Eduardo Kac è considerato un pioniere della ricerca bioestetica e telematica. Tra i suoi lavori più noti, Genesis eAlba, il coniglio transgenico di cui si è occupata a lungo la stampa internazionale. Ha realizzato numerose mostre negli Stati Uniti, in Europa e in Sud America. Suoi lavori fanno parte delle collezioni permanenti del Moma di New York e del Museo di Arte Moderna di Rio de Janeiro. Alla sua ricerca transgenica sono dedicati i volumi The Eighth Day: The Transgenic Art of Eduardo Kac (Arizona State University, DAP, New York, 2003), e Telepresence and Bio Art. Networking Humans, Rabbits and Robots(University of Michigan Press, 2005).

1. Cloni, chimere e creature transgeniche

MAURIZIO BOLOGNINI: La prima volta che ci siamo incontrati, nel dicembre 1999, Alba, il tuo coniglio geneticamente modificato, non era ancora nata (sarebbe nata due mesi dopo, nel febbraio 2000, all’Institut Nacional de Recherches Agronomiques di Jouy-en-Josas, in Francia, conquistando le prime pagine dei quotidiani internazionali). Invece avevi realizzato da poche settimane Genesis, e ne parlavi come di un lavoro transgenico al limite tra biologia, etica e telematica: avevi fatto produrre un gene sintetico convertendo secondo certi criteri – prima in Codice Morse e poi in una sequenza di DNA – la traduzione inglese di un passo della Genesi: Let man have dominion over the fish of the sea, and over the fowl of the air, and over every living thing that moves upon the earth. Questo gene d’artista, Genesis, era stato quindi inserito in alcuni batteri (non interessa qui con quali tecniche) e questi erano stati esposti in una galleria d’arte. Qui, grazie a un’apparecchiatura controllata dal pubblico via Internet, un’ulteriore mutazione biologica dei batteri poteva essere stimolata dall’accensione di una luce ultravioletta. Il contenuto fortemente simbolico di questa operazione mi era sembrato la cosa più evidente: nel decidere di modificare i batteri esposti nella galleria, il pubblico modificava la frase biblica che in qualche modo contenevano. Che significato attribuisci a questa modificazione? E che relazione c’è con la diffusione di operazioni di ingegneria genetica che prefigurano lo sviluppo di una società biotecnologica?
EDUARDO KAC: In Genesis alcuni batteri viventi, reali, vengono mutati su Internet, da chiunque, da qualsiasi luogo. Da Roma puoi cambiare la parola di Dio contenuta nei batteri che si trovano in Giappone o in Brasile. Nel contesto del lavoro, la capacità di cambiare la frase biblica con un click è un gesto simbolico: significa che non ne accettiamo il significato nella forma in cui l’abbiamo ereditata, e che se cerchiamo di cambiarlo possono emergere nuovi significati. Usando il gesto più elementare della comunicazione on-line – il click – i partecipanti possono modificare le caratteristiche genetiche di un organismo localizzato in una galleria lontana. Da una parte, questa circostanza unica rende evidente l’imminente disinvoltura con cui l’ingegneria genetica potrà scendere fino al livello più ordinario della nostra esperienza. Dall’altra, mette in luce la condizione paradossale del non-esperto nell’era biotecnologica. Cliccare o non cliccare (to click or not to click) diventa una decisione non solo etica, ma simbolica. Se il partecipante decide di non cliccare, consente alla frase biblica di restare intatta, conservando il proprio significato di dominio. Se decide di cliccare, cambia la frase e il suo significato, ma non sa quali nuove versioni ne potranno emergere. In ciascun caso, il partecipante si trova di fronte a un dilemma etico che lo coinvolge nel processo.

M.B.: Il fatto che si tratti di un processo dagli esiti indeterminati sembra un aspetto essenziale del lavoro: la biodiversità non viene ricondotta soltanto alla funzione del DNA nella creazione della vita, ma all’interazione tra genetica, organismi e ambiente…
E.K.: Si tratta di rimettere in discussione la supremazia del DNA. Il progetto Genesis rende evidente che la “vita” non può più essere considerata come un fatto puramente biochimico, ma costituisce un fenomeno complesso, all’incrocio tra credenze, economia, diritto, decisioni politiche, leggi scientifiche, costrutti culturali.

M.B.: Sentendoti parlare per la prima volta del tuo coniglio verde, geneticamente modificato, e della sua fluorescenza dovuta alla proteina GFP (Green Fluorescent Protein), ho pensato al Ragazzo dai capelli verdi, il film di Losey (1948) in cui la diversità e le sue conseguenze sociali vengono raccontate dal punto di vista del protagonista. Anche tu hai cercato di presentare la vicenda del coniglio Alba dal suo punto di vista. Hai ricordato che in quanto artista transgenico ti interessa l’aspetto sociale piuttosto che formale della biodiversità. Hai spiegato che la nascita di Alba in quanto essere vivente formalmente e geneticamente unico è solo l’aspetto più appariscente del lavoro, il quale rappresenta un evento sociale complesso, costituito dallo stesso dibattito culturale seguito alla nascita di Alba e poi dal suo previsto – anche se mai realizzato – inserimento nella tua famiglia, a Chicago. Hai anche sottolineato in molte occasioni la sicurezza dell’operazione, l’uso ormai consolidato della proteina GFP nei laboratori di biologia molecolare e il pieno controllo dei suoi effetti. Tuttavia resta chiaro che la grande notorietà del lavoro non è dovuta né alla fase di dibattito né al progettato inserimento sociale, ma alla creazione di un animale transgenico senza la legittimazione data dalle finalità della ricerca scientifica. Per la prima volta un’operazione di ingegneria genetica viene associata alla presunta inutilità dell’arte, forzando etica ed estetica a un confronto. Questo mi sembra un aspetto importante del lavoro.
E.K.: La tensione estetica del lavoro viene in parte dalla fusione di due termini che percepiamo in conflitto: la familiarità del coniglio e l’ipotetica mostruosità dell’essere transgenico. Sul confronto tra la dimensione etica e quella estetica dell’operazione si potrebbe discutere. Dal mio punto di vista non ha importanza come un individuo viene al mondo, ma come la società tratta quell’individuo. Dobbiamo comprendere che siamo prossimi a condividere il mondo con nuovi esseri (cloni, transgenici, chimere), sicché dobbiamo preparare noi stessi e la società ad accettarli e ad accoglierli. Basterebbe che non dimenticassimo mai che il mondo appartiene ai batteri, e che gli esseri umani sono solo fortunate mutazioni sopravvissute in un mondo di batteri.

M.B.: Tuttavia rimane il fatto che da una parte sembri voler diventare l’artista di uno straordinario mondo di cloni, chimere e creature transgeniche (inThe Eighth Day, un anno dopo la nascita di Alba, spieghi di aver fatto trasferire lo stesso gene tratto da una medusa fluorescente in individui di altre specie: vegetali, amebe, pesci, topi…), e questo contribuisce a dare grande visibilità al tuo lavoro. Dall’altra vuoi respingere questa prospettiva, al punto da chiarire che ciò che ti interessa non è la creazione di nuovi “oggetti” bensì di nuovi “soggetti” transgenici. Non so se questo sia propriamente riconducibile a una tensione tra etica ed estetica, ma non mi sembra una parte trascurabile del lavoro. Ed è un aspetto che si riflette anche nella difficoltà di mettere a fuoco la nozione di soggetto su una scala che va dai batteri ai mammiferi.
E.K.: Certo, i termini oggetto e soggetto hanno numerosi significati, a seconda del contesto in cui li impieghiamo. Mentre uno psicoanalista contesterebbe probabilmente l’idea che un animale non umano sia un soggetto, per un etologo cognitivo è ovvio lo sia. Uso il termine oggetto come è sempre stato usato nell’arte, nella quale denota una cosa discreta e inanimata, mentre al contrario un soggetto è caratterizzato dalla vita. Usando le parole di Uexkull, un soggetto possiede un mondo fenomenologico, una Umwelt.

2. Bioarte, interazione, responsabilità etica

M.B.:
 Hai definito l’arte transgenica come una forma d’arte basata sull’uso dell’ingegneria genetica per trasferire geni naturali o sintetici in un organismo, allo scopo di creare esseri viventi unici. In questo contesto che significato assume il termine estetica? Cosa sono la bio-estetica e la bio-arte? E come si diventa artisti transgenici? O, parafrasando il titolo del famoso libro di Allan Kaprow, qual è la formazione di un artista transgenico?
E.K.: Tradizionalmente l’estetica ha riguardato la dimensione emozionale. Tuttavia io non sono interessato a fare arte per comunicare qualità come bello o brutto, repulsione o attrazione. Anche la nozione Greenbergiana di qualità mi sembra insostenibile, dato che la qualità non è un valore assoluto, ma piuttosto un concetto condizionato da numerosi fattori, compreso il contesto e il periodo storico. La mia estetica è dialogica, intersoggettiva. Per me fare arte significa coinvolgere un altro soggetto. La mia visione dell’estetica coincide con un esteso esame dei limiti e delle possibilità di tutte le forme di comunicazione esistenti, o ancora da scoprire e inventare.
Per quasi due decenni il mio lavoro ha esplorato i confini tra umani, animali e robot. Dunque, l’arte transgenica può essere vista come uno sviluppo naturale della mia precedente ricerca. Nei miei lavori sulla telepresenza, sviluppati dal 1986, gli umani coesistono con altri umani e con animali non umani attraverso corpi telerobotici. Nei lavori biotelematici, dal 1994, biologia e networking non vengono più semplicemente sommati ma integrati, dando luogo a ibridi di ciò che è vivente e telematico. Con l’arte transgenica, dal 1998, anche ciò che è animato e ciò che è tecnologico diventano indistinguibili.

M.B.: Un’altra questione importante del rapporto tra arte e biotecnologie è rappresentata dal grado di specializzazione degli strumenti impiegati. C’è differenza tra le tecnologie che tutti usano (quelle digitali per esempio) e quelle destinate a restare chiuse nei laboratori di ricerca. Consideriamo ad esempio ciò che definisci bio-poesia (biopoetry) e il fatto che la pagina scritta, dopo aver lasciato il posto al video e all’ologramma, possa passare alle biotecnologie, agli organismi viventi, diventando poesia transgenica, sintetizzata in qualche sequenza di DNA. È  vero – come hai scritto – che assegnando agli amminoacidi specifici valori semantici, un poeta potrebbe “scrivere” una proteina, ma dopo le prime sperimentazioni, in cui ci si può limitare a esibire l’esperimento, la bio-poesia non rischierebbe di diventare una specie di arte tematica, solo-per-biologi?
E.K.: La storia dell’arte dimostra ampiamente il contrario. Dopo le prime tele cubiste, Picasso avrebbe dovuto fermarsi perché aveva già dimostrato il suo punto? O Duchamp avrebbe dovuto fare solo un ready-made, per non rischiare di fare un’arte tematica, solo-per-designer-industriali? Il fatto che Duchamp abbia toccato il mondo del design industriale è solo un aspetto del lavoro. Se si sceglie di guardare solo a questo aspetto non si vedrà altro. Innanzitutto le biotecnologie diventeranno più familiari e presenti nella nostra vita quotidiana. E quando questo accadrà, sarà più facile separare il medium dal lavoro stesso. In altre parole sarà più facile guardare al lavoro all’interno della sfera estetica e formale, separandolo dal suo contesto originale. In secondo luogo, un artista, qualsiasi artista, ha bisogno della libertà di esplorare tutte le strade che sente di aver bisogno di esplorare. Possono sempre esserci nuove sorprese. Un’opera d’arte non è la prova di un concetto, ma ha una ineliminabile dimensione soggettiva, umana. Guardare a un’opera d’arte esclusivamente in termini formali non sarebbe altrettanto significativo che guardarla nella sua splendida pienezza, come forma, idea, emozione e comunicazione.

M.B.: Un aspetto importante della tua arte biotecnologica è l’interazione. Penso che in futuro l’arte interattiva sarà profondamente diversa da quella del XX secolo. Le stesse tecniche di intelligenza collettiva, sulle quali lavoro da anni, saranno diverse. Mi sembra quindi interessante che all’interno dei tuoi lavori transgenici tu abbia identificato una nuova dimensione dell’interazione. Ti sei occupato di interazione dai tuoi esperimenti di Mail Art (nella raccolta curata in Italia da Piero Cavellini ci sono tuoi lavori degli anni ’80) fino a tutta la ricerca legata alla telepresenza e all’estetica della comunicazione. In Essay Concerning Human Understanding, un’installazione realizzata con Ikuo Nakamura nel 1994, hai promosso un dialogo tra un uccello (a Lexington) e un filodendro (a New York), collegati attraverso la linea telefonica: un elettrodo sulle foglie della pianta rilevava la sua risposta al canto dell’uccello e la ritrasmetteva sotto forma di suoni elettronici, in una progressione senza fine. E si potrebbero fare decine di esempi come questo. La ricerca legata all’arte transgenica tuttavia ti ha portato a una concezione diversa dell’interazione, legata ai concetti di responsabilità e di intersoggettività. 
E.K.: Mi sembra che non ci siano ragioni per credere che l’arte interattiva del futuro continui a essere qualcosa di simile a ciò che abbiamo conosciuto nel XX secolo. GFP Bunny (Alba) mostra una strada alternativa e chiarisce che un concetto profondo di interazione è ancorato alla nozione di responsabilità personale (intesa sia come cura che come possibilità di risposta). GFP Bunny dà continuità alla mia messa a fuoco nell’arte di ciò che è stato definito “relazione dialogica” da Martin Buber e “sfera dialogica dell’esistenza” da Mikhail Bakhtin, della “intersoggettività” di Emile Benveniste, e di ciò che Humberto Maturana ha chiamato “dominio consensuale”: sfere condivise di percezione, cognizione e azione, in cui due o più esseri consenzienti (umani o non), possono negoziare le proprie esperienze dialogicamente. Il lavoro è anche informato dalla filosofia dell’alterità di Emmanuel Levinas, il quale sostiene che la nostra vicinanza all’altro chiede una risposta, e che il contatto interpersonale con gli altri è l’unica relazione di responsabilità etica. Creo i miei lavori in modo da accettare e incorporare le reazioni e decisioni dei partecipanti (compreso batteri e altre forme di vita).

M.B.: E questo è ciò che, in sintesi, chiami l’interfaccia umano-pianta-uccello-mammifero-robot-insetto-batterio, che riassume anche il motivo per cui il tuo lavoro non finirà mai di sorprenderci. In conclusione vorrei chiederti che ne è stato di Alba. 
E.K.: Come sai nel 2000, dopo la sua nascita, il laboratorio ha censurato il lavoro. All’ultimo istante hanno deciso di tenerla in cattività e hanno interrotto il dialogo. Più tardi hanno anche detto che era morta, ma senza fornire alcuna prova. La più recente manifestazione dedicata a GFP Bunny è stata la mostra Rabbit Remix, a Rio de Janeiro, nel settembre scorso, in contemporanea con la mia partecipazione alla Biennale di San Paolo. In questa occasione sono stati presentati disegni, fotografie, bandiere, t-shirts, un libro d’artista… È stata fatta anche una campagna nell’intera città, con la sua immagine esposta ovunque a Rio.

Dall’alto:

E. Kac, Free Alba! (Le Monde), 2001, dettaglio. Courtesy Julia Friedman Gallery.

E. Kac, The Eighth Day, 2001. Courtesy Institute for Studies in the Arts, Arizona State University, Tempe.

E. Kac, The Eighth Day, 2001. Courtesy Institute for Studies in the Arts, Arizona State University, Tempe.

E. Kac, GFP Bunny (Alba), 2000. Courtesy Julia Friedman Gallery.

E. Kac, Genesis, 1999. Courtesy Julia Friedman Gallery.

E. Kac, Ikuo Nakamura, Essay Concerning Human Understanding, dettaglio, 1994.

E. Kac, The Eighth Day, 2001. Courtesy Institute for Studies in the Arts, Arizona State University, Tempe.

E. Kac, Rabbit Remix, Rio de Janeiro 2004.

E. Kac, The Eighth Day, 2001. Courtesy Institute for Studies in the Arts, Arizona State University, Tempe.

E. Kac, The Eighth Day, 2001. Courtesy Institute for Studies in the Arts, Arizona State University, Tempe.