L’ARTE PUO’ ESSERE ANCHE BRUTTA?

Introduzione di Luisa Galdo all’intervista video a Simonetta Lux della puntata del programma “Lo stato dell’arte” di rai 5.

“Lo stato dell’arte”, il nuovo programma di Rai Cultura in onda su RAI 5, si occupa di grandi e piccoli temi dell’attualità. Nel format è previsto il confronto tra due grandi della cultura italiana. A condurre e curare il programma c’è il filosofo Maurizio Ferraris che in questa puntata si interroga sul concetto di Bello e Brutto dell’arte contemporanea, e sull’esistenza di istituzioni che si occupano del “peggio dell’arte” come il MOBA (Museum of Bad Art di Boston).  Vengono intervistati l’artista Ugo Nespolo e la critica e storica dell’arte contemporanea Simonetta Lux.

Ferraris introduce la puntata tracciando l’evoluzione del concetto di bello nell’arte, di come in origine si desse per scontato che l’arte fosse bella mentre solo nel settecento si comincia a fare una distinzione tra l’arte artigianale, fabbrica in casa e fine a se stessa, e le Belle arti, pittura, scultura, architettura, ecc. Nel novecento il concetto di bello si evolve ancora di più perché dall’artigianato si passa all’artista che può scegliere di esporre un’opera già fatta, un ready made, senza dare per scontato che questa sia bella. Ma se il nostro desiderio di bellezza si manifesta ancora oggi e possiamo trovarlo anche nel design, moda, eccetera, la domanda che si pone Ferraris è: L’arte può essere anche brutta?

Dopo aver introdotto la personale concezione, idea, di bello e brutto nell’arte i due interlocutori, Ugo Nespolo e Simonetta Lux, si trovano a confronto.

Mi è parso che ci sia stato uno scambio di ruoli, cioè che a difendere la posizione dell’artista sia stato il critico, Simonetta Lux, mentre l’artista, Ugo Nespolo, si è come auto-censurato, mostrando un senso di insicurezza e di perdizione nel fare il proprio mestiere, e cioè l’artista, oggi.

Simonetta Lux, ha parlato a sostegno del ruolo dell’artista, dell’importanza di mantenere intatto lo spirito e l’idea di libertà d’azione, rispetto alle aspettative istituzionali / (il museo) ma anche rispetto alla scelta dei mezzi e dei modi di rappresentazione del mondo.

Questa posizione è sostenuta dalla Lux da sempre, cioè fin dalla fine degli anni ’60, quando ha vissuto l’illusione del ruolo dell’arte per un cambiamento politico, sociale e culturale.

Ricordiamo in oltre che Simonetta Lux è stata il primo storico dell’arte contemporanea a portare l’artista – vivo – nell’Università, La Sapienza di Roma, fondandovi il MLAC, Museo Laboratorio di Arte Contemporanea, creandovi uno scambio continuo creativo e di ricerca tra studenti, docenti ed artisti.

Nel suo recente libro/archivio/racconto storico dal titolo MLAC INDEX 2000-2012 (Gangemi EDITORE Roma 2012) Simonetta Lux ha narrato le radici di un’utopia progettuale nata nel 1986, cioè dell’idea laboratoriale di museo inteso come microterritorio relazionale, in anticipo sulla teoria estetica relazionale di Nicolas Bourriaud. Come il filosofo francese, ha capito le istanze della nuova generazione di artisti succeduta alla crisi del modernismo e dell’avanguardia.

Pubblichiamo gli appunti preparatori di Simonetta Lux per la puntata dedicata a “L’arte può essere anche brutta?”.

 

L’arte può anche essere brutta?

 Appunti di Simonetta Lux, in risposta ai 5 luoghi più comuni sull’arte contemporanea proposti dal programma di RAI 5 “LO STATO DELL’ARTE” diretto da Maurizio Ferraris.

1.RAI 5: A Boston esiste, dal 1993, il MOBA (Museum of Bad Arts), un museo di brutte arti che organizza mostre, conferenze, ed è presente su Facebook, sviluppando una idea semplice ma efficace: prendi un po’ di croste e le chiami con il loro nome. L’operazione non riesce sino in fondo, alcune opere non sono poi così male, e nel complesso si ha l’impressione che la percentuale di arte brutta non sia significativamente superiore a quella presente in molti musei di belle arti, antiche e moderne.

1. Risposte Simonetta Lux: MOBA, MOMA, MODA, MOAB

IL MOBA (fondato nel 1994 da un mercante di antichità Scott Wilson) per il ghiribizzo di avere un museo unico: se tutti i musei hanno il meglio dell’arte lui vuole creare il museo che colleziona il peggio dell’arte.

Per la sua missione, contrapporre il peggio dell’arte (MOBA) al meglio dell’arte (MOMA o MODA), il MOBA non sfida affatto le istituzioni analoghe: tutti luoghi dell’incontro con l’arte intesa come ’OGGETTO, tutti deputati all’accettazione o al rifiuto (MI PIACE/ NON MI PIACE), alla conseguente formulazione del giudizio BELLO/BRUTTO, BUONO/CATTIVO, REGRESSIVO/PROGRESSIVO, lo RICONOSCO/NON LO RICONOSCO, LO CONSERVO/LO BUTTO, fino alla finale decisione finanziaria, lo COMPRO/NON LO COMPRO. Tanto è vero che MOBA non è una sfida ma è –anzi- speculare alle istituzioni analoghe, nelle quali oggi vige la identificazione di valore dell’arte col valore finanziario; e che MOBA fallisce proprio in quanto il cosiddetto senso comune del brutto è acquisito ovunque (si pensi alle sfilate di MODA in cui si sono proposte mises di stracci e strappi, rincorrendo il trionfante senso comune del brutto giovanile, normalizzandolo).

Se ce ne fosse stato bisogno, MOBA ha determinato anche –sans le savoir– la prova del MOAB (Museum of Art Brut), cioè della scelta di Jean Dubuffet di proporre a modello- come opere d’arte- le opere brutte degli esclusi o rifiutati dal sistema ufficiale della cultura, cioè dei pazzi e dei bambini: la prova che quella di Dubuffet nel 1948 era una sfida mirata a contrastare l’idea di esclusione e concentrazione, ancora tagliente all’epoca della fine del nazismo e della scoperta dei loro campi di concentramento dei diversi, dei malati mentali, degli imperfetti, degli asociali, dei diversamente pensanti. Infatti in una inchiesta all’interno del pubblico del MOBA si è osservato che il rigido giudizio su ciò che non è conforme alla bellezza è collegato strettamente alla intolleranza per le imperfezioni fisiche della gente.

2. RAI 5: Ma quello che importa è che il MOBA ironizza su un dogma in cui il senso comune contemporaneo in materia d’arte tocca il massimo consenso. Cioè sulla tesi secondo cui la bellezza non è più l’obiettivo fondamentale di quelle che una volta si chiamavano “belle arti”, per distinguerle dalle arti utili.

2. Lux: OGGETTO SOGGETTO

Il senso comune (il costume di massa) è sempre legislatore, e ci azzecca: l’obiettivo dell’arte non è più quello della bellezza. Ma forse non lo è mai stato. Si può predicare bellezza e bruttezza di un oggetto, ma da tempo l’artista (forse a partire dal non finito di Michelangelo, inizio del discorso della modernità) si è preso il centro della scena dell’arte in quanto soggetto

 Si può predicare bello e brutto dell’artista?

Gli artisti hanno teso la corda intorno al collo sia dei competenti sia degli in competenti e si sono dichiarati artisti nell’esercizio del diritto universale del libero arbitrio: nella scelta del proprio campo di interesse nella scelta di mezzi, modi, forma, exhibition della loro arte.

Hanno dichiarato:

1863,” noi siamo i rifiutati”, vogliamo un Salon per noi, è concesso Il Salon des Refusés

1884, “noi siamo una Associazione di Artisti Indipendenti” indipendenti dal senso comune dell’Accademia e dai pattern vigenti per l’arte), vogliamo per noi il Salon des Indipendents

“noi siamo Il Cavaliere Azzurro dell’Arte “(Blaue Reiter) e coloriamo dei colori delle nostre associazioni emotive le forme imperfette della natura degli animali e delle cose, come fanno – liberi dai condizionamenti dei canoni ufficiali della bellezza-, i bambini e i malati mentali, che pubblichiamo nel nostro Almanacco

 “noi siamo i Futuristi! e proclamiamo un’altra bellezza, diversa da quella in vigore e circoscriviamo le nuove regole della creazione artistica”

“A noi artisti non interessa niente dell’arte, a noi interessa il mondo”, irrompe il grande artista di Forma1 Giulio Turcato, un po’ brillo, in uno dei dibattiti a metà degli sessanta, agli Incontri internazionali d’arte di Roma, dove si discuteva su che arte era quella che si stava facendo.

3 RAI 5: All’origine di tutto questo, sul piano dei costumi di massa, c’è ovviamente Duchamp: prendi un orinatoio, o uno scolabottiglie (curioso strumento, d’altra parte) o una ruota di bicicletta, lo esponi in un ambiente adatto (galleria, museo), gli dai un titolo e lo firmi, e lì realizzi la meravigliosa transustanziazione concettuale per cui un oggetto comune diventa un’opera d’arte.

3. Lux: LE DOGANE DELL’ARTE

R. Il processo che giustamente chiami di transustanziazione concettuale da oggetto comune a opera d’arte, non è stato così lineare (anche se oggi, nell’ambito del cosiddetto Sistema dell’Arte, sembra essere per lo più e troppo spesso così).

De-transustanziando, potremmo ricordare che l’orinatoio, nel 1917, col titolo “Fountain” e con la firma non sua ma di un certo R.Mutt, fu presentato da Marcel Duchamp stesso alla mostra (di cui egli era membro di giuria) del Gruppo di Artisti Indipendenti di New York di cui egli faceva parte e fu rifiutata (malgrado la sua difesa appassionata). L’opera sarà riconosciuta molto tardi, solo dopo una lunga trattativa culturale, dopo che Duchamp per lunghi anni dovette mantenersi come giocatore professionale di scacchi, dopo che il Sistema dell’arte ebbe acquisito come valore dell’arte il dominio dell’idea sulla materia e come valore l’invito permanente dell’artista a riflettere sul mode d’emploie/ sul modo d’uso di ciò che ci circonda, l’invito- in  questo caso particolare di Duchamp- a veder un articolo casuale della vita sotto un nuovo punto di vista e a pensare quest’oggetto diversamente.

Nel 1926 accadde di nuovo a Duchamp, alla dogana di New York, accompagnava l’amico Costantin Brancusi, per esporne le opere trasportate dalla Francia, in una Galleria newyorkese. Il doganiere rifiuta di accettare come opera d’arte la scultura “Uccello nello spazio” e chiede il pagamento di 240 dollari/ oggi 2400, negando l’esenzione prevista per le opere d’arte. Processo: le due parti (dogana e artista), assistite da avvocati, presentano i loro testimoni e i loro esperti. Sono artisti, mercanti d’arte, giornalisti e direttori di musei. La cosa interessante è che la vittoria della causa fu determinata non tanto (o non soltanto) dal fatto che i difensori fossero i personaggi deputati della scena dell’arte (che dimostrarono la caduta del criterio di verosimiglianza come attribuzione della qualifica di arte a un oggetto), ma piuttosto il fatto che un artista ne sia autore, che l’opera sia unica e che sia originale: criteri riferibili a un soggetto (l’artista, l’autore) e non- del tutto- a un oggetto.

4. RAI 5: Da questo punto di vista, schivare la bellezza è centrale, per evitare che qualche incompetente possa pensare che il miracolo dipenda dall’azione di proprietà estetiche, e non dall’invenzione concettuale.

4. Lux: VEDERE PENSARE

L’opera di Marcel Duchamp, per tornare al più efficace ed eclatante degli esempi, è indifferente dalla idea di bellezza e bruttezza, poiché l’orizzonte di Duchamp è altrove e vuole raggiungerci come pensanti e non come pubblico: ci provoca a pensare quell’oggetto (orinatoio) e quell’uso (orinare) in una prospettiva nuova, a uscire da ogni categoria, senza dirci come. E’ sufficiente una parola, un titolo “Fountain(Fontana)”?

Di tutta l’arte successiva e attuale, non bella, non utile, che non soddisfa le aspettative e che lavora su questo binario, si può dire per questo che è brutta?

Nei vari passaggi che conosciamo dell’opera di artisti degli ultimi trenta anni, potremmo osservare che il loro uso di mezzi, materie, di media tra i più avanzati o delle stesse tecniche tradizionali, insomma questo senso di possibilità infinite sia proprio ciò che ha dissolto definitivamente lo scopo unico della bellezza.

Potremmo, se vogliamo, chiamare “bellezza” questa potenzialità infinita dei mezzi dell’arte conquistata dall’artista.

 5. RAI 5: Ma se dal MOBA passiamo alla moda, nessuno si sentirebbe imbarazzato a dire che un abito è brutto, o bello, e d’altra parte non ci vuol molto per vedere quanto i giudizi estetici abbiano a che fare con una delle caratteristiche fondamentali dell’essere umano, il piacere e il dispiacere che viene provocato in noi dal semplice presentarsi sensibile di cose o di persone. Dunque, davvero dobbiamo rassegnarci al fatto che l’arte deve essere brutta e che la bellezza la dobbiamo trovare altrove?

5. Lux: AL DI LÀ DEL MUSEO, VISIBILE/INVISIBILE

Peccato che non si sia ancora realizzato il processo di transustanziazione del senso comune del bello in senso del bello dell’arte.

Il processo è in corso: come con un cannocchiale cosmico di ultima generazione, il processo può essere osservato e condiviso guardando nei territori extra-sistemici della pratica artistica e operando in microterritori relazionali dove avviene e dove può essere percepito/condiviso il via vai da oggetto a concetto. Da visibile a invisibile.

 

IPOTESI PER EXPLEE de “L’ARTE PUO ANCHE ESSERE BRUTTA”?

Lux

Pensa che l’oggetto materiale dell’arte, in quanto oggetto impenetrabile al pensiero, non possa oggi che essere dichiarata brutta nella percezione sensibile.

Da quando il soggetto (l’artista con il suo concetto di azione artistica) ha rubato il centro della scena all’oggetto (l’opera materiale), non si potrebbe più parlare di bellezza/bruttezza: si può predicare bello o brutto di una idea, ipotesi, azione, avanzate dal soggetto (l’artista) dell’epoca che chiamiamo moderna?

Lux pensa che i palcoscenici dell’arte – come le passerelle della MODA- (MOBA, il museo dell’arte più brutta; MOMA il museo delle opere d’arte più belle; e così via) mantengano tuttora l’obsoleto modello oggettuale di giudizio (le più brutte, le più belle), perché adeguato alla idea vigente di identificare il valore artistico col valore finanziario.

Giusto come sempre, il senso comune lo è anche nella convinzione che l’obiettivo dell’arte non è più quello della bellezza.

E se non lo fosse mai stato, si interroga Lux?

E comunque se non lo è più, quale è oggi l’obiettivo dell’artista?

Per oltre cent’anni, contrastando i doganieri dell’arte, gli artisti ci hanno convocato a una pratica di libertà creativa indicando la possibilità di ripensare, rovesciare e mutare il modo d’uso delle materie, delle tecniche, delle cose del mondo, e possibile farlo.

La percezione sensibile negativa dell’arte può trasformarsi in percezione mentale della bellezza invisibile delle potenzialità infinite dei mezzi indicata dall’artista, solo al di fuori delle persistenti vecchie concezioni museali del Sistema dell’arte, condividendo il processo immateriale dell’arte nei territori fuori-Sistema della pratica artistica, in microterritori relazionali dove avviene e dove può essere percepito/condiviso il via vai da oggetto a concetto.

 

 

 

Still da video del programma Rai 5: “LO STATO DELL’ARTE” di Maurizio Ferraris, registrata l’11 Febbraio 2016, in onda il 2 Marzo 2016.

1- Simonetta Lux, Ugo Nespolo dialogano con Maurizio Ferraris

2- Simonetta Lux

3- Ugo Nespolo e Simonetta Lux

 

LINK DELLA TRASMISSIONE:

http://www.rai5.rai.it/articoli-programma/lo-stato-dellarte-larte-pu%C3%B2-essere-anche-brutta/32441/default.aspx