Bibliografia
ADORNO, T. W. 2002, Introduzione alla sociologia della musica, Torino, Einaudi [Ed. or. 1962 Einleitung in die Musiksoziologie. Zwölf theoretische Vorlesungen, Frankfurt am Main, Suhrkamp Verlag]. 
HENNION, A. 2000. Passioni, gusti, pratiche. Dalla storia della musica alla sociologia dell’ascolto musicale, Rassegna Italiana di Sociologia, XLI, 2
REYNOLDS, S. 2000. Generazione ballo/sballo. L’avvento della dance music ed il declinarsi della rave culture; Roma, Arcana. [Ed. or. 1998. Generation ecstasy: into the world of techno and rave culture].
TOOP, D. 1992. Rap – Storia di una musica nera; Torino, E.D.T. [Ed. or. 1984. The Rap Attack. African jive to New York hip hop; London, Pluto Press Limited ].

Webgrafia
http://gremes.free.fr/benoit.html Les Moyens du bord, Art contemporain et bricolage 
www.negativland.com Negativeland
www.plunderphonics.com John Oswald 

Per parlare dell’esperienza dell’ascolto musicale manca un vocabolario adatto. La definizione di piacere, tutti i vocaboli correlati all’emotività, sono troppo ristrette e fondate nel senso comune per riuscire a definire una dimensione esperienziale squisitamente soggettiva. Il linguaggio è prigioniero da un lato del formalismo chirurgico dell’analisi musicale, estetica e filosofica e dall’altro dei limiti lessicali di una quotidianità che non prevede introspezioni di sorta. Non è un caso, quindi, se tutti gli studi su questo argomento vanno a sbattere contro un ostacolo difficile da aggirare: la continua ripetizione dei termini “ascolto” ed “ascoltatore”.
Tutte le analisi della figura dell’ascoltatore nel corso del XX secolo pagano un pesante tributo al pensiero di Adorno. La posizione del filosofo tedesco al proposito è chiaramente deducibile dalla classificazione degli ascoltatori esposta in “Introduzione alla sociologia della musica”. Lungo un continuum si cristallizzano 8 idealtipi (iniziando con l’esperto e concludendo con la categoria miscellanea degli ascoltatori non musicali, antimusicali e indifferenti) organizzati in base alla capacità di saper riconoscere norme e grammatiche musicali in quello che raggiunge i propri orecchi.
In questo senso, l’ascoltatore più nobile è il soggetto che è ha impiegato un grande dispendio di energie intellettuali per formarsi secondo i parametri della musica colta europea; colui che è in grado di leggere una notazione, sezionare un’opera musicale secondo i suoi elementi costitutivi; un intellettuale che è in grado, in definitiva, di applicare un ascolto “strutturato” e “pienamente adeguato”. Gli altri ascoltatori, di idealtipo in idealtipo sempre meno colti, attenti e coscienti, sono carne da macello per l’industria culturale.
Come noto, le posizioni di Adorno riguardo alla cultura risentono in modo drastico dell’esperienza dei totalitarismi e della seconda guerra mondiale: la sfiducia nelle comunicazioni di massa, la visione dell’industria culturale come una macromacchina coercitiva che piega ineluttabilmente l’individuo sono il prodotto di una esperienza umana e intellettuale che si è scontrata brutalmente, ed inevitabilmente, con i nazifascismi. Per decenni, nonostante le mutate condizioni politiche, sociali e culturali, l’approccio Adorniano non è mai stato messo in discussione. 
La rivoluzione combinatoria iniziata nella musica popolare negli anni ’70 ha costretto però il mondo culturale ad adeguarsi. Hennion, ad esempio, vede l’ascoltatore come un soggetto attivo nella costruzione del significato e del valore dell’opera musicale. Rifuggendo dalle letture meccaniciste della classificazione di Adorno, il sociologo francese evidenzia come ogni ascoltatore, attento e non, colto o meno, metta in atto una serie di pratiche per raggiungere qualcosa: “la musica stessa non è il fine della passione musicale, ma un mezzo (…) per giungere a certi stati“.
Una musica non è obbligatoriamente portatrice di valori impliciti, ma è piuttosto uno strumento plasmabile, adattabile dai soggetti in base alle loro necessità/desideri, che nel dialogo attivo con il significato originale trova i suoi molti significati. Per perseguire questi scopi gli ascoltatori sviluppano la costruzione di una struttura rituale, che non è da interpretarsi come un sistema gestuale ma meta-gestuale: i gesti ed i riti non servono ad agire sulla musica in sé, ma riguardano la cornice, la messa in condizione, gli elementi preparatori per inserirsi in un flusso.
Il valore eminentemente politico di questo approccio è chiaro: se da un lato è vero che l’industria culturale è un monolito che dispensa blocchi di cultura omogenei che veicolano in modo forte le grammatiche di potere, è anche vero che gli ascoltatori esercitano un potere altrettanto forte nel selezionare, manipolare e reinterpretare i significati nel significante.
La distinzione tra cultura alta e cultura bassa, tra ascolto intellettuale e ascolto viscerale tendono a perdere di senso. Solo in quest’ottica è possibile leggere le profonde trasformazioni del mondo musicale degli ultimi venticinque anni. La comparsa dei dj, non più semplici selecter di musica prodotta da terzi ma veri e propri creatori di flussi musicali unici, ha segnato l’avvento di una nuova generazione di ascoltatori che attraverso pratiche del desiderio rivendicano il diritto all’ascolto creativo. La techno, la house, l’hip hop e le più recenti ed inclassificabili correnti sampledeliche sono caratterizzate da continue escursioni in mindscapes musicali diversi, dal quale si saccheggia solo ciò che serve. 
Notte dopo notte, ascolto dopo ascolto, orde di manipolatori di campioni riorganizzano ininterrottamente il suono secondo “come potrebbe essere”: “anche se la fonografia rock usa registrazioni multiple e sovrapposizioni per creare un evento artificiale, qualcosa che in realtà non è mai accaduto, quello che si sente su disco di solito risulta plausibile come un avvenimento reale. La Sampledelia va oltre: stratifica e concatena frammenti presi da epoche, generi e luoghi diversi creando uno pseudoevento ingannevole, qualcosa che non sarebbe mai potuto accadere naturalmente” (S.Reynolds, 2000, 53).
Mentre oramai il saccheggio sonoro è la regola si moltiplicano le esperienze plagiariste come quelle di Oswald e Negativeland (all’insegna dell’ascolto ricombinatorio così come della critica culturale radicale).
Le accademie, le istituzioni e perfino il mercato si stanno rendendo conto di una cosa che gli ascoltatori sanno da molto tempo: che la musica è tanto di chi la fa che di chi l’ascolta. Adesso vediamo quanto ci mettono i tribunali.