Quando tra il 1911 e il 1912 Marcel Duchamp dipinse opere cubiste come Jeune homme triste dans un train o Nu descendent un escalier pensava probabilmente alle cronofotografie su lastra di Marey e quindi più che al cinema a quella formidabile e mai troppo celebrata stagione del pre-cinema, fatta di esseri umani e animali scomposti nelle varie fasi del loro moto. Il desiderio di rappresentare attraverso la pittura il cinetismo dell’esistenza, avrebbe poi condotto lui e tanti altri colleghi artisti dell’avanguardia a confrontarsi con la cinepresa. E tuttavia – a differenza dell’amico Man Ray e con il suo aiuto – negli anni ’20 Duchamp realizza solo un film divenuto però uno dei capisaldi del cinema puro o assoluto: Anemic cinéma. Dieci dischi con spirali, si alternano a nove dischi sui quali, sempre a spirale, sono trascritti jeux de mots; il gusto per l’omofonia – ricorrente nell’estetica duchampiana – è denunciato fin dal titolo: “anemic” è l’anagramma di “cinéma”.

Ciò che risalta nel film è il rapporto tra la serie degli oggetti (i dischi spiralici) e la serialità del dispositivo cinematografico, un’equivalenza data non tanto dall’inscrizione del singolo oggetto nel fotogramma, bensì dal fatto che i dischi – creati nel 1923 e quindi non appositamente per il film – sono diventati famosi grazie alla loro trascrizione su pellicola. Giustamente Rosalind Krauss parla di “film-quadro”, sottolineando quanto il movimento circolare e ipnotico del film produca una sensazione tattile e quasi sessuale: «Occhi e seni spinti in avanti che diventano il vuoto arretrante della cavità uterina». Robert Lebel si spinge oltre, scrivendo che Anémic Cinéma – firmato non a caso come Rrose Sélavy, alter-ego femmineo di Duchamp – inaugura il film pornografico inenstando il meccanismo del bricolage sessuale, senza l’intervento di figure umane ma quasi “astrattamente”, con la sola alternanza di movimenti avanti e indietro, suggeriti dalla rotazione delle spirali in rilievo.  L’erotismo è del resto un tema sotteso alla maggior parte delle opere di Duchamp. 

In realtà l’inventore del ready-made anche in precedenza aveva lavorato ad alcuni esperimenti filmici, fallendo però miseramente. Nel 1920 tentò addirittura di realizzare alcune immagini anaglifiche (una sorta di 3.D), riprendendo lo stesso oggetto (un globo con una spirale dipinta) da due diversi punti di vista e con due cinesprese sincronizzate, anche se in fase di sviluppo la pellicola andò distrutta. Lo stesso anno Duchamp costruì una macchina chiamata Rotative plaques verre, molto simile ad un’elica, con 5 lastre trasparenti rettangolari di varie misure, disposte su un’asta metallica a diversi livelli di profondità, sulle quali erano disegnati porzioni di un cerchio che – messe in movimento e viste frontalmente dallo spettatore – creavano l’effetto di una spirale. Nel 1925, dunque l’anno prima di Anémic Cinéma, Duchamp aveva creato invece un secondo dispositivo, la Rotative démi-sphère (Optique de prècision), composta da un treppiedi che sorreggeva un pannello circolare rotante e motorizzato, sul quale veniva inserito sottovetro un disco spiralico simile ai dischi ottici utilizzati per il film.

Potrebbe darsi che Duchamp abbia usato questa stessa macchina – senza il vetro evitando così fastidiosi riflessi – per le riprese di Anémic Cinéma, ma nei resoconti e nelle testimonianze si parla di un semplice grammofono o addirittura di una ruota di bicicletta:   l’idea che il dispositivo utilizzato fosse un oggetto simile al ready-made più celebre di Duchamp, la ruota di bicicletta montata su uno sgabello di legno (1913), è indubbiamente seducente. Ma la velocità regolare con cui nel film si assiste alla rotazione dei dischi, farebbe pensare ad un meccanismo motorizzato più che manuale, anche se il vero esprit dada si riflette in fondo proprio in questa ottica artigianale.

Riusciti o non portati a termine, i dispositivi e gli esperimenti cinetico-filmici di Duchamp, hanno in comune il motivo della spirale che, al di là dei significati alchemico-esoterici, richiama l’occhio, cioè lo stesso atto del vedere, ma soprattutto ben si presta a creare percettivamente un continuo passaggio dalla superficie piatta al rilievo, dal bidimensionale allo stereoscopico. L’esperienza di Anemic cinéma verrà replicata da Duchamp vent’anni dopo per l’episodio del film collettivo Dreams that Money Can Buy (1943-47) ideato e diretto dall’amico Hans Richter. Per l’occasione l’artista utilizza una nuova serie di dischi spiralici, nominati nel frattempo rotoréliefs, disegnati a metà degli anni ’30, potendo contare stavolta anche sul colore. John Cage è l’autore della musica dal sapore “orientale” che accompagna questa famosa sequenza, alternata tra l’altro a un’immagine ricorrente che rimanda esplicitamente al suo dipinto del 1912: una donna nuda scende le scale, scomposta da un obiettivo prismatico e in parte mascherata da un getto di antracite. Sicuramente queste spirali e quelle di Anemic cinéma avranno influenzato anni dopo Saul Bass per i titoli di Vertigo (1958) e John Whitney che quei credits contribuì a realizzarli e che usò il modulo spiralico per il suo Catalog (1961), primo film della storia realizzato al computer. Ma Duchamp collabora anche agli altri due film americani di Richter, ovvero 8×8: a chess sonata in movements (1957) e Dadascope (1961): il primo nasce proprio da una riflessione di Richter e Duchamp sul tema degli scacchi, mentre il secondo non è altro che la visualizzazione di una serie di poesie dadaiste (oggi parleremmo di “videopoesia”). Duchamp, in pratica, grazie all’amico Richter, mette in scena due sue grandi passioni ludico-estetiche, gli scacchi e i calambour, diventando anche attore, oltre trent’anni dopo la sequenza d’apertura di Entr’acte (1924), dove era sempre intento a giocare a scacchi sul tetto di un palazzo, insieme a Man Ray, prima di essere spazzato via da un violento getto d’acqua.

Nello stesso periodo in cui collabora a Dreams, Duchamp stringe amicizia con la cineasta sperimentale che più influenzerà la neoavanguardia filmica dei decenni successivi: Maya Deren. Con lei l’artista gira nel 1943 Witch’s Cradle (non è chiaro se come co-autore o semplice consulente) che resterà incompiuto: ancora una volta c’è di mezzo un oggetto che richiama un ready-made duchampiano, la corda, riferimento alla credenza secondo cui le streghe imparano a volare dopo una notte intera legate nude ad una sedia a dondolo. L’incontro tra un artista alchemico con una cineasta-coreografa esperta di vodoo e appassionata di occultismo, generano suggestivi frammenti di visioni chiaroscurali, pieni di simboli cabalistici e opere d’arte (siamo nella galleria della Guggenheim). Nel film vi compare ancora una volta Duchamp, ma non sarà neppure l’ultima sua comparsata: nel 1965 lo intravediamo in alcuni fugaci fotogrammi in bianco e nero de La verifica incerta che il suo amico Gianfranco Baruchello aveva realizzato insieme ad Alberto Grifi. Duchamp è un po’ il nume tutelare di questa operazione dada, il garante che appone il marchio di film-trouvé a questo assemblaggio di lungometraggi in cinemascope destinati al macero e rimontati in modo un po’ random e un po’ calcolato. E’ anche grazie a lui che il film viene poi presentato a Parigi e a New York entrando ufficialmente nella storia del cinema sperimentale. 

Forse Duchamp avrebbe potuto e voluto fare di più in campo cinematografico, ma dalle sue dichiarazioni non si evince molto sul suo rapporto con la settima arte. Sicuramente ha realizzato a suo modo film per interposta persona, quando è stato più o meno volontariamente citato; pensiamo – per fare due esempi italiani – al film Immagini travolte dalla ruota di Duchamp (1994) di Paolo Gioli e al ciclo di brevi video La ruota di Duchamp (2001) di Mario Sasso: in entrambi l’oggetto duchampiano per eccellenza – ancora lui! – diventa il dispositivo per la creazione di immagini o da cui partire per un viaggio attraverso la storia dell’arte contemporanea. E infine, l’ultima opera (postuma) dell’artista, Étant donnés – rappresentazione tridimensionale complessa e ricca di significati alchemici del cadavere di una donna stuprata, che lo spettatore è obbligato ad osservare dal buco di una porta – non è forse una sorta di esercistico voyeuristico che assomiglia alla visione proibita di un film o alla visione di un film proibito? 

 

Dall’alto:

1. Marcel Duchamp, Jeune Homme triste dans un train, 1911-1912, olio su tela montata su cartone,cm.100×73, Fondazione Peggy Guggenheim, Venezia

2- Marcel Duchamp, Nu descendent un  escalier N° 2, 1912, olio su tela, cm.146×86, Philadelphia Museum of Art, Collezione Luise e Walter Arensberg, Philadelphia

3,4,5. Marcel Duchamp, Anemic Cinéma still frames, 1926, film bianco e nero, muto, 7’, realizzato in collaborazione con Man Ray e Marc Allegret

http://www.alaintruong.com/archives/2010/02/10/16870028.html

su you tube, in movimento: https://youtu.be/6MpcOWSoFOc

6. Veduta della mostra „Le Mouvement“, Galerie Denise René, Parigi 1955, con le opera di Yaacov Agam, Alexander Calder, Marcel Duchamp (Rotative Démi-sphère (Optique de precision) et Jean Tinguely). Foto Galerie Denise René, Parigi

7. Marcel Duchamp, Rotoreliefs, (1920), Rirpoduzione del 1965 del set di sei dischi originari del 1920.

Erano stati dipinti e  prodotti in una serie di 500 e presentati a Parigi  al Concorso Lépine per inventori: collocati su piattaforma girevole di un grammofono alla dovuta velocità i rotoreliefs  bidimensionali danno l’illusione di profondità nel movimento. La  Guggenheim Library di New York possiede la rara serie originale.

8. Marcel Duchamp, still dal film Dreams That Money can buy, 1944-1947, 1:20:03 (film in sette episodi  diretto e prodotto da Hans Richter).

9. Marcel Duchamp con rotoreliefs e grammofono.

10. Marcel Duchamp, Rotative Démi-sphère (Optique de precision), 1925, semisfera in papier-maché montata su u8n disco ricoperto di velluto, bonnet di plexigas con manichetta in cuoio, motore, propulsion a disco e piede in metallo, cm. 148,6 x 64,2 x 60,9, Musuem of Moderna Art, New York. Don de Mrs. William Sisler et Edward James Fund, 1970 © 2010, Succession Marcel Duchamp / ProLitteris Zürich. DIGITAL IMAGE © 2010, The Museum of Modern Art, New York/Scala, Florence

 

L’episodio 4 dal titolo Discs fu diretto da Marcel Duchamp con musiche di John Cage.  Ad un gangster che vuole comprare un sogno che lo faccia vincere alle corse, Duchamp offre la visione dei suoi rotoreliefs in movimento che si sovrappongono sul corpo del suo antico quadro Nudo che scende le scale, in versione di discesa ancheggiante reale.