1. Marta Pettinau, Il futuro dopo Gezi Park, “Art Tribune”, A.VI, n.29, gennaio-febbraio 2016. Anche se quel che sembrava non si è del tutto raggiunto (cfr. http://archivio.internazionale.it/news/turchia/

2013/07/03/tribunale-annulla-progetto-urbano-che-scateno-proteste; più in generale https://it.wikipedia.org/wiki/Proteste_in_

Turchia_del_2013, e http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01/15/

turchia-arrestati-12-docenti-universitari-per-terrorismo-avevano-firmato-un-appello-di-pace-per-i-curdi/2377162/ )

2. ISTANBUL PASSION JOY FURY, a cura di Hou Hanru, Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli, Quodlibet, 2016. MAXXI, 11 dicembre 2015- 30 aprile 2016, Via Guido Reni, Roma, www.fondazionemaxxi,it

3.  10° Istanbul Biennial, http://bienal.iksv.org/en/archive/

biennialarchive/198

4. Art and the City – interview with Hou Hanru; 10th Istanbul Biennial, 2007, https://vimeo.com/91979218

5. Cfr.http://www.rainew.it/dl/rainews/

articvoli/Turchia-al-bivio-tra-curdi-e-Isis-Comunitarismo-e-democrazia-nella-nuova-stagione-del-movimento-curdo, Articolo di Martino Senega e intervista a Antonio Ferrari, 13 ottobre 2015: vengono poste tutte le questioni che precedono la rielezione di Erdogan anticipando i termini dell’attuale dibattito seguito all’accordo tra EU e Turchia sugli immigrati. Oggi Alberto Negri, “Il Sole 24ore”,20 marzo 2016

6. Si tratta di 3 incontri dal titolo:” ISTANBUL: UN LABORATORIO PER IL PRESENTE”. Il 1 aprile 2016: “La nuova Istanbul tra neoliberismo e processi di gentrificazione”; il 29 aprile:” Le sfide economiche della Turchia”.             

7. Sükran Moral (Terme), vive tra Istanbul (dove insegna e ha insegnato) e Roma.

Non teneri i suoi rapporti con il regime attuale (si ricorda la sua difesa da parte del curatore del nuovo Museo dell’Università, di fronte a obiezioni del Presidente Erdogan), con i benpensanti d’alto bordo del suo paese, acclamata in Germania, Inghilterra, New York, insomma dovunque sia stata invitata ad esporre. La mostra Amemus è stata occasione di minacce e anche della strenua difesa dei suoi allievi e della stampa internazionale, mentre sue opere e installazioni esposte nella mostra del 2003 Apocalypse (e riprodotte nell’omonimo libro) hanno fatto scuola, talvolta riprese in forma normalizzata e accattivante da artisti italiani, francesi, turchi, inglesi. Non ci meravigliamo della ferma difesa che Sükran fa del suo paese, che ama moltissimo, malgrado il suo vivere quando è ad Istanbul nella paura): “She says –riporta il suo intervistatore il 27 novembre 2009 su “Der Spiegel” in occasione della mostra a Berlino Istanbul Next Wave that many outside of Turkey are unaware of the broad support for democracy and civil liberties in the country. She also says that issues related to violence against women, partly thanks to contemporary art, play an increasing role in the Turkish media”. http://www.spiegel.de/international/

zeitgeist/shocking-turkey-suekran-moral-tests-the-boundaries-of-contemporary-art-a-662880.html

8. Marco Ansaldo, (“la Repubblica”, 27 febbraio 2016 “La mia prigionia ha fatto conoscere al mondo la Turchia della censura”).

9. “Internazionale”, 27 novembre 2015, arresto di Can Dündar. Ci ricorda già allora “Internazionale:

” Nel 2015 Reporters sans Frontières ha classificato la Turchia al 149° posto nella classifica della libertà di stampa in 180 paesi. L’organizzazione ha denunciato un “pericoloso aumento della censura” nel paese. Tutte le tematiche che stiamo oggi discutendo, a proposito dell’accordo tra UE e Turchia- paese nel quale vengono spostate per così dire le frontiere dell’UE- sono poste in campo. Tutte le Associazioni internazionali che si occupano della difesa della democrazia e deli diritti fondamentali di noi umani, minacciati in gran parte del mondo, si interrogano sulla idoneità della Turchia e fare il lavoro sporco contro i migranti, lavoro di respingimento tra l’altro proibito dalle leggi fondative della UE.

 http://www.internazionale.it/notizie/

2015/11/27/turchia-cumhuriyet-can-dundar

 10. La nuova rabbia di  Tayyip Erdoganè determinata dal rifiuto dei consoli e ambasciatori di tutto il mondo a lasciare l’aula del processo intentato ai giornalisti per “spionaggio”. La seconda udienza del processo è a porte chiuse, tra le proteste internazionali. http://video.corriere.it/turchia-seconda-udienza-processo-giornalisti-cumhuriyet/11de6cce-f7e6-11e5-b848-7bd2f7c41e07; http://www.articolo21.org/2016/04/processo-a-porte-chiuse-per-i-giornalisti-di-cumhuriyet-rischio-condanna-a-ergastolo/. Viene pubblicata, sempre su “articolo 21”, la  Lettera all’Ambasciatore della Turchia,  Ambasciatore Aydın Adnan SEZGIN:  Basta persecuzioni al giornalista turco Can Dündar , di Massimo Marnetto . Libertà per gli intellettuali del dialogo turchi – Lettera all’Ambasciatore Aydın Adnan Sezgin.

11. Ruth Eglash, “Washington post”, Su “time Out Tel Aviv”:  http://www.giornalettismo.comarchives/1988249/il-video-in-cui-le-coppie-arabo-israeliane-si-baciano-contro-lodio/ .Ed in: http://www.pressenza.com/it/  2016/01/video-baci-time-out-tel-aviv/. Cfr video: ודים וערבים מתנשקים | Jews & Arabs Kiss | عرب ويهود يتباوسو.; https://youtu.be/N8DMGaeDXE4.

12. Firas Alshater racconta gli abbracci e la origine del video in: https://youtu.be/ZozLHZFEblY

13. Antonia Jacchia, Il bacio di pace tra Gesù e Maometto, “Corriere della sera”, 29 giugno 2007.Nota sulla mostra Peace…Fucking Fairytale, Galleria BND Tomasorenoldibracco Contemporaryartvision, Milano,20 giugno-15 luglio 2007. La scultura, di proprietà del gallerista e mecenate, da allora non è più stata vista, probabilmente è stata distrutta. La mostra era presentata dalla compianta giornalista e critica Maria Grazia Torri. http://www.jesus1.it/Pages/it_magdalena_teatro.aspx?arg=15&rec=1318 .  Vedi anche Veronica Pirola, Sükran Moral, in http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=19816, che scrive:” L’orrore e la sofferenza della guerra. L’incontro tra Occidente e Oriente e la pace come pretesto universale. In una performance demistificante che, come un proiettile, susciterà polemiche…”.

14. Nanni Loy realizza nel 1964 “Specchio segreto” su Rai3. Nella intervista del 21 agosto 2005 su “L’Unità” resa a Roberto Brunelli, autore del servizio, Angelo Guglielmi racconta la nascita della sua idea di Specchio Segreto, affidato a Nanni Loy (insieme a Fernando Morandi e Giorgio Arlorio). Molto interessante l’impronta che Nanni Loy volle dare al programma: non ludibrio e presa in giro di chi era sottoposto nascostamente all’azione e alla provocazione, ma piuttosto una inchiesta sui sentimenti e i costumi degli italiani. Alla luce della televisione di oggi, non solo in Italia, è il principio di verità, cioè porre le persone nella condizione di esprimersi “liberamente”, uscendo dai condizionamenti e dai finti stereotipi creati da una tv manipolata e che nascondeva la condizione dei contemporanei. Cfr. anche Antioco Floris e Paola Ugo, Nanni Loy. Un regista fattapposta, 1996, Cuec Editrice.

15. Mario Finazzi, L’intervista/Ceren Erdem.Vi racconto la mia Istanbul_ Molta passione, moltissimo furore, ma non troppa gioia. Istanbul ai tempi dell’ISIS al MAXXI. Tra arte e attivismo, “Exhibart”, venerdì 11 dicembre 2015, Vi pubblica foto del gruppo TERKAL, di Alì Taptik, still dal video di Rampa/Istanbul, del poetico Antonio Cosentino, di Alil Altindere, colui che ci avvia, come Caronte, col piccolo poliziotto “che non dovrebbe far paura”, nell’Ade/Istanbul.

16. Marta Pettinau, Istanbul il futuro dopo Gezi Park, “Art Tribune”, anno VI, n.29, genn-febbr 2016. Il saggio critico, una analisi e un racconto/intervista con Ceren Erdem, di Marta Pettinau, è seguita da un nota critica sulla esposizione, di Lorenzo Taiuti.

17. 10° Istanbul Biennial, Not Only Possible, But Also Necessary Optimism in the Age of Global War: (cfr.: http://www.universes-in-universe.de/car/istanbul/eng/2007/index.htm), citato laconicamente, nel titolo di una importante intervista ad Hou Hanru come The art and the City Ma Hou Hanru tirava dritto: far sapere lo stato delle cose, nel cui fluido scivolava la cultura e l’arte. Il sito bienal.iksv.org, ci descrive il Sistema organizzativo, attraverso l’Istanbul Foundation for Culture and Arts, fondata nel 1987.

“The Istanbul Foundation for Culture and Arts (İKSV) has organized the Istanbul Biennial since 1987. The Istanbul Biennial prefers an exhibition model that enables a dialogue between artists and the audience through the work of the artists instead of a national representation model. The curator, appointed by an international advisory board, develops a conceptual framework according to which a variety of artists and projects are invited to the exhibition. The most comprehensive international art exhibition organized both in Turkey and throughout the geographical sphere, the Biennial plays an important role in the promotion of contemporary artists not only from Turkey but also from a number of different countries in the international arena. A complementary educational program is provided both for students and viewers of art, while simultaneously translated panel discussions, conferences, and workshops are also organized within the scope of the exhibitions”. http://www.biennialfoundation.org/

biennials/istanbul-biennial/.

18. Beral Madra, Istanbul, “FROSTY SPOT”, dicembre 2014, This text is an episode to my essay in The Hot Spot of Global Art, Third Text, Volume 22, Issue 1, 2008, Istanbul’s Contemporary Art Scene and its Sociopolitical and Cultural Conditions and Practices. Il suo incipit:” After the “hot spot” years in İstanbul, let us get some insight into the present state of affairs https://www.marxists.org/reference/

archive/debord/society.htm  Cfr. anche Stratis Panzakis, Intervista a Beral Madra, 26 agosto 2014, www.culturenow online journal interview http://www.culturenow.gr/

42066/beral-madra-oi-mikres-mpienale-ths-mesogeioy-apoteloyn-mono-.

WWW.CULTURENOW ONLINE JOURNAL, GREECE, INTERVIEW BY STRATIS PANTAZIS

19. Claude Lévi-Strauss, Tristes Tropiques, Plon, Parigi, 1955 (I° ed. Italiana Tristi tropici, Il Saggiatore, Milano, 1960) Sul viaggio, che nella descrizione di Levi-Strauss nel libro stesso appare come una tradotta appena poco diversa dagli attuali traversate dei migranti o fuggitivi dalle guerre in Siria e in Medio Oriente, e sulle letterine che egli si scambiava con André Breton cfr. http://surrealistnyc.tumblr.com/rss

Sul viaggio e l’incontro con Breton:

Martinique Charmeuse de Serpents by André Breton and André Masson, Oeuvres Completes, vol III (Éditions Gallimard, 1999). This title has been translated into English by David W. Seamon as Martinique Snake Charmer (University of Texas, 2008)

 

Maîtres Du Vent—MDV – more on the Capitaine Paul-Lemerle

 

Villa Air-Bel: World II, Escape, and a House in Marseille, by Rosemary Sullivan (Harper Perennial, 2007)

Interessante la analisi che ne fa un giovane studioso Alessandro Stella, dottore di ricerca in filosofia e storia della filosofia: in Strauss, http://www.filosofiprecari.it/wordpress/?p=1658

20. Dimitri Prigov, Eccovi Mosca, Roma, Voland, 2010 (traduzione di Roberto Lanzi, collana Srin)

21. Eugenyí Morosov, Il capitalismo tecnologico rinuncia alla democrazia, “Internazionale”, n.1147, 1 aprile 2016.

22. Sul RIT: (http://riturkey.org/)

23. Giampaolo Cadalanu, La rabbia di Erdogan sui diplomatici UE “Siete indecenti”, “La Repubblica”,27 marzo 2016,

FLEBILI O FORTI?:  ISTANBUL PASSION JOY FURY

MENTRE QUALCOSA BOLLE IN PENTOLA   nelle zone calde del Medio Oriente ma anche in Turchia, ARTISTI E ARCHITETTI, DI ISTANBUL e NON DI ISTANBUL, LEVANO LA LORO FLEBILE MA FERMA VOCE AL MUSEO MAXXI DI ROMA

 “In nostri contatti in Istanbul hanno pienamente appoggiato la mostra, ma quando si arrivava a un coinvolgimento ulteriore c’era come una pausa, come a dire “Ok, che sta succedendo ora nel paese? Le cose sono deprimenti”. In Turchia la gente è senza speranza riguardo al futuro, mentre nella mostra noi abbiamo cercato di parlare di speranza in una sezione, “Hope”, non so quanto possiamo farlo, e come si uscirà da questa situazione”, così nell’intervista che ho letto tempo dopo la apertura della mostra, di uno dei curatori che hanno lavorato insieme ad Hanru 1.

Avevo atteso con grande interesse la apertura della mostra Istanbul al museo MAXXI di Roma 2, non solo per la mia conoscenza della città e di alcuni suoi artisti, attori, scrittori (che vivono tra Turchia e mondo), ma anche e tanto più in quanto il direttore artistico del museo italiano che la ha progettata Hou Hanru viene da una lunga esperienza di osservazione e narrazione della fenomenologia dell’arte delle nuove generazioni, prima in Cina, e poi, oltre che in vari paesi nel mondo, nel 2007 ad Istanbul dove ha diretto la Biennale dal titolo “NOT ONLY POSSIBLE BUT ALSO NECESSARY 3, che in effetti-ho scoperto poi- è richiamata come prospettiva generatrice di questa mostra a Roma la cui seconda matrice è l’interrogativo che è possibile fare dopo Gezi Park? Ma nell’intervista dell’epoca su VIMEO 4. La immagine di critico di Hou Hanru si chiarisce come di chi vuole riportare nel dibattito dell’arte e nel mondo dell’arte un’analisi della struttura sociale di Istanbul e del suo progetto di modernizzazione giustamente considerati esemplari in termini di situazione del mondo globalizzato.

Ma dopo un primo sguardo alla mostra, e prima di aver avuto il bel catalogo da recensire, mi sono detta che forse mai avrei scritto su di essa.

Mi dicevo, con tutto quello che osservo abbastanza indignata –come molti di noi- sullo stato negativo della libertà di pensiero e di espressione in Turchia (vedi l’intervista recente di Antonio Ferrari 5) perché parlare di un’ arte che appare al primo impatto, nella esposizione, flebile sublimazione appunto, voce fredda e distaccata della fenomenologia di fatti che sono e continuano ad essere drammatici per la dignità delle persone e di coloro che sono nel campo della comunicazione (i giornalisti), dell’arte stessa (gli scrittori ed alcuni artisti più espliciti nel reclamare contro persecuzioni ) e professori universitari ( fermati e arrestati) – non parliamo poi degli oppositori politici-  con assurde accuse di tradimento e di terrorismo?5.

Il 19 febbraio sono stata invitata al primo dei tre interessanti incontri previsti per toccare le tematiche relative e connesse alla mostra 6: “Alle origini della Turchia contemporanea”, con interventi del giornalista di “La Repubblica” Marco Ansaldo, di Lucio Caracciolo direttore di “Limes, Rivista italiana di geopolitica”, Hou Hanru, Direttore artistico del MAXXI e di Giovanna Melandri presidente della Fondazione MAXXI. Importanti gli incontri, il primo di questi in particolare, in quanto pareva si volesse finalmente dire qualcosa – da parte di così significativi personaggi, su quelli chiamati “i recenti fatti della Turchia” (forse la nuova posizione della Turchia nella guerra al cosiddetto Stato Islamico, ai suoi confini, con i bombardamenti che sembravano cadere più sui combattenti che contro l’ISIS stesso da essi combattuto? Forse gli 80 giornalisti arrestati? O i 10/20 professori universitari inquisiti e tradotti in carcere? O gli oppositori politici raggiunti da mandato d’arresto? Scusate il conteggio fluttua continuamente, in su.

(Foto di Can Dündar, direttore del giornale “Cumhuriyet”, il giorno della conferenza stampa prima dell’Udienza in Tribunale che avrebbe confermato l’arresto. Arresto avvenuto il 27 novembre 2015, foto su “Internazionale”, n., 27 novembre 2015, Foto Vedat Arik, Cumhuriyet/Afp.                    Insieme al Direttore è arrestato il capo redattore Erdem Gül. Sono accusati di spionaggio e di “divulgazione di segreti di stato”, per aver sostenuto in un articolo che i servizi segreti turchi hanno consegnato armi ai ribelli siriani. I giornalisti rischiano fino a 25 anni di prigione ed entrambi sono in detenzione preventiva. Secondo il quotidiano Cumhuriyet, nel gennaio del 2014 le forze di sicurezza turche hanno intercettato un convoglio di camion al confine tra Turchia e Siria e hanno scoperto un carico di armi e munizioni destinate ai ribelli islamisti, in guerra contro il regime di Bashar al Assad. I camion sequestrati sarebbero stati mandati dall’organizzazione turca di intelligence nazionale (Mit)” Il Presidente Recep Tayyip Erdoğan avrebbe presentato personalmente denuncia penale contro i giornalisti. La stampa internazionale, in testa Reporters sans Frontiéres, segue la politica stretta di censura contro la libertà di stampa e di espressione).

Credo fosse un pubblico selezionato (no fury, no joy, no passion ): attempati signori e signore, pochissimi giovani, solo una artista, la più grande artista turca contemporanea Sükran Moral 7 di passaggio a Roma (la più forte sostenitrice transnazionale dei diritti umani e delle donne in particolare, con opere indimenticabili per forza e chiarezza, minacciata a morte nel suo paese e difesa in tutta Europa, dalle riviste italiane ai quotidiani più diffusi spagnoli, tedeschi, inglesi, francesi nonché dai suoi giovani allievi dell’Università di Istanbul).

Nel diplomatico, necessariamente sintetico, racconto degli eventi politici della Turchia post Atatürk, fino alle recenti aspirazioni a un neo-imperialismo ottomano mascherato da sviluppo neo tecnologico neoliberista e nutrito di pratiche poliziesche repressive della libertà di opinione, l’appello certo fondato di Marco Ansaldo a ripensare bene alla possibilità di un’entrata della Turchia in Europa è stato proprio da questa artista, talvolta perseguitata nel suo paese, rintuzzato duramente: lei ben conosce la aspirazione dei tanti uomini e giovani democratici ad un giusto –anche se difficile , se non chiaro, per ora – avvicinamento della Turchia alle democrazie confinanti! Non dimentichiamo le acclamazioni dei giovani a Teheran, dopo la sigla dell’accordo e la fine delle sanzioni all’Iran N (Iran, caduta delle sanzioni economiche, accordo sul nucleare). Ma quel pubblico lì al MAXXI a un certo punto si infastidiva: vogliamo parlare o no di arte?

(Can Dündar rilasciato il 26 febbraio 2016, AP Photo/ C.Erok  “Can Dündar (C), Cumhuriyet newspaper’s editor-in-chief, hugs his wife Dilek Dündar (C-L) after being released from Silivri prison in Istanbul on February 26, 2016. Two Turkish journalists held in jail for the last three months on hugely controversial charges of revealing state secrets were released early Friday after Turkey’s Constitutional Court ruled their rights had been violated. The Cumhuriyet newspaper’s editor-in-chief Can Dündar and Ankara bureau chief Erdem Gül emerged from the Silivri jail on the outskirts of Istanbul before dawn to be greeted by jubilant supporters and family, television pictures showed”.http://www.gettyimages.it/galleries/photographers/can_erok)

Pochi giorni dopo questo piccolo spiraglio di libera riflessione al MAXXI, ecco l’evento che mi riporta però al mio accantonato desiderio di critica della mostra Istanbul: la liberazione dal carcere (dove erano stati rinchiusi dalla metà di novembre 2015, per 92 giorni), di Can Dündar il direttore della storica testata giornalistica turca “Cumhuriyet” ed il suo capo-redattore di Ankara Erdem Gül. Accusati di tradimento (art.4 della Costituzione turca) per lo scoop sui traffici di armi verso l’IS (il cosiddetto stato islamico) protetti dai servizi di Ankara. Proprio Marco Ansaldo 8 (“la Repubblica”, 27 febbraio 2016 “La mia prigionia ha fatto conoscere al mondo la Turchia della censura”) in una fiammante intervista, ne riporta le prime parole:

(Can Dündar, Cumhuriyet newspaper’s editor-in-chief, exits a police van after being released from Silivri prison in Istanbul on February 26, 2016. Two Turkish journalists held in jail for the last three months on hugely controversial charges of revealing state secrets were released early Friday after Turkey’s Constitutional Court ruled their rights had been violated. The Cumhuriyet newspaper’s editor-in-chief Can Dündar and Ankara bureau Chief Erdem Gül emerged from the Silivri jail on the outskirts of Istanbul before dawn to be greeted by jubilant supporters and family, television pictures showed. EROK http://www.gettyimages.it/galleries/photographers/can_erok)

“Quale sarà il titolo della nostra prima pagina? Naturalmente “Grazie signor Presidente”. Grazie per l’aiuto che ci ha dato mettendoci in prigione e portando il caso del passaggio segreto di armi dalla Turchia alla Siria sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale”.

La loro foto è bella e splendente quanto quella stessa riportata il giorno del loro arresto a novembre dello scorso anno su “Internazionale” 9.

Non mi soffermo sul seguito, in questi giorni di marzo 2016: la rabbia di Tayyip Erdogan, di fronte alla decisione della Corte costituzionale (la carcerazione violava i diritti individuali e la libertà di espressione e di stampa), di nuovo 10, la sua ira per la presenza di Consoli ed Ambasciatori in Turchia all’apertura del processo, ed il loro rifiuto a lasciare la sala del processo, che si sarebbe voluto a porte chiuse; il rinvio al 1 aprile. Proprio il 1 aprile ci sarà qui a Roma il 2° incontro al MAXXI:” La nuova Istanbul tra neoliberismo e processi di gentrificazione”.

Dunque il filo tra il mondo della cultura e dell’arte e quello della politica è ritessuto, forse non è vero che l’arte è senza ruolo nel cinico mondo delle nuove dittature così strette e aderenti al neoliberismo economico? Ma la flebile voce dell’arte si può sentire?

Prima di parlare della mostra occorre dire che sì, se sotto la opacizzante scorza della diplomazia espositiva d’arte come apparentemente è Istanbul Passion Joy Fury a Roma, molto ribolle nel mondo – e lo vedremo tra poche righe- e qualcosa appare, anche al di sopra della scorza della realpolitik.

(“TIME OUT TEL AVIV”, Still dal video: http://www.pressenza.com/it/2016/01/video-baci-time-out-tel-aviv/.)

Uno dei baci tra coppie composte arabo israeliane, indistinguibili.

Gesti di libera espressione, come quelli – politicamente trasversali- che avevano risvegliato gli istanbulioti a Gezi Park nel 2013.

Mi riferisco ad azioni che avvengono in luoghi lontani: a Tel Aviv (8 gennaio 2016) a Berlino febbraio 2016), e a Milano, un’anteprima ad Alshater della artista Sükran Moral (8 maggio 2007), a Roma, su Rai3 Specchio Segreto di Nanni Loy (1964): svelamenti dell’umano sentire

Penso al settimanale “Time Out Tel Aviv”, che ha realizzato una forma particolare di protesta, con un video in cui sei coppie, etero o gay, formate da ebrei e arabi si scambiano baci ed effusioni. Ispirato al progetto “First Kiss” di Tatia Pilieva del 2014, i partecipanti a questo filmato non sono sempre coppie nella vita: in alcuni casi si tratta di semplici amici, oppure persone che si sono conosciute per la prima volta davanti alla telecamera. Il video è inframmezzato da alcune scritte che spiegano il motivo della protesta: il fatto che il ministero dell’Istruzione di Israele ha rimosso dalla lista dei libri consigliati per i programmi scolastici dei licei Borderlife, un romanzo di Dorit Rabinyan che racconta una relazione tra una ricercatrice israeliana e un pittore palestinese, finito in carcere per aver dipinto bandiere del suo popolo nei Territori occupati. Il videosi conclude con una frase che invita alla pacificazione tra i due popoli, ovvero “Ebrei e arabi rifiutano di essere nemici”11.

(Firas Alshater abbracciato da uno sconosciuto passante a Berlino. Ha accanto a sé un cartello: “I’m a Syrian refugee. I trust you – do you trust me? Hug me”).

Penso al rifugiato siriano in Germania Firas Alshater, regista e videomaker, che realizzò il suo primo video nel quale si fa riprendere mentre, sta bendato in Alexanderplatz a Berlino in attesa di avere un abbraccio da qualche passante sconosciuto. Egli ha posto accanto a sé un cartello con su scritto: “I’m a Syrian refugee. I trust you – do you trust me? Hug me” 12. Moltissimi lo abbracciano. Il video è stato visto da diverse piattaforme più di 2.500.ooo volte.

La grande artista turca  Sükran Moral 13 –non presente in questa mostra al MAXXI-, che tanto spesso ha visualizzato uomo e donna coi loro gesti soterici o distruttivi, nelle antiche e nelle attuali Apocalissi e nelle violenze sulla donna, tutte transnazionali, in nome dell’amore assoluto unica forma di libertà dell’individuo, e che tante volte  si è confrontata con la religione, con il maschilismo islamico, con gli stereotipi del potere occidentale, nel 2007 a Milano tratta la pace: con il suo solito chiliasmo, contrappone la “favoletta” alla pace possibile ricongiungendo in un abbraccio il figlio di Dio ed il Profeta dell’Islam, Gesù e Maometto. Per vedere la statua, lo spettatore si deve inginocchiare su un tappeto orientale, e inginocchiandosi può spiare l’abbraccio in un piccolo foro che improvvisamente si illumina all’altezza degli occhi.

(Sükran Moral, Gesù e Maometto, 2007, scultura al vero, particolare della mostra Peace…Fucking Fairytale, Galleria BND Tomasorenoldibracco Contemporaryartvision).

Nanni Loy è il nostro precedente italiano di questa cattura dei veri sentimenti nascosti della gente, colti all’improvviso: in una delle trasmissioni di “Specchio Segreto” entrava in un bara, si metteva accanto a un signore che ordinava al bar un cappuccino e gli chiedeva: “Scusi, posso intingere?”, ed in genere lo lasciavano fare, sorpresi e sorridenti. Nella tv reticente degli anni 60, Nanni Loy, con “Specchio Segreto”, ci mostrò un’Italia gentile- ci racconta domenica 21 agosto 2005 su “L’Unità” Angelo Guglielmi- allora direttore di Rai3, e fondatore della neoavanguardia letteraria italiana del Gruppo ’63. 14

(Nanni Loy, Specchio Segreto, still dalla trasmissione, Rai3, 1964. Lo sconosciuto al bar accetta che Nanni Loy gli intinga nel suo cappuccino il cornetto).

Entriamo dunque nella Istanbul al MAXXI: città e  principale centro di cultura contemporanea della Turchia ed a tutto il grande paese in rivolta e in trasformazione: con una mostra che  – come avviene a tanta arte di oggi esposta nell’esporsi non si svela e non svela: così il dramma di tipo politico locale (autoritarismo, censura, repressioni) nonché globalizzato ( la guerra in Siria e l’ambiguo ruolo della Turchia contro l’ Isis) che i cittadini di questo paese stanno vivendo, mescolato con annunci di slancio economico e infrastrutturale neoliberista, ha una eco gentile e relativamente sommessa da parte degli artisti – e non solo artisti- scelti per lanciare un messaggio sullo stato delle cose.

(Sükran Moral, Azione sul proprio corpo a Gezi Park, nel corso delle occupazioni nel 2013, Istanbul, courtesy the artist)

ISTANBUL PASSION JOY FURY

Che ne è di noi, sembrano chiedersi gli espositori –tutti quelli amanti della libertà dell’arte e della libertà di pensiero e di critica – dopo l’ultimo-il più recente atto di espressione popolare di dissenso dal basso che è stata l’occupazione di GEZI Park nel 2013, potente per il fatto che vi sia stata, ma di fatto seguita da arresti e sostanziali insuccessi? Tra l’altro mossa dal basso, trasversale alle due metà in cui è diviso il paese, insomma cittadini sia della “la metà che si sente oppressa” sia della “altra metà che vota per AKP, il partito di Erdogan”, come ha scritto nella sua intervista su Exhibart 15 una delle curatrici della mostra, Ceren Erdem?

Eccoci dunque alle interviste illuminanti di Ceren Erdem, senza le quali non potremmo capire, attraverso le opere e le installazioni analitiche archi-urbanistiche, che cosa è veramente questa mostra: che in effetti si presenta con una grande domanda senza risposta: che ne sarà di noi cittadini turchi, se continua il processo di trasformazione e sviluppo economico guidato dall’alto, cinicamente gettato in mezzo alle vite dei cittadini turchi, con decisioni centralizzate, non rispondenti minimamente alle esigenze ,ai desideri, alle passioni, alle sofferenze, bypassate dagli specifici interessi finanziari estranei ai diritti e alla vita e alla cultura e alla memoria culturale dei semplici cittadini – come sempre nelle azioni finanziarie del capitalismo avanzato ?

Voglio dire che senza il racconto delle due interviste/colloquio a Cerem Erdem, su Exhibart 15 e su “Art Tribune” nel numero di gennaio-febbraio 2016, e senza i testi in catalogo, primo di tutti quello di Hou Hanru, e poi di diversi studiosi di varie prospettive, la mostra in sé e le sue opere e installazioni non avrebbero potuto non apparire malinconie postrivoltose, come un po’ deprimente day after: dopo Gezi Park… Insomma il senso della mostra e le risposte alle domande che essa pone, sono dati fuori della mostra, nel backstage del progetto espositivo e nel racconto fuori scena del progetto (poiché il catalogo non è nella scena)

Ceren Erdem non ha solo ricordato, in queste due interviste, la sequenza di violenze terroristiche avvenute in diverse città della Turchia (che noi ben conosciamo: ma lei lo scrive nel mezzo-sordo mondo della carta stampata sull’arte: il che va comunque fatto; e lo ha vissuto negli stessi momenti in cui si preparava la mostra), non solo la guerra ai confini con la Siria, (in Exhibart)  non solo la vasta azione di interventi urbanistici gentrificanti sul territorio e i conseguenti processi di  migrazione interni e dall’esterno, ma anche i processi differenziati dei migranti ricchi e poveri, chi dorme per strada e chi si compre l’appartamento, ed anche l’attrazione turistica dei più ricchi paesi petroliferi per acquisirsi la città più ricca di storia e di cultura nel limite tra oriente occidente. E non solo tutto questo, ha scritto Cerem, ma anche: “E dunque noi sentiamo, come curatori della mostra, che ogni giorno diviene sempre più importante ricordare alle persone che cosa sta succedendo a Istanbul, e nella Turchia, cosa succede nella regione. E come il governo non attua politiche liberali, creando delle classi estremamente squilibrate nel Paese che possono essere facilmente polarizzate, e possono essere separate, e così le persone possono dimenticare di piangere insieme e di alzare la voce insieme”.

 I curatori e progettisti della mostra Hou Hanru, Ceren Erdem, Elena Motisi e Donatella Saroli hanno visto l’instabilità, il loro è stato- nel lavorare al progetto-  un incontro con la gente in Turchia che “è senza speranza riguardo al futuro”. Gli autori dei saggi, fin dai titoli, mostrano al mondo lo stato delle cose: Asu Aksoy, Cultura liberata; Emran Altinok, State LED Fragmentation in Istanbul:”TOKI” as an ideological Apparatus for the Spatial Re-organization of the Social Classes; Ahmet Ogüt, Pleasures Places of All Kinds, Zhejiang Province/, Pleasures Places of All Kinds, Fikirtepe Quarter; Salt, Becoming Istanbul (un Archivio urbano consultabile on line); Merve Bedir, Il Vocabolario (Spaziale) dell’Ospitalità di Istanbul (che descrive ciò che oggi vivranno di nuovo i migranti, per l’accordo Turchia-UE, rivelando ciò che ora è sotto gli occhi di tutti noi europei, che la Turchia non è un paese sicuro!); Pelin Derviş, Note sulla Disperazione, sulla Speranza e sul Futuro  (nel quale; Çelenk Bafra, Qualche Passo Avanti prima del Domani (con il sottotitolo Chiederemo conto ai responsabili per ogni cuore spezzato)! Pelin Dervis e Çelenk Bafra si chiedono ci dicono che è oggi veramente difficile immaginare la speranza mentre ci travolgono di continuo drammatiche notizie di scomparse, assassinii, nuove tragedia, nuove devastazioni e si/ci chiedono perché dovremmo metterci a cercare rifugio in ambito artistico?

Uno spicchio di speranza nello spazio esautorato, ma che resta potente, dell’arte…

Dunque il progetto Istanbul Passion Joy Fury è stato attivato da fuori, anche se è nato dentro: Hou Hanru infatti ha ben conosciuto la Turchia ed Istanbul quando nel 2007 ha diretto la Biennale dal titolo Not Only Possible, But Also Necessary Optimism in the Age of Global War 17.  Ed è consistito nel portare le questioni politiche, economiche, culturali e di trasformazione e sviluppo della strategica Turchia nella zona franca dell’arte (Boris Groys), la sola poteva consentire di lanciare non un manifesto d’avanguardia, non una azione agonistica, ma il pensiero di una possibilità futura attraverso la fenomenologia analitica dello “stato reale delle cose” e attraverso tutto sommato no moltissime vere e  proprie opere, ma soprattutto attraverso oggetti/traccia di un impegno diffuso tra gli artisti, ma conculcato sotto minacce esplicite o semplicemente prevedibili ( d’altronde ricordiamo, che chiunque esprima una azione critica contro il potere di Ankara in base articolo 299 del codice penale turco viene automaticamente incriminato ed incarcerato per vilipendio al presidente oggi Erdogan: nel solo 2014 con questa accusa circa 300 persone tra giornalisti, blogger, gente comune, artisti sono stati incriminati, mentre ricorda la Pettinau su “Art Tribune” ( n.29 cit) che proprio un paio di settimane dopo l’intervista era stata arrestata il 31 dicembre 2015 la artista stessa che espone a Roma Pinar Ӧǧrenci, e liberata anche per intervento dei curatori e comunque per la attenzione della stampa e della cultura occidentale).

Sensibilizzati ma con cautela, gli artisti canalizzano l’impegno civile con voce flebile, e- come ha ricordato Finazzi nel suo saggio su “Exhibart” citando una recente conferenza della critica e fondatrice della Biennale di Istanbul Beral Madra 18 – raramente gli artisti possono accettare di essere isolati dal cosiddetto Sistema dell’arte, “un sistema monopolizzato da capitali privati, che considera l’arte come un bene di consumo “facile da digerire” per i ricchi e poco illuminati collezionisti locali, o una “scatola ben confezionata di Turkish Delight” (le citazioni tra virgolette sono dal saggio di Beral Madra  Istanbul: Frosty Spot) 18.

Morde ancora e bene la critica turca, come fece scoprendo e sostenendo i maggiori talenti dell’altra generazione (tra cui Sükran Moral) ormai internazionalmente riconosciuti!

Questo è esposto, una flebile risposta quasi fredda diagnosi e laconica osservazione del disastro e dell’orrore delle repressioni e della libertà conculcata, di ferite che qua e là emergono come se pronunciate a denti stretti.

Come fa Ahmet Ӧǧüt, con Pleasures Places of All Kinds, Zhejiang Province/, Pleasures Places of All Kinds, Fikirtepe Quarter (2014): i soprusi cinesi non sono forse uguali a quelli turchi?

Nel percorrere la mostra, per le sale, nell’eccellente allestimento (per cui brilla sempre il team curatoriale e scientifico del MAXXI, si incontrano opere, di artisti non solo turchi, ma anche visualizzazione adeguata attraverso installazioni di azioni critiche socio-politiche-urbanistiche, di complesse analisi digitali e spettacolarizzazione (elencare) dello stato contraddittorio dell’azione di modernizzazione/globalizzazione neoliberista promossa da Erdogan: di Atelier Istanbul Arnavutköy;  di Emrah Altinok l’apparato di investimenti per la vera e propria riorganizzazione spaziale delle classi sociali; di Zeyno Pekünlü la conferenza performance attraverso il video del GLOSSARIO delle emozioni più comuni; del gruppo (BIO)SALT, l’enorme database interattivo di 400 media 2008-2011 dal giusto titolo Becoming Istanbul, cui ha fatto da staffetta il data base dei SUPERPOOL Mapping Istanbul 2009- 2015, che include le conflitti, proteste  ma non l’avvento del cantiere ininterrotto del 2015 e l’avvento di oltre tre milioni di siriani fuggitivi dal loro paese spezzato dalla guerra, la assenza totale di compatibilità ambientale nelle foto della serie SHELL di Serkan Taycan. Più volte sono andata, e questo percorso mi ha dato la stessa stretta che ebbi quando lessi quand’ero giovane Tristi Tropici (1955) di Claude Lévi-Strauss: con tono quasi da etnoscienziato descriveva in dettaglio la distruzione culturale e fisica dei popoli che aveva studiati più di venti anni prima in Sudamerica (il suo primo viaggio è del 1934), la loro distruzione dopo appena 3 decenni di contatto con la civiltà tecnologica e la economia neocapitalistica: freddo, anatomico, distaccato. Sulla stessa nave con cui aveva intrapreso nel 1941 quel suo terribile secondo viaggio in Sudamerica c’era anche André Breton, entrambi fuggitivi dalla guerra e dai nazisti: poche parole si scambiarono, ma sulla nave sovraffollata si scrissero scambiandosi idee e speranze! 19

Be’, tanto più importante è la azione di racconto del processo in corso in Turchia, come ha voluto fare Hou Hanru, portare fuori richiamando da fuori alcuni attori della scena artistica locale, in quanto certo quello che vediamo e sappiamo o veniamo a sapere non è che uno spicchio di speculum di una tremenda situazione globale di violenze dittatoriali, disumanizzanti, dalla Cina alle repubbliche arabe all’ISIS, tra le quali quella turca è solo un esempio.

Alil Altindere ci accoglie nel primo salone con una statua di un piccolo poliziotto, baffi anni cinquanta, Guard (2012) tanto piccolo (alto appena 130 centimetri), da non fare paura a nessuno, ma forse da fare più paura ancora, nello stesso tempo: un ometto pericoloso, ma purtuttavia un uomo, come quelli descritti da Dmitri Prigov nel suo libro Eccovi Mosca20. L’orrore sarcasticamente quotidiano vissuto in Russia negli anni tra la fine del regime sovietico brezneviano e la ascesa nel processo economico neoliberista dei quasi i medesimi personaggi della scena politica precedente!

E’ la prima accoglienza, di un poliziotto, la prima porta di ingresso alla mostra Istanbul Passion Joy Fury.

Altre statue di Altindere- iperrealistiche e ora di altezza normale, ci lasciano attoniti di fronte a personaggi dalla chiara disperazione o dalla prospettiva indecifrabile: Pala the Bard (2012), Telephone Call from Istanbul (2012), The Monument of an Illegal Street Vendor (2013)

Il film di animazione degli Extrastruggle è in un certo senso il loro ‘Tristi Tropici’, così come lo è Survey for anti memory di Hera Büyüktaşçiyan o la straordinaria installazione pittorico-fotografica di Osman Bozkurt POST RESISTANCE, nella cui pittura sopra/sotto il documento fotografico, si ha l’ancoraggio del messaggio dai muri ai muri dello spazio/zona franca/ museo.

Il viaggio nelle periferie posturbane di Istanbul di Sinan Logie e Yoann Morvan Out of Istanbul? è detto con le didascalie loro e anche di altri: Mapping o Becoming o Out of? Istanbul. Mappare, divenire o fuggire da Istanbul. Essere dove?

Vorrei parlare di più delle opere, che riproduco a lato, vorrei riportare di più delle lunghe didascalie che con freddezza ci narrano il disastro umanitario, urbanistico, in corpo nel processo di trasformazione economica neoliberista in atto nella Turchia di Erdogan.

Molte cose già conosciamo dai processi di sviluppo analoghi avvenuti e in atto: purtroppo si ripetono gli stessi errori, le stesse rapine, si riproducono gli stessi eufemismi che nascondono quello che sembra l’impossibile conciliazione tra l’arricchimento dei pochi e il sostanziale impoverimento delle maggioranze dei cittadini: per tutti l’ultimo articolo di Eugeny Morozov Il capitalismo tecnologico rinuncia alla democrazia 21.

Il momento storico come questo, globale, che stiamo vivendo, è caratterizzato da violenza e distopie e da una grave crisi della democrazia, e da una sempre più flebile voce dell’arte che sempre più sembra aver ha perso l’antico ruolo e sembra troppo aver dimenticato il paradigma universale della libertà del soggetto creatore, essendo conculcata la libertà personale e –figuriamoci!- quella di espressione!: certo, ci sono  a Istanbul, come in altri regimi di instabilità democratica o di assenza di democrazia, collocati negli interstizi di deprimenti scenari, spazi di resistenza autofinanziati, piccoli budget, attivanti riflessioni critiche e sperimentazioni sul futuro.

Ma, grazie a questa esposizione che – partendo da Gezi Park! – ci presenta tale scenario economico-politico in un luogo deputato dell’arte, la cosa che scopriamo è che esiste –seppur out of Istanbul – la possibilità di rilancio di una azione correttiva e di resistenza, nella iniziativa che fa da sfondo alla realizzazione, anche, di questa esposizione a Roma: il RIT a New York. Ve ne saranno altre?

Il RIT (Research Institute on Turkey) 22, è stato creato da un gruppo interdisciplinare e internazionale di ricercatori, artisti, scrittori, architetti, scienziati, e attivisti “che esplorano e si misurano in pratiche condivise (commonization practices) per il cambiamento sociale. Il metodo? Creative public engagement. Visto che le autoritarie politiche neoliberiste in Turchia impediscono che si discuta di temi urgenti e gravi, il gruppo di ricerca del RIT si muove per realizzare e promuovere “processi decisionali criticamente informati, per engagement pubblico e per svolgere attività educative”. Il gruppo si muove sulla consapevolezza della necessità di un lavoro in rete multidisciplinare e collaborativo.

La collaborazione con Human Rights Organizations, la idea di creare un’azione per mantenere viva la dinamica di azione critica rappresentata dalla occupazione di Gezi Park e dalla resistenza ad interventi urbanistici distruttivi e calati dall’alto, insomma il seguito connotato da una battaglia contro l’impunità, ci lascia riconoscere un segno coordinato culturale di non sottomissione, e di lotta alla impunità di pratiche autoritarie, censorie e illegalità mascherate.

Tutto ciò appare utile, e rendere possibile un certo ottimismo di reazione, se supportato dalla azione puntuale di denuncia della stampa internazionale.

Forse Erdogan può cambiare? Per ora non sembra, se all’apertura del processo a Can Dündar ed Erdem Gül (il direttore ed il caporedattore del giornale “Cumhuriyet”, come ricordavo all’inizio), il presidente della Turchia, ha dato in escandescenze in tv, dicendo tra le altre cose: “Questo non è il vostro paese è la Turchia”, rivolto ai tanti diplomatici europei, dalla console italiana Federica Ferrari Bravo, all’ambasciatore tedesco ad Ankara Martin Erdmann, al console di Francia Muriel Domenech, al britannico Leigh Turner all’olandese Robert Schuddeboom e molti altri , intervenuti alla prima seduta del processo 23.

Una promessa di continuare in una autocrazia sempre più spinta, scrive Cadalanu?

L’Europa è semisveglia: è ora di prendere un buon caffè?

 

      1-2 Alil Altindere, Guard, 2012, scultura in cera, cm 130x50x20, Vehbi Koç Foundation Contemporary Art Foundation, Istanbul, docu foto S.Lux (nel pubblico) e (2) docu foto Sambucini.

3-4-5-6 PATTU, Space inventor,2015, elementi mobili in legno, megafoni, suono, oggetti trovati, piante, dimensioni variabili (installazione site-specific all’ingresso della mostra)

7 Entrata nella mostra e visione dell’animazione A rose Garden di Extrastruggle, Docu foto Sambucini.

8-9 Extrastruggle, A Rose Garden with the Epilogue, 2013, animazione di Tan Cemal Genç, coll. Galeri Zilberman & l’artista, still dal video in mostra MAXXI, docu foto S.Lux.

10-11-12, Herkes Için Mimarlik, Architetture For All, Occupy Gezi Architecture, 2013, Foto (delle architetture temporanee nei giorni della occupazione di Gezi Park) e disegni (di quelle stesse architetture), docu foto di S. Lux. 


13-14-15-16 Osman Bozkurt, Post-Resistance, 2013, C-prints su alluminio e pittura di allestimento in calce grigia, dimensioni variabili, docu foto e dettagli dell’allestimento Sambucini (12) e S.Lux.

17-18-19-20 Atelier Istanbul e vari Studi di architettura (Olanda), Arnavutköy “La città è ancora in grado di offrire buone prospettive di vita ai suoi abitanti?”, analisi della sostenibilità sull’equilibrio idrico del territorio, nelle prospettive indiscusse di sviluppo urbanistico.

21 Visione di insieme dell’opera di Antonio Cosentino Tin City (modellini di edifici sul piano) e, sullo sfondo, Networks of dispossession (2013- on), docu foto S.Lux.

22-23 Antonio Cosentino, Tin City, 2009-2013, Tavolo con modelli, testo, mappa, insieme dell’installazione nella mostra al MAXXI (docu foto Sambucini) e dettaglio (docu foto S.Lux).

24 Sullo sfondo di Tin City, a sinistra Emrah Altinok TOKI e a destra Sinan Logie e Yoann Morvan Out of Istanbul? Docu foto S.Lux.

25 Emrah Altinok, State-led Fragmentation in Istanbul: ‘TOKI’ as an Ideological Apparatus for Spatial Re-organization of Social Classes, 2015, stampa digitale, dettaglio nell’allestimento al MAXXI, foto docu S.Lux. L’opera tratta dell’inadeguatezza del progetto di edilizia popolare TOKI, che nella larga scala disintegra i rapporti sociali e aumenta il divario fra le classi.

26-27-28, Sinan Logie e Yoann Morvan, Out of Istanbul? 2015, installazione( video, pannello, modelli, cartoline): attraversamento delle periferie per oltre 300 km con una popolazione di 15 milioni di persone: se si tratta di nuovi centri, danneggiati permanentemente nel paesaggio e nel sociale. Se questi sono i nuovi poli urbani, si chiedono le autrici, come si esce da Istanbul, che appare la più grande metropoli europea? Docu foto S.Lux.

29 SALT, Becoming Istanbul, 2011, database interattivo di oltre 400 media (2008-2001), accessibile come archivio urbano contemporaneo. Curatori: Pelin Dervis, Bulent Tanju, Ugur Tanyeli, Coordinatore Meric Oner, Design Evren Yantac, Interattività Huseyin Kuscu. Photo screen shot in mostra al MAXXI

31 Ahmet Ӧǧüt, Pleasures Places of all Kinds, Zhejiang Province, 2014, legno, spugna, sabbia, pittura, elemento scultoreo polimaterico, 150x150x70, docu foto Sambucini

32 Hera Büyüktaşçiyan, In Situ (Survey for anti memory), 2013, installazione (disegni e blocchetti di sapone), courtesy PIST/ Interdisciplinary project Space Residence. La distruzione dello storico Hamam Pangalti nel 1995, permane nella memoria attraverso il disegno e con l’uso di una memoria evocativa di violenza (?) di metà del secolo scorso: il sapone. Foto press MAXXI.

33 Pinar Ӧǧrenci , Collapsing New Buildings, 2011-2013, installazione (pannelli in OSB, video, foto), foto Press Maxxi.

34 -35 Zeyno Pekünlü, At The Edge Of All Possibles, 2014-2015, installazione video della Conferenza Performance, 49’38”, foto press MAXXI; still dal video (FEAR) foto Mustafa Hazneci (press MAXXI).