Susanna Majuri è una fotografa finlandese. Nata ad Helsinki nel 1978, ha conseguito la laurea in Fotografia nel 2004 presso l’Accademia di Belle Arti di Turku. Presso l’University of Art and Design di Helsinki ha poi completato il corso di specializzazione in fotografia. Attualmente svolge un dottorato presso la Finnish Academy of Fine Art di Helsinki incentrato su narrativa e teatro. In Italia ha recentemente esposto a Pesaro presso Macula – Centro Internazionale di Cultura Fotografica (2103), e presso la galleria MC2 di Milano (2012). Altre personali importanti sono state quelle presso la Galleria Heino di Helsinki (2012) e presso la galleria Adler di Francoforte (2011).

Negli ultimi anni l’opera di Susanna Majuri è salita alla ribalta della contemporaneità italiana per la completezza della sua ricerca. Una ricerca in cui le ragioni tecniche/contenutistiche trovano un’alta espressione nella dimensione indefinita che l’artista ha saputo creare. Le opere dell’artista finlandese sono infatti delle linee di confine, un confine tra un mondo dato e certo ed uno sussurrato ed ipotetico. Del resto, per Susanna Majuri, la fotografia è uno strumento di confine in quanto è allo stesso tempo fine ultimo e mezzo. In Susanna Majuri la rappresentazione del reale o di ciò che lo dovrebbe suggerire, ha seguito un percorso di rarefazione sempre più netto. Se partiamo da un’opera come Mykines (2007) per arrivare poi ad un’opera come Raven (2009), ci accorgiamo subito che siamo di fronte a due modalità diverse del rappresentare. E proprio qui sta il confine in quanto le opere di Susanna Majuri diventano uno specchio d’acqua nel quale si riflettono le nostre possibilità inespresse. Allo stesso tempo, come detto, la fotografia è anche fine ultimo perché la Majuri adotta un’interessante “metodo di lavorazione”, specialmente in questi suoi ultimi anni di ricerca e mostre come quelle presso le gallerie Aldler (Francoforte, 2011), Heino (Helsinki, 2012) e Mc2 (Milano, 2012). L’artista dispone, infatti, i suoi protagonisti, per lo più femminili, sul fondo di una piscina nella quale viene collocato un telo/immagine che rappresenta il luogo dell’azione. Il telo, a sua volta, diventa lo sfondo della scena che è tratto dalle fotografie dell’artista stessa o da immagini pubblicitarie, come nel caso dell’opera Treasure (2009). I soggetti si trovano così a muoversi all’interno di una non-realtà nella quale compiono gesti e azioni reali. Quello che ne risulta è una sorta di foto in trasparenza in cui le azioni dei personaggi con i loro movimenti deformano la rappresentazione della scena. Le foto vengono poi stampate su diasec, il quale contribuisce a creare un maggior effetto di profondità. Dunque, tali opere ci pongono davanti a una finzione vera, ed è proprio questa linea di confine ad aprire lo scenario ad una ricerca più ampia. Nella poetica di Susanna Majuri è presente, infatti, una ricerca “sotterranea” molto interessante che deve essere considerata in una sfera molto più ampia che superi il confine (confinante) del piacevole e dell’esteticamente corretto per andare oltre ed abbracciare una dimensione fenomenologica nella quale l’abisso (Ab-grund) heideggeriano viene perfettamente interpretato dalla dimensione acquatica delle opere. Potremmo infatti dire che, tanto l’immagine è diventata immaginaria tanto più la ricerca fenomenologica sull’essenza stessa dell’immagine è diventata concreta. Questo perché il lavoro della Majuri si basa essenzialmente sulla ricerca dell’essenza dell’essere oltre la dimensione della sola apparenza. La profondità che la sua fotografia mette in evidenza – e già questo può essere considerato un paradosso – rappresenta il Grund fenomenologico, il fondo/fondamento sul quale due maestri della filosofia del ’900 quali Husserl ed Heidegger avevano idee diametralmente opposte. Per il primo, infatti, il fondo rappresentava un traguardo e la possibilità di fondamento/fondazione nel senso di costruzione di una forma di sapere che potesse fondare, a sua volta, l’universalità delle conoscenze umane. Il Grund, dunque, veniva inteso da Husserl essenzialmente come risposta. Per Heidegger, invece, il fondamento si trasformava in uno sfondamento che anziché costruire su un di fondo/fondale, inteso come base d’appoggio, proseguiva la sua ricerca nella dimensione dell’oltre, nella dimensione appunto dell’Ab-grund, dell’abisso. In questo, caso il Grund veniva inteso come domanda (continua). In questa profondità si colloca l’opera di Susanna Majuri, in quanto le immagini piacevoli, ben orchestrate nella regia di un teatro acquatico, servono a formare solo il primo strato di profondità, mentre la verbosità, l’incessante chiedersi di quei personaggi sotto il livello dell’acqua, non rappresenta altro che la domanda posta, non tanto all’ente ma al suo perché, a ciò che lo precede. E, dunque, ecco che il rapporto personaggio/ente-scenario/fondo proposto all’interno delle sue opere può essere letto come la ricerca, o per meglio dire la continua domanda, sull’essenza del fondamento.

 

Intervista a Susanna Majuri

 Emanuele Rinaldo Meschini: Rispetto alla tua prima produzione, penso ad opere come Rising (2005) o Hide Tide (2006), hai cominciato una diversa rappresentazione del reale, o per meglio dire una sua trasformazione. I tuoi soggetti sono diventati sempre più onirici. A che cosa è dovuto questo cambiamento?

Susanna Majuri: Sono sempre stata affascinata dal mondo dell’immaginario. Fin dall’inizio ho cercato di unire la finzione con l’esattezza dei luoghi. I miei personaggi erano vestiti in modo tale da rafforzare il loro legame con il luogo. In qualche modo faccio ancora la stessa cosa ma il mio lavoro è cambiato indagando maggiormente la realtà immaginaria. Dipinti d’acqua con me, uniscono personaggi e paesaggi insieme. Nascondono e rivelano. Un’opera come Saviour è stata la prima di questo tipo. Volevo costruire case sott’acqua ed invece ho iniziato ad affogare luoghi. Lo sfondo di Saviour deriva dall’Islanda, li c’è una capanna bianca nella quale si può trovare rifugio quando il tempo cambia.

 

E.R.M: Le influenze artistiche, quelle storico-artistiche, sono presenti in molte delle tue opere soprattutto nell’organizzazione spaziale e nella disposizione dei personaggi. Quanto ritieni che sia importante il lato storico nelle creazione del contemporaneo?

S.M.: Il mio modo di pensare deriva dalla letteratura, la musica, prende corpo, acquista una sua storia personale ed un suo pensiero visivo. È tutto fuso insieme. Io non cerco di imitare consciamente la storia. Cerco di seguire la logica dei pomi scritti dentro di me. Io scrivo con la macchina fotografica. C’è un senso poetico nell’essere vulnerabili.

 

E.R.M: Il tuo ciclo Nordic Water Tales – anche se questo non è il vero nome del ciclo quanto piuttosto quella della mostra a Francoforte (Adler, 2011) – mette in luce non solo le tue doti “immaginative” ma anche quelle tecniche. Mi puoi spiegare come disponi i tuoi personaggi o come organizzi la composizione delle tua opera?

S.M.: Questa domanda mi viene posta frequentemente. Questo serve anche a me in quanto mi dà l’opportunità di pensare all’intera questione. C’è un’intuizione che prende spazio e vita. Alcune delle soluzione spaziali vengono cercate in relazione al loro processo di comprensione all’interno dell’immagine. Un esempio è l’opera Gravity. A volte però i personaggi trovano autonomamente la loro strada scoprendo perfino me stessa, come successo per Tulva. È un’esperienza unica quando le immagini iniziano a lavorare da sole. Un miracolo.

 

E.R.M: In queste opere c’è un’influenza tradizionale, a mio avviso, del poema epico del Kalevala – penso ad un’opera come Mirror (2010) – ed allo stesso tempo un’influenza contemporanea. Queste opere rivelano infatti un forte carattere musicale, penso ai Sigur Ros. Come concili queste due modalità di ricerca?

S.M.: Ho un forte legame con la letteratura e la musica islandese. Sono anche una persona religiosa e “mitologica”. Penso che le tue domande cerchino la parte più primordiale del mio lavoro. Chi sta parlando in me e che tipo di voce ha lei o lui? Così ti rigiro la domanda, cosa ti fa pensare a queste influenze? Colui che sta di fronte ad un’immagine vede quegli elementi che in lui/lei risuonano maggiormente. Continuamente cerchiamo relazioni tra loro. Tali elementi parlano con noi con il linguaggio dell’incoscienza. Ci sono delle similitudini tra i sogni e la logica insita nel camminare dentro le immagini. Prendo in prestito le parole della poetessa svedese Tua Forsström: “I said it was a dream, because I wanted to stay”.

 

E.R.M: Tu rappresenti l’Helsinki School ed una interessante generazione di fotografi. Come giudichi il sistema dell’arte contemporanea finlandese, in particolare quello della fotografia?

S.M.: Timothy Person ha fatto un lavoro enorme affinché la fotografia finlandese diventasse così conosciuta. Così come Elin Heika e Anna-Kaisa Rastenberg del Finnish Museum of Photography, hanno fatto un grande lavoro. In Finlandia abbiamo artisti talentuosi e coraggiosi. Il successo di ciascuno di loro accende una stella in cielo che ci giuda affinché possiamo tutti brillare.

 

E.R.M: Recentemente hai esposto in Italia (Macula-Pesaro, 2013, Mc2gallery-Milano, 2012). Come è stato il tuo rapporto con l’Italia e come consideri il livello del contemporaneo in Italia?

S.M.: Sento di iniziare ad essere amata in Italia. L’ospitalità della mia galleria MC2 ha ricaricato le mie batterie. E sento anche di aver trovato amici sinceri. L’Italia mi ha dato nuove immagini ed è stata per me una fonte di ispirazione. Sono inoltre grata per la risposta che ho avuto dall’esposizione a Pesaro. Credo che le persone in Italia siano molto calorose ed amorevoli. La mia prima esperienza in Italia è stata durante Artissima nel 2009 quando la Galleria Taik decise di esporre le mie opere in Italia. C’è voluto un po’ di tempo per tornare ma alla fine eccomi qua a parlare dei miei buoni rapporti con l’Italia. Nel campo delle arti visive ho iniziato a seguire i lavori di Vanessa Beecroft quando avevo vent’anni. Altre cose che trovo familiari sono l’opera di Maurizio Cattelan, la filmografia e la letteratura, la consapevolezza dei pre-raffaelliti e loro influenze. Conosco poco della giovane arte italiana, ma sono curiosa.

Dall’alto:

Susanna Majuri, Mykines, 2007, 70x105cm. Digital c-print, Diasec. Courtesy l’artista

Susanna Majuri, Emilia, 2008, 90x135cm. Digital c-print, Diasec. Courtesy l’artista

Susanna Majuri, Saviour, 2008, 90x135cm. Digital c-print, Diasec. Courtesy l’artista

Susanna Majuri, Metsä, 2009, 90x135cm. Digital c-print, Diasec. Courtesy l’artista

Susanna Majuri, Raven, 2009, 100x150cm. Digital c-print, Diasec. Courtesy l’artista

Susanna Majuri, Magic, 2012, 100x150cm. Digital c-print, Diasec. Courtesy l’artista