La Biennale internazionale di Merida Interactiva05, giunta quest’anno alla sua terza edizione, si è svolta dal 16 giugno al 30 luglio 2005 nelle tre gallerie del Centro Cultural Olimpo di Mérida (Yucatan, Messico). Concepita come “laboratorio sperimentale interdisciplinario”, l’Incontro/Biennale è stato diretto dall’artista cubano/statunitense/messicano Raul Moarquech Ferrera Balanquet ed è stato co-curato dall’artista iraniana/canadese Gita Hashemi e da Lucrezia Cippitelli.

Collegamenti in rete (in ordine di apparizione)
http://www.cartodigital.org/interactiva
http://www.subtle.net/empyre
http://www.navasse.net
http://www.netartreview.net
http://www.newmediafix.net/
http://www.guest-room.net
http://www.bulbo.tv
http://www.subculture.com
http://www.visiblecity.ca
http://www.fuss.ch
www.cyberfeminism.net
http://subversivepress.org/index.html

Che una biennale di arti digitali e nuovi media ospitata da Mérida, la città più india del Messico, periferia (rispetto alla gigantesca capitale del paese, Città del Messico, centro accentratore delle direttive politiche e culturali dello stato) nella periferia (il Messico stesso rispetto al sistema economico internazionale) e storicamente importante centro della cultura maya, si sia focalizzata sul tema delle culture artistiche delle regioni emergenti in un mondo globalizzato era un fatto inevitabile. Se poi si pensa che Interactiva è stata inventata, organizzata e sostenuta da un artista nato e scappato da Cuba, formatosi negli Stati Uniti e stabilitosi in Messico e che questa terza edizione è stata co-curata da un’artista iraniana che vive in Canada e da una curatrice italiana, ci si accorge che l’apertura alle tematiche post-coloniali e dell’identità delle culture occidentali e non occidentali era assolutamente necessaria. I primi e migliori auspici a conferma queste aspettative erano tangibili già durante il forum on-line organizzato nell’aprile 2005 da Empyre, la lista di discussione critica e teorica sulle pratiche artistiche contemporanee intitolatoBorder Crossings: Do conceptual art and curatorial practice merge in post digital cultural production? How are new media art, criticism and curatorialpractice a ‘transgressive’ ecology? Qui, la presentazione del progetto Interactiva si è trasformato in un primo approccio alle questioni di politica culturale e identità, che ha generato interessanti nodi concettuali, epsressione di diversi modelli ermeneutici sul tema dell’incontro tra locale e globale e sui concetti di resistenza, integrazione, dissenso, imperialismo, proposti da critici ed artisti che per ragioni biografiche fanno convivere in ambiti sociali e politici dislocati rispetto alla cultura di origine la propria identità di nascita con quella acquisita. Cito in particolare l’intervento di Raul Moarquech Ferrera Balanquet, le cui posizioni affermano la difesa della propria identità culturale “originaria” versus la colonizzazione e cannibalizzazione delle culture non occidentali operate dalle industrie culturali occidentali (che secondo Balanquet traggono linfa vitale dalle ex colonie senza citare le fonti). Nell’introduzione del catalogo della manifestazione, Balanquet propone un’interpretazione diresistenza all’imperialismo culturale come momento di costruzione di un futuro post-tecnologico in cui, prendendo spunto dall’idea di tempo ciclico maya secondo cui il futuro è qualcosa che vive alle nostre spalle ed emerge come memoria davanti a noi, l’uso delle tecnologie non sia un momento di fetish tecnologico importato dalla cultura mondiale dominante, ma uno strumento di interattività tra gruppi e individui che porti a una costruzione di spazi di pluralità di espressione sviluppato all’interno di un lungo iter evolutivo che abbiamo ereditato dai nostri avi che passa – per esempio – dalle conoscenze scientifiche, filosofiche e tecnologiche Maya.

In contrappunto con questa visione cosmogonica delle Nuove Tecnologie, vanno citati gli interventi di Heidi Figueroa Sarrier, Psicologo Sociale, professore presso l’Università di Porto Rico, specialista di Nuovi Media e direttore della rivista Teknocultura, e di Eduardo Navas, nato in Salvador e trapiantato negli Stati Uniti, artista, critico e professore presso La USDC di San Diego e la Otis School di Los Angeles e inventore della Net Art Review, entrambi più orientati a una posizione non oppositiva ma integrativa e che hanno contestato la nozione di futuro post-tecnologico proposta da Balanquet. El Dilemma Postcolonial de la integracion contra la oposicion non a caso era il titolo del lungo reportage che Eduardo Navas ha proposto ai lettori di Net Art Review come lettura dell’evento e personale soluzione all’annosa questione, secondo me non facilmente risolvibile con paradigmi filosofici, ma contestualizzabile all’interno della formazione individuale all’interno di un dato contesto sociale di appartenenza.

Questa introduzione alla Biennale Interactiva05 ha forse sviato leggermente l’attenzione dall’esperienza fisica dell’evento, quella delle esposizioni, delle rassegne di video e del ciclo di conferenze che ha animato per dieci giorni la città, ma ha certamente focalizzato il significato reale ed il vero interesse di questa esperienza, che nell’ambito delle grandi Biennali Internazionali è sicuramente definibile come periferica, ma ha avuto (ed ha tuttora dal momento che le relazioni costruite durante la biennale proseguono e si convertono in progetti di cooperazione internazionale) il grande merito di proporsi come laboratorio e spazio di ricerca sulle possibilità di indagine e di espressione offerte da un uso condiviso de cosciente delle nuove tecnologie. Uno spazio di ricerca che si propone quindi come punto di partenza per approfondimenti e discussioni e non solo come esposizione finalizzata a una comunicazione unidirezionale. Non è un caso quindi che i quindici giorni di inaugurazione della Biennale, che è stata accolta con grande attenzione e risalto dai media locali, si siano configurati come un continuum spazio-temporale di confronto e discussione che ha avuto luogo negli spazi predisposti e ufficiali – centri culturali, gallerie, università e scuole d’arte della città – e in spazi del tutto inattesi – librerie e caffé – dove il confronto serrato ha portato all’elaborazione di una proposta di futura esposizione laboratoriale e itinerante: Interactiva come portatrice di dibattiti (e quindi di dubbi più che di certezze) in diversi spazi di ricerca internazionali più che come mostra conclusa in sé stessa presentata Tutto questo va riconosciuto come merito della pratica curatoriale adottata da Raul Ferrera Balanquet, che ha avuto il grande merito di costruire una rete internazionale di artisti, critici, attivisti e curatori che hanno collaborato ognuno dal proprio paese – usando Internet – fino al giorno dell’inaugurazione della mostra, e che al momento dell’incontro fisico hanno collaborato alla costruzione di uno spazio di discussione, condivisione, analisi e ricerca che è andato ben oltre l’allestimento della mostra ed il ciclo di conferenze in cui sono stati presentati i differenti progetti partecipanti. Interactiva come T.A.Z. quindi, in cui il concetto stesso di interattività proposto nel nome della Biennale si presta a differenti interpretazioni e quindi alla presentazione di diverse pratiche. L’interattività è necessariamente generata da software che si incontrano nella Rete? O riguarda piuttosto l’interazione fisica e personale tra individui, spazi, contesti sociali? E l’uso della tecnologia è fine alla fruizione nel web o a pratiche di interazione sociale? Ospiti della Biennale sono stati infatti artisti, critici, scrittori, attivisti, ricercatori che hanno potuto esprimere e condividere la propria idea di interattività. Ecco perché a fianco di progetti di Net Art visitabili da una postazione approntata in una delle gallerie (tra queste il progetto Goobalization di Eduardo Navas), è stato possibile incontrare progetti editoriali (Bulbo Tv di Tijuana, GuestRoom di Londra, A:Minima di Madrid), progetti di cooperazione e sviluppo locali (è il caso del progetto Tecnologias de la comunicacion en la educacion rural de Yucatan di Amelia Fafan Gongora, che propone l’uso delle nuove tecnologie in spazi di sottosviluppo economico come momento di recupero della tradizione culturale – e in particolare linguistica – locale ), progetti di ricerca internazionali (come quello sostenuto da Susan Lord e Janine Marchessault, professoresse della Queens University di Montreal,Conectividades translocales y las practicas de los nuevos ciudadanos ), performances pubbliche (come quella a sfondo politico proposto dal collettivo cileno/statunitense Subrosa), poesia visuale, performance audio-video (il duo cubano/statunitense Mr. Tamale, i collettivi italiani Otolab e Ogi:no Knauss), costruzione di ambienti sonori, rassegne di video indipendenti internazionali, libri (è il caso dell’interessantissimo libro sulla performance femminista nel Messico degli Anni Settanta, Rosa Chillante Mujeres y performance en México , dell’artista e performer di Città del Messico Monica Mayer e del saggio sulle narrative interattive Tempus Fugit della critica catalana Raquel Herrera Ferrer), collettivi di attivisti (è questo infine il caso di Subversive Press , il progetto di attivismo politico e sociale proposto da Gita Hashemi, co-curatrice della Biennale e artista di origine iraniana che usa i nuovi media, che nell’ambito della sua visione di attivista ha proposto un’interessante proposta di Narrativa della marginalità e di Network as interstits che si configurino come spazi di auto-rappresentazione non del mainstream del sistema dell’arte contemporanea internazionale ma nel sociale).


Dall’alto:
Interactiva, L’atrio del Centro Cultural Olimpo, Merida

Stills da un video del collettivo di attivisti di Tijuana Bulbo TV

L’installazione di Guestroom

Los Cybrids, La raza Techno-Critica, 2005

Un particolare dell’installazione Locating Afghanistandel collettivo Subversive Press

Una delle sale espositive di Interactiva05

La Performance sociale del collettivo femminista Subrosa