivo di mettere in luce gli stadi della fabbricazione.

Istantanee della vita artistica in Villa

Il mio percorso mi ha condotta a compiere incontri privilegiati con gli artisti della villa e a confrontarmi con le loro opere, dal momento dell’enunciazione di un’intenzione sino alla realizzazione artistica vera e propria. Da qui è nata l’idea di un progetto intessuto delle conversazioni avute con gli artisti visivi Caroline Duchatelet, Béatrice Cussol, Emilie di Nunzio Joly, Stephen Dean, con lo stilista Pascal Gautrand ed il performer culinario Emmanuel Giraud, tutti borsisti a Villa Medici tra il 2009 e il 2010. Tali scambi si sono rivelati estremamente fruttuosi, fornendomi l’occasione di indagare i processi attraverso i quali questi artefici contemporanei agiscono nel mondo in cui vivono, per poi ricostruire i loro percorsi e analizzare una fase particolare del loro itinerario artistico, quella del soggiorno a Roma. Queste conversazioni sono la testimonianza preziosa del dinamismo culturale dell’istituzione dell’Accademia di Francia, della sua vivace attività, animata da uno spirito di perpetuo rinnovamento che si afferma a seconda delle affinità elettive e delle energie convergenti. Frutto di questa piattaforma di scambi, di questo laboratorio e luogo di sperimentazione e riflessione, volto a favorire ricerca e creazione, tali conversazioni confermano quanto questo luogo costituisca uno spazio di lavoro aperto alle esplorazioni contemporanee, un crogiolo di realizzazione e approfondimento.
L’arte è un processo permanente, così la struttura che l’accoglie deve anch’essa rispondere a questo stato di veglia, di ascolto ed adattamento costante. È questa la logica alla base del «Théâtre des expositions». Questa iniziativa ha suscitato il mio entusiasmo: il desiderio di puntualizzare i lavori dei borsisti nel contesto della Villa e di evidenziare le possibili interazioni tra essi, rifletteva in modo evidente il ruolo catalizzatore di questa istituzione nonché il suo impatto sul fenomeno creativo. Giunta al termine del mio anno a Villa Medici, non potevo che assecondare questa intuizione. Lo scambio con gli artisti visivi attraverso le conversazioni intrattenute con loro, è stato una delle mie principali (pre)occupazioni; e proprio l’interazione ha costituito il perno del mio modus operandi, che si è posto perfettamente in linea con l’articolazione del progetto.
Essendomi stata concessa «carta bianca», ho scelto di presentare il lavoro dello stilista Pascal Gautrand, che ha condotto una riflessione sul processo di creazione e produzione (come rappresentare l’atto del lavorare? come rendere visibilità ai processi di fabbricazione?), ed il cui originale approccio celebra proprio l’interattività dando spazio alla singolarità della Villa.

Dell’importanza dell’abito

All’origine è l’abito, al quale Pascal Gautrand attribuisce, non a caso, una posizione centrale nel suo lavoro. L’abito è il mezzo attraverso cui il corpo può essere avvicinato. Più di una semplice superficialità senza conseguenze, l’abbigliamento si inscrive all’interno di un ampio gioco simbolico ed esprime un modo di essere in relazione con l’altro, lo «stare in società». La valorizzazione del corpo fonda il corpo sociale. Si può a tal proposito richiamare l’importanza tributata a questo concetto nell’opera fondamentale di Marcel Mauss dove, definendo la «nozione di tecnica del corpo» (1), l’autore stabilisce una correlazione tra la società ed il modo in cui gli uomini sanno «servirsi del loro corpo».
Più di recente riviene all’argomento Michel Foucault, che insiste sull’importanza allo stesso tempo della «cura di sé» (2) e della «pratica dei piaceri» (3). Tanto per l’etnologo quanto per il filosofo la cultura, ciò che fonda le relazioni umane è inesplicabile senza la comprensione del corpo. Entrambi mostrano che non può esserci «corpo sociale» se ci si astrae dal corpo individuale. Paul Schilder sottolinea ugualmente il carattere sociale, sessuale e posturale dell’abito: «Da che noi indossiamo un abito qualunque, esso si integra immediatamente con l’immagine del corpo e si riempie di libido narcisistica. Nella misura in cui gli abiti fanno parte dello schema corporeo, diventano essi stessi altrettanto significativi che le altre parti del corpo e possono avere gli stessi significati simbolici» (4).
La performance di Pascal Gautrand mira ad evocare, in maniera inventiva, e personale, le fasi della fabbricazione. Gli abiti raccolti sono tutti ritagliati in quadrati ed assemblati al fine di realizzare un immenso patchwork che compone nell’insieme il mosaico delle “identità medicee”, una sorta di ritratto metaforico di tutte le persone che hanno contribuito alla raccolta.

Il gusto della raccolta

L’approccio creativo di riassemblaggio costituisce la “spina dorsale” del lavoro di Pascal Gautrand. Dal 1998, il suo progetto di abito confezionato con tessuti di scarto conduce alla realizzazione di 13 dresses, una serie di tredici vestiti declinati sull’archetipo de «la petite robe noire», realizzata controincollando stoffe di diversi vestiti. L’artista gioca con la catena produttiva al fine di reinventarne le fasi. Avendo a cuore di conciliare l’aspetto personale, affettivo legato all’appropriazione dell’abito, e l’anonimato tipico della filiera produttiva, egli trasforma degli abiti che hanno già una storia per crearne di nuovi.
Nella realizzazione dei suoi progetti, che mescolano fotografia, video e creazioni di moda (5), Pascal Gautrand sviluppa una riflessione sul sistema della moda. Accordando ai processi di fabbricazione almeno la stessa importanza che all’oggetto finito che ne risulta, lavora sulla produzione in serie di pezzi unici. Il suo approccio si apparenta a un gioco creativo sull’universo della moda, che permette di proporre risultati differenti, ovvero un’alternativa al sistema attuale: dietro la sua attrazione per l’abito, si stagliano altri temi che ruotano attorno all’identità, all’individualità e all’appartenenza al gruppo, e sottendono la maggior parte dei suoi progetti relativi al processo produttivo. L’idea del pezzo unico prodotto in serie allude al tempo stesso all’appartenenza al gruppo e alla propria individualità, secondo un compromesso tra l’unico e il multiplo. D’altronde, la moda mette avanti la personalità, il gusto, le scelte di uno stilista: la creazione passa per l’esacerbazione della personalità del couturier.
Ora, «se siamo tutti diversi, perché dovremmo indossare degli abiti disegnati da una sola persona?», si chiede Pascal Gautrand. È per questo che egli intende ripensare il ruolo del designer, non più quindi l’imposizione dell’estetica di un oggetto destinato ad essere riprodotto, quanto piuttosto l’invenzione di un sistema produttivo, di una regola del gioco per cui pezzi differenti possano nascere dal medesimo processo produttivo. Nel 1998-1999 l’artista realizza Serial T-Shirts, una serie di cinquecento e ottantotto pezzi unici ricreati a partire dalla raccolta di tee-shirts vintage effettuata attraverso annunci comparsi sui giornali, su Internet e presso l’École Supérieure des Arts Appliqués et du Textile di Roubaix. Alcune delle T-shirts sono state ritinte o sovrastampate in modo leggero: ognuno può apporre il colore desiderato nel punto desiderato, esattamente come il creatore che si fa carico di una scelta. Quindi ogni pezzo viene sistematicamente tagliato in due al fine di costituire due pile differenti, ciascuna con le metà sinistra e destra della T-shirts; poi due parti scelte a caso sono ricucite insieme. Ogni nuova creazione viene numerata. Ciascun partecipante alla catena di fabbricazione, attraverso il suo gusto personale, dà il suo piccolo apporto al processo creativo. Alla fine questo processo corrisponde all’addizione di opzioni individuali piuttosto che al confronto di scelte diverse in vista di un risultato predefinito. Alla considerazione dell’individualità si unisce la pratica di mescolare una materia prima eterogenea e di trasformarla, ottenendo un risultato esso stesso composito. Pascal Gautrand realizza delle performances in pubblico e filma la trasformazione delle T-shirts. Nel salone Casabo dell’Espace Pierre Cardin a Parigi, Pascal presenta in un video questa concatenazione di azioni, accanto ad un’istallazione delle magliette, che vengono ridistribuite gratuitamente al pubblico. Questo approccio puramente sperimentale, realizzato nella cornice scolastica, non risponde a criteri di commercializzazione: gran parte dei pezzi è immettibile giacché una T-shirt minuscola può essere stata assemblata ad una maglia di taglia più grande, con il risultato di ottenere dei pezzi difformi o con tre maniche.
Con il suo progetto Label XVI, realizzato tra il 2001 e il 2003, Pascal Gautrand adegua le sue creazioni alle logiche di mercato producendo più di duemila pezzi unici commercializzati a Parigi (Maria Luisa, Kokon To Zai, la Samaritaine, Le Bon Marché) e in Asia (Seibu, D-mop). Conformemente al principio del riciclaggio, il designer recupera dai robivecchi di Mazamet, sua città natale, delle camicie da uomo e delle T-shirts per ritagliarle e farne dei nuovi modelli. Egli ripropone il motivo trasformazionale, sempre giocando con la catena produttiva, e mescolando tessuti nuovi a pezzi di abiti usati. In particolare suggerisce di tagliare una T-shirt stampata nel senso della larghezza e di far ruotare base e altezza di un quarto prima di procedere al riassemblaggio. Queste operazioni consentono a un oggetto, ormai obsoleto e desueto, di ritornare in circolazione grazie al cambiamento del suo statuto. I prodotti così creati si reinseriscono in un sistema mondiale e beneficiano di una distribuzione in Asia, Italia e Francia: una tee-shirt da rocker si muta in pezzo unico, venduta nelle boutiques di moda giapponesi di grido.
Queste problematiche perdurano nel progetto romano di Pascal Gautrand realizzato nel 2009, durante l’anno trascorso come pensionnaire a Villa Medici. L’artista ha chiesto a trenta sarti locali di realizzare la «copia» di una camicia da uomo a righe marcata Zara, distribuita in migliaia di esemplari in tutto il mondo. Le trenta riproduzioni dell’archetipo dell’abito di massa prodotto industrialmente diventano infine modelli originali dal momento che, pur rassomigliandosi tutte, ciascuna possiede la sua particolarità, la sua identità: quella dell’atelier del sarto che l’ha confezionata, secondo propri criteri. Il creatore vuole così affermare la diversità nell’unicità. Questa collaborazione trova compimento nell’esposizione When in Rome, do as Romans do (6), tenuta presso la galleria di Valentina Moncada (7) dal 1 al 20 febbraio del 2009, dove Pascal presenta un’istallazione con trenta camicie confezionate su misura, e un video della durata di quindici minuti, in cui alcuni uomini raccontano della loro personale esperienza con questo indumento. Il designer intende esaltare quei valori del sistema della moda che normalmente risultano meno evidenti, essendo la comunicazione di quel sistema basata soprattutto sul visibile, sul visuale, e mostrare fino a che punto possa variare l’interpretazione di uno stesso indumento data da trenta persone diverse sulla base della medesima iniziale richiesta.

La mano. Primo utensile

Questa performance rimanda al concetto di Work in progress, di processo creativo in corso di svolgimento ed elaborazione. Questo approccio permette a Pascal Gautrand di mettere l’accento sul cammino che conduce all’opera, che non costituisce più il termine ultimo ma risiede all’interno dello stesso processo di cui fanno parte i mezzi, le approssimazioni, i pentimenti, le incertezze antecedenti il compimento di un percorso.
Come per sottolineare il carattere al tempo stesso universale e identitario, ma anche manuale di questa operazione, lo stendardo “pixellizzato” gigante nato dall’atto performativo porta ad una nuova iconografia della mano come luogo dell’umanità, scena della persona intima, simbolo dell’energia vitale e creatrice grazie alla quale gli uomini lasciano una traccia.
L’intervento delle mani è qui primordiale. Il patchwork permette di unire vista e tatto. Il designer rifiuta infatti il predominio dell’occhio sul tatto dal momento che le mani e gli occhi sono ugualmente legati alla conoscenza e alla scoperta.
Attraverso le mani, compagne infaticabili, l’uomo prende contatto con il mondo concreto che lo circonda, e ne fa esperienza. Esperte analiste, le mani completano attraverso il tocco la percezione delle apparenze, si fanno organi di conoscenza per tutti gli individui, e più ancora per l’artista. Gioiello fra gli strumenti donati all’essere umano dalla natura, organo e utensile al tempo stesso, la mano rimane autonoma, non è asservita ad alcuna funzione specifica ma servire a tutto. È per questo che essa ha suscitato la formulazione di elogi da che Aristotele ne intravvide un utensile polifunzionale al servizio dell’intelligenza umana (8). Il filosofo metteva in evidenza come la tecnica sia debitrice all’esistenza della mano. Infatti quella «sembra incarnare non uno solo ma molteplici utensili. Poiché essa è per così dire un utensile che tiene il posto degli altri…» (9). Grazie alla libertà della sua destra polivalente, l’uomo è sempre riuscito ad adattarsi alle circostanze «poiché [essa] diviene artiglio, serra, corno o lancia o spada, o tutt’altra arma o utensile. Essa può essere tutto perché è capace di sapere tutto e di tenere tutto» (10).
Ugualmente, i grandi artisti hanno sempre prestato una grande attenzione allo studio delle mani. Le mostrano in tutta la diversità delle emozioni, dei tipi, delle età, delle condizioni. Innumerevoli schizzi figurano tra le loro raccolte di disegni, da Pisanello a Dürer, da Leonardo a Raffaello, Michelangelo sino ai pittori figurativi o semifigurativi del nostro secolo. Le mani sono al centro dell’arte occidentale. «Musiciste, delicate, allegre, all’erta o al contrario violente, nervose, tragiche, le mani della pittura – e i disegni sono là per raccontarcelo – non sono mai dei semplici dettagli, ma sono il nodo su cui si verifica e rilancia l’energia del quadro»(11).
Lo stilista accorda così una attenzione particolare all’azione delle mani, che è all’origine di ogni creazione. Egli, forse più di chiunque, ne coglie la possente virtù, e si esprime attraverso di esse. La mano, nel vocabolario dell’alta sartoria, non qualifica forse metaforicamente la maniera in cui un lavoro è compiuto, la competenza, il talento? Non si impiegano forse le espressioni «prime mani» e «piccole mani» per designare alcune categorie di impiegati degli ateliers dove si confezionano gli abiti? Non ha un’abile sarta «delle mani di fata»? Attraverso questo insieme di risonanze, Pascal Gautrand richiama i legami profondi che uniscono senso proprio e figurato.

Produrre in serie dei pezzi unici, inventare un sistema di nuove regole del gioco permette di appropriarsi della produzione e di eludere la ripetizione e la duplicazione caratteristiche della catena produttiva. Attraverso il suo approccio, Pascal Gautrand conduce una riflessione sulla progettazione e sul modo in cui si può ridare valore, in modo creativo, al sistema produttivo.

Julia Hountou, Villa Medici – Accademia di Francia, Roma, marzo 2010.
L’autrice è Storica dell’arte / Borsista presso l’Accademia di Francia a Roma

Julia Hountou (storica dell’arte) invita Pascal Gautrand (stilista) a realizzare il workshop Mani d’opera / mains d’œuvre, Villa Medici – Accademia di Francia a Roma, dal 26 maggio al 1 giugno 2010.
Dell’importanza dell’abito / Il gusto della raccolta / La mano. Primo utensile
Photo: Julia Hountou