Noi, l’Italia
A cura di Simonetta Lux
Sala delle Bandiere, Palazzo del Quirinale, Roma
3 dicembre 2011-31 gennaio 2012
Orari: da martedì a sabato, 10.00-13.00 e 15.30-18.30.
Domenica: 8.30-12.00
Catalogo: Maretti editore

Su Anton Roca e la pubblicazione del volume “Espai Linear”, cfr., in questa rivista:

http://luxflux.net/?p=11787

Nell’ambito delle celebrazioni per il centocinquantenario dell’unità d’Italia, la mostra Noi, l’Italia nella sala delle Bandiere del Palazzo del Quirinale si offre come uno sguardo altro sul tema; eventi e personaggi storici, oggetti tipici e luoghi comuni, colori nazionali, sono infatti citati e reinterpretati da chi abita il Paese in una condizione di marginalità, ma che non per questo vive meno intensamente la propria italianità e le proprie origini.

La mostra è il risultato di un progetto promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, portato avanti nei laboratori sperimentali d’arte dove i disabili, gli Amici, sono chiamati ad offrire il proprio pensiero sul concetto di unità nazionale ma anche, per esteso, la propria concezione sul mondo e sui rapporti intessuti nella loro quotidianità.
La forza del Noi nel titolo insiste sulla rivendicazione di appartenenza al Paese, sul concetto di comunità e condivisione che fa da sfondo all’intero progetto espositivo, strutturato in due parti ben distinte ma complementari: da una parte il lavoro degli Amici, che si concretizza nelle 150 tele e nei testi proiettati; dall’altra il lavoro di Anton Roca, risultato del viaggio (fisico e spirituale) condotto dall’artista tra persone che vivono una condizione di marginalità, seppur per motivi diversi.

Le due sale della mostra corrispondono così al doppio binario su cui si muove la Comunità di Sant’Egidio: stimolare, attraverso il processo creativo, la capacità di espressione dei disabili e, contemporaneamente, invitare artisti già affermati a lavorare a contatto con gli Amici, come già successo con César Meneghetti nel complesso progetto Io è un altro, che ha già all’attivo diverse tappe.

Il rapporto amico-artista sembra funzionare bene in virtù di quella che può essere una condizione condivisa, e che Simonetta Lux non manca di sottolineare in catalogo: una condizione di alterità, esperita in contesti diversi ma ugualmente significativa nella definizione di sé. Ciò che però separa queste due situazioni è la consapevolezza critica ricercata dall’artista, che si estranea per mettersi in gioco e poi per affermare la propria individualità, mentre il disabile subisce lo stato di emarginazione, salvo poi riscattarsi attraverso lo stesso processo creativo, con cui imprime la propria presenza nella realtà che lo circonda.

Sui concetti di relazione e condivisione si costruisce il filo doppio che lega i due momenti dell’esposizione, il cui allestimento è stato studiato da Federico Lardera con l’obiettivo di mettere in luce la stratificazione che fa da sfondo ai due processi conviventi in mostra.
Nella prima sala, dedicata alle 150 tele, Lardera ha ideato altrettanti 150 cubi che fungono da scatole stilizzate, “paradigma dei pregiudizi, degli standards e delle convenzioni della società normata”, come spiega l’architetto stesso in catalogo.
All’uniformità delle griglie cubiche all’interno delle quali sono collocate le opere, corrisponde la diversità di queste ultime; l’allestimento visualizza così il concept che sorregge la mostra: non l’omologazione della diversità, ma la valorizzazione delle singole specificità.

Impossibile citare tutti gli autori delle tele che costellano le pareti della sala, un mosaico di tecniche, materiali, pensieri che assume di volta in volta toni critici, ironici, nostalgici.
Nonostante l’estemporaneità del contributo, molte di queste opere mostrano una notevole maturità, con riferimenti non solo ad alcuni personaggi, luoghi comuni e peculiarità italiane (Pulcinella, Pinocchio, la lira, la bandiera italiana, i numeri della tombola, la Fiat 500) ma anche a precedenti artistici, siano citazioni inconsapevoli oppure no.
Assemblages e pittura materica, di matrice quasi informel, rivelano una sperimentazione che non si limita alla rappresentazione ma che va oltre, avvalendosi di ogni forma espressiva utile allo scopo di dire qualcosa sul tema: sim cards (Marzia Bosco), mattoncini lego (Giovanni Battista La Marra), tappi di sughero (Alberto Iumento), chicchi di riso (Diego Proietti), non ultima la parola scritta, che sembra rievocare gli aforismi di Ben Vautier nell’opera di Carlo Prezioso e Elio Meloni.
La possibilità di esprimersi viene colta come occasione per rivendicare alcuni desideri, come quello di “un’Italia più verde”, dichiarato da Antonio Spadavecchia.
I capi di stato ritratti da Saretta Curcio sono il volto di un’Italia che cambia così come la fisionomia di chi la rappresenta, il voto alle donne è un trionfo di rosa nell’opera di Giorgina Tumminello.
Non mancano i riferimenti alla seconda guerra mondiale, alla Resistenza e all’Olocausto, ferite aperte nella storia del Paese e rievocate, tra gli altri, da Roberto Russo, Arturo Maggio, Elisabetta Marino, così come il richiamo a problemi dell’Italia attuale come il precariato, soggetto dell’opera di Chiara Ceriani e Francesco Cesari.
C’è anche chi ha scelto di capovolgere la tela e di utilizzarne il telaio come cornice (Roberto Mizzon), esempio di un’interessante rielaborazione del supporto dato.  
Alle tele si accompagna una sezione di testi, scritti con diverse tecniche di comunicazione ed elaborati anche da persone con difficoltà nell’espressione verbale, che mostrano una sensibilità sui generis, trasformandosi in brani di grande intensità poetica.

La seconda sala è dedicata all’intervento di Anton Roca, TavoloITALIA, installazione che prende vita sulla base dei racconti raccolti dall’artista nel corso del suo viaggio all’interno delle diverse comunità che abitano Roma, tra coloro che hanno scelto l’Italia ma che da essa non sono stati ricambiati.
Roca ha fatto parlare persone che si sentono ai margini per i motivi più diversi: disabili, stranieri, rom ma anche chi ha vissuto esperienze difficili (deportati, ex carcerati) e i bambini invisibili, vittime della legge che non riconosce la cittadinanza a chi, figlio di immigrati, nasce e cresce nel nostro Paese.
Ad ognuno di loro è stato chiesto di esprimere il proprio concetto di italianità e di tradurlo visivamente in un oggetto, un dono, in grado di concretizzare pensieri e desideri, poi collocato nei cassetti dei tavoli che danno il titolo all’opera.
Citiamo, ad esempio, proprio il diritto alla formazione e allo studio dei bambini cui non è riconosciuta cittadinanza italiana, oggettualizzatosi nei libri che spuntano da uno dei cassetti.

Come spiega Anton Roca, l’installazione si compone di tre livelli: quello olografico, con la sagoma dell’Italia in acciaio che poggia sui venti tavoli, tanti quante sono le regioni italiane e le persone interpellate; i cassetti che potremmo definire “della memoria”, contenitori dei doni; le gambe dei tavoli, tra cui corre il secondo neon, speculare a quello che attraversa in superficie la sagoma dello stivale.
I due neon identici, che mettono in dialogo il sopra e il sotto, rappresentano la “traduzione grafico-emotiva di due viaggi”, come spiega l’artista: la deportazione nei campi di sterminio nazisti e i flussi di migrazione, ovvero un viaggio di disperazione e uno di speranza, passato e presente insieme. “Entrambi sono per me come delle ferite aperte”, dice ancora l’artista.

La stessa scelta dei tavoli vuole porre l’accento sul concetto di memoria e di vissuto: si tratta infatti di tavoli vecchi, già dotati di un proprio passato, la cui storia si intreccia simbolicamente con quella degli intervistati. Ogni tavolo è diverso dall’altro, ma è pur sempre un tavolo; ogni persona è diversa dall’altra, ma resta persona. Il tavolo si fa quindi “territorio umano e artistico”, tassello singolo dell’installazione eppur parte di un tutto, di una unità simbolica riproposta fisicamente.

Ai pensieri, ai doni, si è arrivati attraverso un lungo processo di confronto e condivisione, durante il quale non solo gli intervistati hanno avuto la possibilità di esprimersi sul Paese che abitano – rivendicando così il loro diritto ad occuparlo – ma sono anche diventati co-autori dell’opera.
Tale concetto è ben espresso nel grande tableau vivant immortalato da Antonello Idini, nel quale ognuno dei partecipanti ha assunto una posizione che richiama una celebre opera dell’eredità artistica italiana e europea, dalla Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca a Il quarto stato di Pellizza da Volpedo, dalle scene degli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Le déjeuner sur l’herbe di Edouard Manet.
Tra loro, anche un cameo, ovvero un autoritratto fotografico di Anton Roca che, citando Velazquez, non si presenta al fianco degli intervistati ma si pone in una posizione “di riflesso”, enunciando così quello che è stato il suo ruolo nella realizzazione dell’opera, che potremmo forse definire maieutico: un referente, uno stimolatore, un provocatore, in grado di far uscire allo scoperto memorie e riflessioni esistenziali incardinate poi nell’opera complessa.
“Io sono l’altro”, scrive Anton Roca; Io è un altro, titola Meneghetti il suo progetto con gli Amici.
La condizione di alterità si fa un campo di indagine fertile, ma a questo si accompagna la necessità di fare del processo artistico un momento di scambio, di sperimentazione a livello interpersonale, di condivisione.  
Il risultato, l’opera, si presenta quindi più che collettiva, unitaria, come scrive ancora Simonetta Lux in catalogo. Un’occasione per dare (o restituire) all’arte un valore più concretamente sociale.  

Dall’alto:

1 e 2 Mostra noi, l’Italia, Particolare dell’installazione delle 150 tele. Allestimento: Federico Lardera. Foto: Giorgio Benni, Quirinale, dicembre 2011

Mostra noi, l’Italia, Installazione della scultura tavoloITALIA di Anton Roca. Allestimento: Federico Lardera. Foto Giorgio Benni, Quirinale, dicembre 2011

Mostra noi, l’Italia, Installazione della scultura tavoloITALIA di Anton Roca. Allestimento: Federico Lardera. Foto: Daniele Statera, Quirinale, dicembre 2011

Mostra noi, l’Italia, Installazione della scultura tavoloITALIA di Anton Roca. Allestimento: Federico Lardera. Foto: Giorgio Benni, Quirinale, dicembre 2011

Anton Roca, Studio per tavoloITALIA – Abitare un territorio 2011, progetto n.11, disegno digitale , formato 130×84

Aurelio Bagaglini, Omaggio a Sandro Pertini, assemblage di materiali di recupero

Donatella Scanni, Pierpaolo Pasolini, carboncino e liquido invecchiante su tela