Autobiografia/autoritratto

Lucilla Catania, Marilù Eustachio, Daniela Monaci, Elisa Montessori, Cloti Ricciardi, Silvia Stucky, Francesca Woodman.

Dal 26 ottobre 2007 – 20 gennaio 2008
A cura di Laura Iamurri
Museo Hendrik C. Andersen
Via Stanislao Mancini (M Flaminio)
Da martedì a domenica dalle h 9.00 alle h 19.30 (ingresso fino alle 19.00) 
Mostra e catalogo a cura di Laura Iamurri.
Catalogo Palombi Editori, con saggi di Maria Grazia Messina, Laura Iamurri, Silvia Bordini, Francesca Gallo, Rossella Caruso; testi di Marisa Volpi, Marilù Eustachio, Lucilla Catania, Elisa Montessori, Cloti Ricciardi, Daniela Monaci, Silvia Stucky.

 

Sei donne, artiste storiche della scena romana, insieme agli scatti della giovane Francesca Woodman, scomparsa nel 1981, sono in mostra dal 26 ottobre fino al 20 gennaio nello scenario decadente e riccamente affrescato del museo Andersen, ex dimora dello scultore e pittore Hendrik Christian Andersen. Così il lusso di altri tempi si lega alle riflessioni che queste artiste hanno su se stesse o meglio all’arte di queste donne che è segno di un’identità forte e per questo frammento ed espressione di un autoritratto.

Quando arte e critica si fondono in un autoritratto

Autobiografia/autoritratto è un occasione per mostrare le diverse sensibilità di queste donne artiste ma è soprattutto un punto d’arrivo. La mostra nasce infatti da una serie di dibattiti e riflessioni promosse dal Centro Studi e Documentazione sulle Artiste del Novecento a proposito dell’autoritratto al femminile nella storia dell’arte. Artiste (Marilù Eustachio, Lucilla Catania, Elisa Montessori, Cloti Ricciardi, Daniela Monaci, Silvia Stucky), critiche e storiche dell’arte, (Maria Grazia Messina, Laura Iamurri, Silvia Bordini, Francesca Gallo, Rossella Caruso, Marisa Volpi), dopo essersi confrontate in dibattiti e convegni rispetto a questo tema hanno deciso di mettere in mostra alcune delle opere più rappresentative, autobiografiche, forme più o meno esplicite di un autoritratto. Contribuendo in tal modo a tratteggiare un denso e significativo scorcio su questo genere che ha ufficialmente più di 6 secoli di storia.

Da una riflessione teorica nasce quindi la mostra e il catalogo questa volta, col suo contributo critico è più di un “accessorio” bensì parte integrante, punto di partenza, ragione della mostra stessa.

Oggi l’autoritratto possiede molteplici aspetti, tanti quanti sono i linguaggi che raccontano l’arte secondo la sensibilità di chi si esprime con essa per necessità, amore, passione. L’arte è già essenzialmente una forma di racconto di sé, specchio più o meno limpido di un’individualità che attraverso di essa si esplicita o si cela, si racconta. L’arte come necessità di produrre, comunicare e creare, mette in gioco i suoi attori e a volte li rappresenta così come sono.

Da Monet fino a Van Gogh e Gauguin, prima ancora Leonardo e poi Van Eyck fino ad arrivare a Cindy Sherman, Vito Acconci… da sempre gli artisti si sono confrontati con la propria immagine per firmare, aver coscienza di sé, interpretare o trasgredire. Non sempre lo spazio del corpo e il ruolo dell’artista è stato esplicitato, per molto tempo l’artista ha preferito dar voce al colore, all’oggetto, alle forme. Nella storia dell’arte sono stati fatti passi avanti e indietro verso di sé, sempre in bilico tra assenza e presenza, segno e traccia.

Negli anni ’60, molti artisti hanno investito su se stessi, sul proprio corpo il ruolo dell’arte e superato il piano bidimensionale dell’autoritratto per agire e interagire nello spazio abbandonando l’oggetto e la rappresentazione, privilegiando l’azione e il concetto. Così in carne ed ossa l’artista diviene performer per caricare di segni lo spazio e il tempo della quotidianità. Altri hanno lavorato sul ruolo dell’assenza delegando all’osservatore lo spazio della presenza, il riempimento di questo vuoto. Hanno proiettato su forme, immagini e colore la propria soggettività che attraverso di essi diventa suggestione, sensazione e racconto. Dentro un segno vivono la sua forma e il suo contenuto, dietro l’apparenza è viva l’individualità di chi la pensa e la produce. “Endotopica” piuttosto che “esotopica”, la presenza dell’artista è viva e significante.

Poi l’autoritratto si può nuovamente toccare, riacquista il valore della memoria, torna immagine bidimensionale, frammento di vita, istante sottratto al tempo, fotografia. Dietro un’opera d’arte si cela un’autoritratto che non è sempre esplicito, che non è solo tratto somatico ma prima ancora animo, intelletto e ricerca.

Per questo la mostra autoritratto è anche autobiografia, perché le artiste che danno corpo a questa collettiva parlano di sé attraverso la materia, gli oggetti, fotografati, scelti, interpretati attraverso corpi e volti che si fanno icone, che si fondono con l’acqua, col colore, la materia nelle identità che come l’acqua e il video sono fluide, e transitorie. Provvisorie come i tratti somatici fissati in un autoritratto e come l’esistenza che li porta con sé.

Per questo insieme alle presenze vive di questi “autoritratti”, il museo Andersen accoglie gli scatti di Francesca Woodman, giovane fotografa che scelse come soggetto il proprio corpo. Dal talento formidabile, i suoi scatti e la sua storia ancora ci commuovono. Ci incantano le ambiguità formali delle composizioni che amava fare giocando a nascondersi e trasformarsi dentro e dietro gli spazi vuoti e dimessi che sceglieva come scenari per i suoi scatti. Frammenti di un’esistenza che sembra tutt’oggi sospesa e incredibilmente attuale.

Con linguaggi diversi le artiste in mostra danno esempio dei diversi modi di fare e interpretare un’autoritratto. Elisa Montessori, allestisce il suo spazio con fotografie, un mosaico, carte intelate e tra di essi compare a matita un piccolo (auto)ritratto che rimanda lo sguardo dell’artista. Attenta alle forme della natura, Montessori compone un mosaico fotografico in bianco e nero fatto di immagini di natura dalle sembianze umane. Alle carte intelate, segnate dalla traccia astratta e nervosa del colore associa l’impronta delle sue mani e la presenza di frutti di melograno, che appoggiate in fondo alle pieghe della carta ribadiscono suggestioni orientali. Si concede anche passi verso un ironico figurativo proponendo l’ ombra di una donna che indossa la propria testa come un accessorio. Infine un mosaico, conclude la rassegna dei suoi linguaggi d’espressione.

A Silvia Stucky non interessa il medium, semmai il messaggio. Così il suo lavoro affronta vari linguaggi. In ogni caso emergono fortemente la cura nei dettagli, la passione per il colore e immancabile il tema dell’acqua. Il video Le silence habité des maisons insieme a sequenze che la ritraggono bambina, limpide fotografie di oggetti e quadri/cornici riflettenti dentro cui specchiarsi, come le tessere di un puzzle compongono un ritratto completo della sensibilità di Silvia.

Daniela Monaci sceglie il bianco e il nero per le sue fotopitture che oltrepassano la sembianza della fotografia per divenire pittura digitale e infine istallazione. Così, istallati su spessi cubi, frammenti di corpi, osservati vicino al punto da creare suggestioni intime e macroscopiche, riempiono fisicamente lo spazio. Con queste opere rarefatte in cui l’immagine si fonde a volte con la luce e dentro a sfondi neri, Daniela Monaci sospende il tempo catturando gli istanti silenziosi degli spazi interpersonali.

Senza un’esplicita intenzionalità Marilù Eustachio, tratteggia nel tempo con mano esperta centinaia di volti dalle pose quattrocentesche, barocche, forse dame, anche madonne, come una rassegna di fisionomie, sfumate, appena percepite, in apparenza fluide, nella realtà pregne di colore ad olio, passato su carta ruvida come pastello. Una serie di studi sul volto disegnati a memoria, senza modello, sono i tasselli della coloratissima ed equilibrata istallazione che Marilù allestisce per il Museo Andersen.

Lucilla Catania si ritrae come una ninja mediterranea, sciabola inquietante, lunga coda di cavallo, scarpe da ginnastica e kimono bianco. Pericolosa come Uma Thurman, massiccia come le sculture che contraddistinguono il suo lavoro.

Come Catania anche Cloti Ricciardi, propone oltre a due autoritratti, una scultura liscia, che si posa in terra, ingombrante come un piccolo lago, lucida come la superficie dell’acqua. Dentro di essa Cloti intrappola la sua immagine sorridente, immagine che può fondersi tutt’uno con la nostra se ci sporgiamo anche noi a specchiarci o a curiosare in cerca di “qualcosa” in fondo allo stagno.

Dall’alto:

Francesca Woodman, On being an angel 1, estate 1976

Daniela Monaci, Tra me e me _tra te e me, 2006

Cloti Ricciardi, interiori 1998

Elisa Montessori. Dafne, 1977

Silvia Stucky Autoritratto, 2005